venerdì 27 settembre 2013

Non é un paese civile, di Renzo Montagnoli


Non è un paese civile

di Renzo Montagnoli

 

 

Non passa giorno che, sfogliando un qualsiasi quotidiano, non si debba leggere di furti, corruzioni, intrallazzi, omicidi e disgrazie. Mai una volta che ci sia una buona notizia, capace di far tornare a sperare! Con tutti questi fatti negativi si finisce purtroppo con l’abituarsi, al punto che non ci s’indigna più; insomma assistiamo anche all’inflazione del peggio e quindi non ci può meravigliare se nei giorni scorsi tre notizie, di ordinaria follia, siano passate quasi inosservate.

La prima riguarda l’uso di sostanze proibite nell’alimentazione di bovini e suini, un’indagine non limitata al centro di smistamento sito in Pegognaga, in provincia di Mantova, ma estesa pressoché a tutta l’Italia, portando a numerosi avvisi di garanzia. Purtroppo i nomi dei presunti rei non sono stati divulgati e a distanza di più di tre settimane sono ancora sconosciuti, e non si comprende il perché, data l’elevata pericolosità per la salute umana delle sostanze impiegate.

Non era ancora trascorso il tempo per azzardare ipotesi su chi fossero questi sciagurati che è stata pubblicata un’altra notizia (questa volta con i nomi degli interessati)  relativa al commercio di latte tossico  dal Friuli  in tutta l’Italia, latte contenente la aflatossina, una muffa altamente cancerogena.

E tanto per sgomentare ulteriormente l’allibito lettore, a ruota è seguita una notizia che lascia del tutto basiti: tre dirigenti di una casa farmaceutica sono stati arrestati dai carabinieri del Nas di Latina con l'accusa di aver contraffatto un medicinale utilizzato per la cura di affezioni respiratorie di bambini e lattanti.

Sono stati sequestrati tre lotti di supposte, per un totale di 35 mila confezioni; infatti, i medicinali venivano messi in vendita senza il principio attivo, inutili e quindi pericolosi perché i bambini non venivano curati.
Insomma, dopo i medicinali tossici per l’uomo utilizzati nell’allevamento del bestiame e il latte cancerogeno, ciliegina sulla torta un farmaco che è un placebo, che non cura.

I fatti sono gravi, anzi gravissimi, ma quello che più sgomenta è che molto probabilmente i rei, grazie alle leggi italiane, non verranno puniti con la particolare severità che i reati dovrebbero prevedere. E poi si sa che, grazie agli avvocati e a ricorrenti amnistie, questi scellerati non si faranno un giorno di galera e, trascorso qualche mese dall’evento, non appena il polverone si diraderà, torneranno alle loro attività, ad avvelenare tante vittime ignare e innocenti.

Del  resto il nostro è un paese a cui piace perdonare e dimenticare, e così in passato si sono dimenticate le ignobili leggi razziali, a liberazione avvenuta sono stati ben pochi i criminali di guerra processati, si è continuato a chiudere gli occhi davanti alle stragi di matrice nera e rossa -  ma magari il direttore d’orchestra era uno solo -, vivacchiando alla giornata e lasciando che il paese fosse spolpato dai politici; solo oggi, in piena crisi economica, ci si lamenta che tutto va male, quasi fosse una sorpresa e che fino a ieri fosse andato tutto bene e non ci fosse stata la benché minima magagna.

Intanto, i disoccupati aumentano, c’è non poca gente che non riesce a conciliare pranzo e cena, le corsie degli ospedali e gli obitori sono pieni di individui con le malattie del secolo, provocate dall’aria irrespirabile, dai cibi in cui abbondano sostanze cancerogene, dall’acqua così pregna d’arsenico che non viene più ormai utilizzato per i delitti d’elite.

Quindi tutto aumenta, ma c’è anche qualche cosa che cala, come il livello culturale, lo spirito di socialità, il piacere di vivere in un paese civile, sì, perché il nostro non è certamente, e ormai da tempo, un paese civile. 

 

La quinta stagione, di Fulvio Tomizza




La quinta stagione

di Fulvio Tomizza

Prefazione di Helena Janeczek

Marsilio Editori


Narrativa romanzo

Collana Tascabili / Biblioteca Novecento

Pagg. 224

ISBN 978-88-317-0974-3

Prezzo € 12,50

 

 

 

 

Dal gioco alla realtà

 

 

 

 

Ormai non sono pochi i romanzi che ho letto di questo autore, opere che, per la loro struttura, possono apparire storiche, biografiche e  di pura creatività, senza che tuttavia sia possibile identificare esattamente ognuno di questi tre aspetti, essendo fusi, compenetrati l’uno all’altro in modo del tutto perfetto.

Eppure, le vicende istriane, le descrizioni di questo territorio ai margini orientali del confine italiano appaiono sempre in una luce viva, propria di chi là ha vissuto per poi preferire espatriare, con impressa tuttavia una nostalgia che di volta in volta si fa malinconia e addirittura dolore.

Questo terzo romanzo di Tomizza è ovviamente ambientato in Istria e si svolge nel corso della seconda guerra mondiale, all’incirca dai giorni immediatamente antecedenti l’8 settembre 1943 fino alla fuga dei tedeschi, incalzati dall’avanzata degli alleati e dei partigiani titini.

E’ un periodo insolito, perché agli inizi la guerra è ancora lontana, per poi apparire improvvisamente e sconvolgere un microcosmo di gente che ha sempre vissuto in un’immobilità temporale, proprio della civiltà contadina, pur nell’avvicendarsi

di dominatori. E per quanto le etnie siano così diverse, resistono in un equilibrio, per quanto fragile, ma cementato dal comune destino, dal ricorso a un plurilinguismo, da un reciproco rispetto di cui si perderà la memoria con l’avvento del regime del maresciallo Tito.

Di quest’uomo nel libro si accenna appena, è presente, ma è pur lontano, una novità di cui si avvertono forse i pericoli, ma che in quel periodo è solo una lontana eco, perché ciò che veramente preoccupa è l’occupazione tedesca e con essa il volto tragico e disumano di un conflitto bellico di cui in precedenza c’era stato solo un vago sentore e magari qualche segno doloroso, come il ritorno di un reduce privo di entrambe le gambe.

In questo contesto i ragazzini giocano alla guerra, quasi temono di non prendervi parte, tanto è lontano il rombo dei cannoni, ma poi l’orrore arriverà a toccare anche quei luoghi, romperà fili intessuti da uomini che avevano trovato nella loro diversità un motivo per convivere in pace. E dopo non sarà tutto più come prima, si spezzerà un incantesimo e la protervia e la ferocia dell’occupante tedesco martorierà quelle genti, troncherà quell’immobilità sopravvissuta ad altre guerre, invariata nei secoli,  determinando gli inizi della fine della civiltà contadina.

E’ strano come, al riguardo, anche nei romanzi di un altro grande scrittore, Ferdinando Camon, sia il tallone germanico a recidere radici, a scuotere alle fondamenta una comune esperienza di vita che aveva resistito inossidabile fin da epoche remote.

E se la chiave di lettura di La quinta stagione può essere molteplice (romanzo di formazione, per quanto la guerra non abbia nulla di formativo, storia di una comunità, che poi non sarebbe mai stata più quella, valore dell’amicizia, un affratellamento che fa maturare) non occorre dimenticare la bellezza delle descrizioni, la semplicità di riti primordiali quali il corteggiamento contrapposta alla solennità  di una natura che per dare pretende tutto, la crudele tensione di un conflitto e alcune pagine che raggiungono, sempre senza enfasi, vette sublimi.

Tomizza ancora una volta è riuscito gradualmente a trasmettermi visioni e sensazioni a cui è impossibile resistere e giunti all’ultima pagina ci si accorge che questo territorio lontano è ora assai più vicino, impresso com’è dentro la memoria.

La lettura è indubbiamente raccomandata.

 

 

 

 

 

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, Umago, 26 gennaio 1935 - Trieste, 21 maggio 1999). Figlio di piccoli proprietari agricoli, dopo la maturità classica, si trasferì a Belgrado e a Lubiana, dove iniziò a lavorare occupandosi di teatro e di cinema. Ma nel 1955, quando l'Istria passò sotto la Jugoslavia, Tomizza, benché legato visceralmente alla sua terra, si trasferì a Trieste, dove rimase fino alla morte. Scrittore di frontiera, riscosse ampi consensi di pubblico e di critica (basti pensare ai numerosi premi vinti: nel 1965 Selezione Campiello per La quinta stagione, nel 1969 il Viareggio per L'albero dei sogni, nel 1974, nel 1986 e nel 1992 ancora Selezione Campiello rispettivamente per Dove tornare, per Gli sposi di via Rossetti e per I rapporti colpevoli, nel 1977 e nel 1979 lo Strega e quello del Governo Austriaco per la letteratura Europea per La miglior vita). Ha pubblicato: Materada (1960), La ragazza di Petrovia (1963), La quinta stagione (1965), Il bosco di acacie (1966), L'albero dei sogni (1969), La torre capovolta (1971), La città di Miriam (1972), Dove tornare (1974), Trick, storia di un cane (1975), La miglior vita (1977), L'amicizia (1980), La finzione di Maria (1981), Il male viene dal Nord (1984), Ieri, un secolo fa (1985), Gli sposi di via Rossetti (1986), Quando Dio uscì di chiesa (1987), Poi venne Cernobyl (1989), L'ereditiera veneziana (1989), Fughe incrociate (1990), I rapporti colpevoli (1993), L'abate Roys e il fatto innominabile (1994), Alle spalle di Trieste (1995), Dal luogo del sequestro (1996), Franziska (1997), Nel chiaro della notte (1999).

 

 

Recensione di Renzo Montagnoli

MondoBlog del 27 settembre 2013


MondoBlog

 

 


 


 


 


 


 


 


 


 

mercoledì 18 settembre 2013

Al Dio morente, di Renzo Montagnoli



                                                              Fonte Wikipedia

Al Dio Morente

di Renzo Montagnoli

 

 

 

Hai sempre accarezzato queste rive,

hai dissetato i campi riarsi dal sole,

sei stato un amico fedele,

a volte adirato e minaccioso

hai sciolto le briglie delle tue acque,

hai sommerso un mondo

che non ti aveva portato rispetto.

Venivo la sera a gioire sulle sponde

il flusso ininterrotto del tuo respiro,

calmo, silente, dolcemente carezzevole.

Mi specchiavo e dietro la mia immagine

c’eri tu, rassicurante, padre sereno,

amorevole con questi poveri figli

che da te ricevon la vita.

E le ninfe, tue ancelle fedeli,

levavano il canto alla luna

per la tua gloria e il tuo sonno notturno.

Scivolavi, allora, nel letto d’argilla,

riposavi le ore del buio,

ti assopivi insieme a noi.

Da domani questo non sarà più

e un unico Dio prenderà il posto

di tante divinità che i nuovi sacerdoti

definiscono false e superbe.

Uno solo a cui parlare,

ma non vedere,

lui che ha occhi per tutti,

ma che non conosciamo.

Non come te, Dio del fiume,

che hai cullato i giorni di tutta la mia vita

e che fra poco morirai,

in una siccità dell’animo

senza lacrime e senza dolore,

tranne il ricordo che mi accompagnerà

per il resto dei giorni,

invano soffocato da una nuova divinità

che è tutto e niente,

un’immagine vuota

di cui non udirò il respiro,

né potrò toccare.

Al volger dell’alba

questo fiume non sarà che acqua,

queste rive non saran che fanghiglia.

Nel sogno che svanisce,

l’incerta luce del giorno

mi accompagnerà al nuovo

nel rimpianto della certezza del passato.

 

 

 

Da Canti celtici – Il Foglio 2007

 

 

 

La colonna sonora, di Vangelis:

 


 

 

 

 

Scelte vincenti, di AA.VV.


 
 
 
Scelte vincenti

di AA. VV.

a cura di Alessandro Ramberti

Postfazione di Stefano Martello

Fara Editore


Narrativa e poesia

Collana Neumi

Pagg. 278

ISBN 978 88 97441 27 4

Prezzo € 17,50

 

 

C’è anche del buono

 

 

Fra i tanti concorsi letterari di poesia e narrativa non mancano quelli indetti da editori alla ricerca di nuovi autori e fra questi figura il concorso Pubblica con noi delle Edizioni Fara, di cui quello relativo al 2013 si è già concluso e si sono già avuti gli esiti, tanto che Scelte vincenti raggruppa le opere classificate in graduatoria nei primi tre posti per ogni sezione.

Premetto che la giuria è autonoma, nel senso che  non è presente l’editore, e questo mi pare anche corretto, al di là poi delle decisioni assunte, sempre opinabili.

Sulle risultanze non sono d’accordo, perché in generale, e ora parlo della sezione narrativa, ho trovato delle opere appena sufficienti e il fatto che abbia pesato nell’assegnazione del primo posto a Giorgio Diaz il richiamo a Raymond Queneau lo considero un elemento non positivo, perché un artista per essere veramente tale deve proporre qualche cosa di nuovo e in modo nuovo; ci sono richiami poi a Gadda per il 2° ex-aequo (La vita di Bartolomeo, di Marcello Zane), tanto che questi accostamenti sembrano una prassi dei giurati.  I due racconti terzi ex-aequo mi hanno lasciato del tutto indifferente, in quanto pretenziosi, ma con poca sostanza.

Uno che invece ho trovato a mio avviso assai valido è il 2° ex-aequo, Il vestitino rosso e altri racconti, di Giovanni Carullo, in particolare “Non è vero, Nora?”, di cui non si può che apprezzare lo stile molto personale e immediato, che coinvolge fin dalla prima riga, dando vita a un pathos in cui ci si immerge come nella pioggia del violento temporale che fa da palcoscenico alla trama.

Ben scritto, diretto, senza tanti fronzoli, caratterizzato da una capacità di attenta e profonda analisi psicologica, è questa una prosa di eccellenza con cui si presenta in modo limpido un narratore che gli editori, e non solo Fara, dovrebbero tenere d’occhio.

Per la poesia valgono le stesse mie considerazioni della narrativa e cioè che sono in totale disaccordo con i giurati, anche perché fra tanti versi spacciati per poesia, e non lo sono, ho trovato una vera chicca che, manco a dirlo, non si è classificata al primo posto, bensì al secondo ex aequo (una domanda mi corre: ma perché tutti questi ex aequo?).

Mi riferisco alle poesie di Ernesta Galgano, che scorrono lievi e tranquille come un fresco ruscello di montagna, intrise di una gioia serena che infonde una grande speranza. Ben strutturate, armoniche, rappresentano per me quelle che dovrebbero essere le poesie, e quindi non elucubrazioni contorte, oppure semiprose, di cui oggi fin troppo si abbonda. E non è che per questo non lascino il segno, cioè non inducano a riflettere, anzi, anche quelle religiose, nel dare la misura della nostra caducità, al tempo stesso ci gratificano degli esiti di un’esistenza vissuta nella purezza di un Amore che è fede, speranza e intima trascendenza.    

Per quanto ovvio, anche Ernesta Galgano è meritevole di particolare attenzione.

Scelte vincenti, pertanto, proprio per la presenza dei testi di Giovanni Carullo ed Ernesta Galgano merita di essere senz’altro letto.

 

 

Giorgio Diaz è nato a Livorno. Fin da bambino ha letto tanto, ma così tanto che a un certo punto si è messo a scrivere per vedere se aveva imparato qualcosa. Dato che andavano di moda i “gialli”, ha provato a scriverne uno; inopinatamente ha vinto un concorso letterario, grazie a un giallista doc, Andrea Pinketts, che lo ha presentato (Boja déh!). Il nibbio dell’Uccellina è scritto in un linguaggio inventato, che mescola vernacoli e lingua colta, ispirandosi (immeritatamente) ar Pasticciaccio; non è stato un bestseller, ma pazienza, ha avuto i suoi lettori. Lui ci ha preso gusto e ha continuato sfruttando le opportunità dei concorsi letterari in rete, e ha pubblicato qualche altro libro. Non ha più smesso. Ama i suoi lettori e spera che loro amino lui. Vive e si diverte a scrivere a Firenze. Ha pubblicato: Il nibbio dell’Uccellina (Società Editoriale ARPANet, 2004, vincitore del concorso 20/04/2004 con presentazione di Andrea G. Pinketts); L’eroe della Grotta delle fate(Midgard Editrice, Perugia, 2007, vincitore del Premio Midgard Historia); Lo sgozzatore di cigni (Edizioni Montag, 2009); Il bianco e il nero (Società Editoriale ARPANet, 2009); La città della solitudine Lettere d’amore di una sconosciuta (Altrimedia Edizioni 2010); Il mare ti accarezza in Giallo Limone 2011, i migliori quindici racconti del premio letterario “Giallo Limone 2011”, Robin edizioni, “I libri bianchi”, 2012. Poesie: L’orologio in Pàssim, Antologia Premio Letterario Panchina, III e IV edizione, 2011, I libri di Emil; in Autori vari, La biblioteca d’oro, Poesie edizione 2011;Le immagini, L’amica silenziosa in Antologia Versi creativi 2011, Edizioni creativa.

 

Giovanni Carullo è nato ad Avellino circa quarantottoanni fa. Sposato, due figli e sei cani. Laureato in sociologia, allevatore di terranova. Lavora per mangiare e scrive per passione. Ogni tanto gli si accende dentro il fuoco della scrittura e allora lascia che le fiamme divorino(!) la sua anima e si riversino sulla pagina bianca di un foglio di carta o di un documento word. Mai che la scrittura bruci anche qualche grasso, però. Ma lui non dispera. È sempre grato a quanti hanno apprezzato i suoi lavori, mai nessuno però gli ha proposto pubblicazioni senza chiedergli contributi. Ha partecipato al Laboratorio di Scrittura Creativa della scrittrice Antonella Cilento a Napoli. Tra i premi per la narrativa: 1° (con il racconto brevePiacere Marcello) al concorso Hi-tech 2002 sul sito www.dillo.it ; 1° al Kriterion 2003; 3° al Kriterion 2004; 2° al Kriterion 2011; 5° al premio internazionale Margherita Yourcenar 2004; 6° al premio internazionale Angela Starace 2004; finalista al Città di Empoli – Domenico Rea 2004; 3° (con il racconto La mascella serrata) al concorso L'Inedito 2003. Suoi racconti sono stati pubblicati sulla rivista “Il Segnalibro”, sul sito www.leggendoscrivendo.it, nonché nella raccolta Premio di Rapolano 2004. Ha vinto il premio Energheia 2007 (Matera) miglior testo per la realizzazione di un cortometraggio. Ha pubblicato con Prospettiva Editrice la sua tesi di laurea: Il successo delle Barbie Islamiche. Il racconto lungo La Bocca del Dragone è pubblicato su ilmiolibro.kataweb.it

 

Bresciano (valligiano) over 50, dopo aver svolto attività di ricerca post laurea presso la Fondaçao Blumenau (Stato di Santa Caterina, Brasile) grazie ad una borsa di studio elargita dalla stessa, e ottenuto un collocamento presso l’Università Autonoma De Madrid (Spagna) grazie al programma Europeo Leonardo, Marcello Zane ha imparato due o tre cose sulla salinità del sentimento e la sapidità delle relazioni, restando, per dirla con il protagonista del racconto, panciafichista ed irenico nella disposizione d’animo. Nonostante abbia collaborato a vari uffici stampa pubblici e di grandi aziende, scriva libri di carattere storico economico e faccia parte di varie fondazioni culturali e comitati museali, insegni comunicazione in una università, sia socio di una micro casa editrice, trovo fortunatamente il tempo per… scrivere: naturalmente di quel che lega i sogni agli uomini, le speranze alle evenienze ed ogni briccica all’eternità.

 

Paolo Giammaroni nato a Roma nel 1951, è d’origini umbre e sabino per scelta. Giornalista economico, consulente in comunicazione, ha creato il “Laboratorio di scrittura funzionale o di servizio”. Dopo vari libri di saggistica, si sta dedicando alla forma breve: racconti, haiku, romanzi brevi, oltre che canzoni e musiche di scena. Ha tradotto Valery, Thich Nhat Hahn, Buarque de Hollanda. Per Rai International ha curato sceneggiature di personaggi come Fallaci, Modugno, Stratos.

 

Laureato in filosofia, Roberto Morpurgo scrive poesie, aforismi, saggi, racconti, soggetti cinematografici, pièces teatrali. Ha pubblicato in volume L’azzurro del mare (poesie, Joker) Pregiudizi della libertà I (aforismi, Joker), El Djablo (racconti, Puntoacapo, 2009). Ha diretto per la scena e per la radio i suoi atti unici Tubor eL’Autoritratto. Per Schegge d’Autore (RM) e per La corte della Formica (NA) ha curato nel 2008 la messinscena e la regia del suo monologo L’Isola; sempre al teatro Tordinona di Roma ha poi allestito e diretto le sue pièces Bogey (2009), L’Appello (2010), Pioggerellina nella stanza (2011), L’Intervista(2012). Altre sue pièces sono andate in scena a Roma a cura della compagnia Gnut. Dirige per Puntoacapo la collana di teatro Il Porcospino. Ha vinto il concorso La vita in prosa 2012 con il racconto Muette. Imminente la pubblicazione in volume de L’Autoritratto per i tipi di Falsopiano di Alessandria.

 

Vincenza Scuderi nata a Catania nel 1972, dove vive e dovè germanista presso luniversità. È saggista, traduttrice, e defilatamente ma fortemente poeta. La sua raccolta Accade soprattutto per la strada, prima classificata nella sezione poesia del concorso “Pubblica con noi 2013” di Fara Editore, ha visto una tranquilla gestazione danni. Sta lavorando a una seconda, forse meno lenta raccolta, e ad ulteriori cose di cui dirà poi. Nelle sue vesti germanistiche si occupa di poesia contemporanea (in particolare poesia austriaca sperimentale), cultura visuale, gender studies, traduttologia, e qualcos’altro. Fa parte dellassociazione-casa editriceincerti editori (www.incertieditori.it). enzascu@tiscali.it

 

Ernesta Galgano dice di sé: «Ho sempre avuto l'istinto e il piacere di trascrivere in versi le mie emozioni. Una professione molto impegnativa mi ha assorbita completamente. Sono un medico, ho fatto il chirurgo, quello vero, sul campo, in ospedali italiani e in paesi emergenti come volontaria. Con la pensione e con nuove emozioni ho ripreso a scrivere. Ho avuto riconoscimenti per poesie e racconti in concorsi nazionali ed internazionali. Continuo ad emozionarmi con la musica, con i viaggi, con il desiderio di capire e consolare chi incontro sulla mia strada, anche con le parole, assolutamente sincere.»

 

Luca Carboni è nato a Fano (PU) nel 1973 e risiede a Pesaro. Dopo aver conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna e l’abilitazione all’esercizio della professione, lavora da più di dieci anni presso l’Inail di Pesaro, lavoro che rivendica orgogliosamente essere analogo a quello svolto dal suo idolo letterario, Franz Kafka. Ha preso parte ai corsi di Poesia tenuti all’Università dell’Età Libera di Pesaro dal Prof. Gianni D’Elia. Sta ora frequentando i corsi di Filosofia Teoretica, Storia della Filosofia antica e medioevale e Teologia Fondamentale presso l’I.S.S.R. di Pesaro. Sue opere sono presenti in antologie on line e blog di poesia, ma sicuramente il momento culmine della sua breve carriera poetica è rappresentato dalla partecipazione a “Primavera di Poeti”,con letture tenute nella fascinosa Cripta di San Biagio, nelle immediate vicinanze dell’Eremo di Fonte Avellana.

 

Michela Zanarella è nata a Cittadella, Padova, il 01-07-1980. Vive e lavora a Roma. Inizia a scrivere poesie nel 2004, e la sua poesia è ora tradotta in inglese, francese, spagnolo, arabo. Ha pubblicato sei libri Credo (ed. MeEdusa), Risvegli(ed. Nuovi Poeti), (Vita, infinito, paradisi (ed. Stravagario), Convivendo con le nuvole (ed. GDS), Sensualità(Sangel Edizioni), Meditazioni al femminile (Sangel Edizioni). È Premio Speciale “Poeti per la Repubblica”nella 23^ Edizione Premio Nazionale di Poesia “Rosario Piccolo” 2012. È tra i vincitori del Premio Internazionale di poesia Tredici, indetto dal Centro di Poesia Roma.

 

Mariangela Ruggiu dice di sé: «Sono insegnante di discipline scientifiche, amo la poesia da sempre, ma ho ripreso a scrivere da pochi anni, sono solo dilettante nella poesia cercando di non mancare mai di rispetto a quest’arte. Non ho molto da raccontare, di me, penso che le poesie, una volta scritte, diventino autonome dal loro autore, per questo sono felice di lasciarle qui, perché vadano da sole. Intanto io continuo a vivere la mia normale vita.»

 

Mario Campanino è nato a Milano nel 1967 e si è trasferito a Napoli all’età di dodici anni, pochi mesi prima del terribile terremoto del 1980. Musicista e musicologo, appassionato di volo, da sempre alla ricerca della“verità in scrittura” – per parafrasare Cézanne e Derrida – ha già pubblicato alcune raccolte poetiche su temi diversi. La vita concentrata in 1 moglie, 2 figli, 3 tartarughe, 2 cani e 1 criceto, tutto a Santa Maria a Vico (nella provincia di Caserta) dove vive e legge pochissimo, e oramai solo opere di Joyce.

 

Luca Immordino nasce nell'autunno del 1974 in Italia, da madre italiana e padre italiano: primi indizi di una coerenza che lo porterà a scrivere per poter leggere e leggere per poter scrivere. Appassionato di musica, poesia e arte è ancora oggi alla ricerca del vero senso dell'esistenza; sembrava averlo trovato nella pioggia, fino al giorno in cui scoprì gli ombrelli. Le sue poesie sono dedicate quasi esclusivamente a sconosciuti/e, per cui sentitevi pure tirati in ballo, se vi va.

 

 

 

Recensione di Renzo Montagnoli

MondoBlog del 18 settembre 2013


MondoBlog

 

 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

martedì 10 settembre 2013

Una giornata molto particolare, di Renzo Montagnoli


                                                                     Foto da web



Una giornata molto particolare

di Renzo Montagnoli

 

 

Un’estate così sarebbe stata da ricordare negli anni a venire.

Giorni e giorni di un sole che bruciava, notti torride imperversano da almeno un mese e i loro effetti cominciavano ad avvertirsi chiaramente. A parte la gente che si trascinava al lavoro sotto la canicola, i decessi per disidratazione  o per colpi di sole, erano sempre più frequenti i casi di qualcuno che usciva di testa. Non passava giorno senza che sul giornale si leggesse di un integerrimo cittadino trovato a girare nudo per la città, declamando La Gerusalemme liberata, oppure di una suora impazzita che spergiurava di avere avuto un colloquio a tre con Dio e il Maligno. E questi erano i casi più inoffensivi, perché non era raro che qualcuno, sceso in strada con un coltello in mano con cui stava affettando il salame, si mettesse a menar fendenti a destra e a manca, per non parlare dell’episodio del marito tradito che, per vendetta nei confronti dei maschi, si era messo a fare collezione di testicoli altrui.

Anche nei luoghi in cui si decidevano le sorti del paese non era meglio, anzi le cose erano peggiorate, tanto da far pensare che dei matti erano impazziti, con il presidente del consiglio che, fra il proclama di essere il migliore di tutti i tempi e la promessa che, grazie a lui, sarebbero state guarite tutte le malattie di questo mondo, con tono serio dichiarava che il 105% della popolazione approvava il suo operato.

In questo contesto non era difficile prevedere che quell’estate prima o poi sarebbe scoppiata in qualche cosa di imprevedibile ed eclatante, ma se su questo assunto c’era un concorde giudizio, sul quando e sul come nessuno si sentiva di azzardare previsioni.

I giorni passavano, il caldo aumentava, le colonnine di mercurio scoppiavano.

Il 31 luglio, giornata più torrida della precedente già dall’alba, il notaio Girolamo Sbrogliacarte uscì dalla sua abitazione per recarsi allo studio, distante non più di cinquecento metri. Era anziano, ormai ottuagenario, ma, come sua abitudine, usava il mezzo primitivo, cioè i suoi piedi, per fare una passeggiatina, come soleva dire, anche se 34 gradi già alle 7 del mattino la rendevano ben più faticosa di un’escursione.

Il moto fa bene – aveva detto alla moglie che gli comandava di non andare in ufficio o comunque di ricorrere a un taxi.

Sarà un po’ faticoso, ma si muovono i muscoli, i nervi si tendono, le vene varicose ne hanno un beneficio – aggiunse.

In verità quei 500 metri, o qualcosina di più, gli consentivano di passare dal bar a bersi un caffè fatto come Dio comanda, a fumarsi quella rilassante sigaretta assolutamente proibita da sua moglie e da Linuccia, una cariatide da 120 Kg., sua assistente nello studio e che di fatto se n’era impossessata, a comprare il giornale da quel simpaticone dell’edicolante e a parlare con lui dei titoli di testa, a conversare con tante altre persone che iniziavano, anche loro, ad animare la giornata della piccola cittadina.

Il problema suo era che gli mancava un po’ di libertà; in casa, la moglie gli aveva sempre comandato, trattandolo anche con disprezzo e non era certo meglio l’atmosfera dell’ufficio, con quella Linuccia che non solo mancava di rispetto appena possibile, ma  che addirittura, con il passare degli anni, era diventata quasi una seconda moglie, del tutto simile alla sua.

Come fu fuori di casa trovò, come sempre, l’avvocato Armentano che, stranamente, andava di fretta. Dico stranamente perché era conosciuto per la congenita letargia delle pratiche trattate, cause che si trascinavano da decenni, in cui gli attori e i convenuti mutavano inevitabilmente per successione.

- Buongiorno, avvocato.

- Buongiorno a lei notaio.

- Come ha trascorso la notte?

- Non bene, ma mi deve scusare, perché vado di fretta e sono costretto a non fermarmi.

- Di fretta, avvocato? Come mai?

- E’ una di quelle cause avviate dai nonni e ora con mandanti i nipoti, e sembra che si possa concludere alla svelta.

- Ebbene?

- Ebbene, ci devo mettere tutto il mio ingegno, senza farmi aiutare da quegli scansafatiche dei giovani di studio. Sa, come si dice, chi fa da sé fa per tre.

Boom!

In un attimo il notaio di trovò di fronte tre avvocati Armentano, uguali come gocce d’acqua, che si allontanavano velocemente salutandolo in coro.

Sbrogliacarte rimase a bocca aperta, poi si passò una mano sulla fronte, che scottava.

- Questo caldo fa venire anche le visioni – sbottò, poi prosegui, ma fatti nemmeno pochi metri s’imbatté nella delizia di ogni giorno, la dottoressa Anna Dejure, magistrato del locale tribunale. Alta, ben tornita, due seni da urlo, questa sì che faceva impazzire.

- Buona giornata, signor giudice.

- Buona giornata a lei.

- Fa jogging anche con questo caldo?

- Sì, la forma prima di tutto, e poi quest’ora di corsa mi rilassa e mi aiuta a giudicare meglio.

- Ha ragione.

- Le posso chiedere un favore?

- Dica.

- Può inventarsi un appuntamento con me per oggi nel pomeriggio?

Benché avanti con gli anni, Sbrogliacarte inizio a sbavare, con gli occhi fissi sul ballonzolamento dei seni (il giudice continuava a saltellare su due piedi) e sospirò:- A che proposito?

- Nessuno, ma devo liberarmi del Dottor Pisano, il presidente del tribunale che, con la scusa di una sistemazione delle udienze e a conoscenza del fatto che non ci sarà mio marito, vuole avermi con sé nel pomeriggio per farmi delle proposte che anche lei penso possa immaginare.

- Non c’è problema, ma che devo fare?  – ansimò.

- Questa mattina gli fa una telefonata, dice che ha provato a cercarmi, ma non mi ha trovato, poi lo prega di avvisarmi che l’importante appuntamento nel suo studio di domani è anticipato a oggi nel pomeriggio.

- Va bene, ma lei poi verrà al mio studio?

- Certo che no, ho altri impegni.

Sbrogliacarte fece un sorrisetto di circostanza, poi, di malavoglia, assicurò che avrebbe provveduto in merito. 

- Grazie, notaio, lei è sempre gentile. Non sa il piacere che mi ha fatto, perché sa, come si dice, è meglio un morto in casa che un Pisano all’uscio.

Boom!

Squillò il telefonino del giudice, lei accostò l’orecchio e impallidì, poi il suo volto assunse un’espressione d’angoscia.

- Che è successo?

- Devo correre a casa, è morto mio marito!

Rimase basito e la guardò correre verso casa il più velocemente possibile.

Come imbambolato riprese il cammino e quasi nemmeno s’accorse del parroco che lo sorpassò. Notò solo le chiappe che dondolavano, belle tornite, d’un bianco latteo rispetto al resto del corpo, nudo come mamma l’aveva fatto.

Era il momento del giornale, quello più atteso, con l’edicolante, Matteo Stampa, già sessantottino, poi della gioventù comunista, approdato con rammarico al Partito Democratico.

- Buongiorno, notaio. Ha sentito la notizia?

- Quale notizia.

- Il nostro segretario ha detto che quello che sta al governo, quello che comanda tutti deve andarsene. Lei che dice?

- Dico che finalmente l’opposizione fa l’opposizione.

- Parole sante, soprattutto perché dette da un borghese come lei. Mi piace il nostro segretario, uomo deciso, che dice pane al pane e vino al vino. Era ora che ci fosse una dichiarazione del genere e ora, a quello, gliela faremo vedere noi!

- Vedremo.

- Vedremo? Il nostro ha fatto il passo, dicendo quello che vado predicando da tempo: bisogna prendere il toro per le corna!

L’edicola, un chiosco in ghisa, ebbe come dei sussulti, come se fosse sbattuta di qua e di là.

Sbrogliacarte alzò gli occhi dalla prima pagina del suo quotidiano, già immaginando quello che avrebbe visto e così fu.

Matteo Stampa si affannava, con uno sforzo sovrumano, a resistere a un magnifico toro Miura che teneva per le corna. La bestia, ma che dico, il mostro, sbuffava, scalciava, con gli occhi iniettati di sangue.

Il notaio si allontanò il più velocemente possibile, percependo con la coda dell’occhio che l’edicola, divelta dalle sue fondamenta, veniva sbattuta in aria.

Un caffè, ecco quello che ci voleva, un caffè forte e quindi si precipitò al bar.

- Un caffè, Marianna.

- Che fretta, Notaio, non ha caldo?

- Sì, sì ho caldo, ma bramavo il tuo caffè.

- Un attimo e lo faccio. A proposito, ha saputo di quel che è successo alla signora Lidia?

- Lidia?

- Sì, quella mezz’età ancora fascinosa e con la faccia da troia.

- Ho capito, ma cos’è accaduto?

- Lei, che lo ha sempre tradito con il primo paio di pantaloni che incontrava, lo ha trovato a letto con la Rosa.

- Chi ha trovato a letto?

- Ma Ernesto, il marito!

Sbrogliacarte prese la notizia con beneficio di ampio e accurato inventario, perché Marianna, la lingua lunga del quartiere, ne raccontava di vere due e di false dieci.

- Ernesto con la Rosa? Lui ha una quarantina d’anni e lei ne ha ottanta!

- Beh, che c’è, al cuor non si comanda.

- Certo che deve avere un bello stomaco.

- Eh, caro notaio, la Rosa non sarà un fiore, ma è una esperta e certi uomini desiderano cose inconfessabili.

- Spero almeno che l’abbia fatto a luce spenta, ma mi sembra talmente impossibile, che stento a credere.

- Notaio, la qui presente Marianna non racconta balle. Che mi prenda un fulmine, se ho mentito.

- Noooooooooooo!

Boom.

Una volta ripresosi dall’abbagliamento di quella luce accecante, cercò invano Marianna, ma oltre il banco non trovò che un mucchietto di carne carbonizzata.

Niente caffè, una giornata jellata.

Riprese il cammino e per fortuna fino a quasi nei pressi dello studio non incontrò nessuno, a parte uno scalmanato che gettava mobili dal balcone, un altro che da dietro a una finestra sparava sui passanti dell’altro marciapiede e un’automobilista che si sforzava di parcheggiare dentro un cassonetto delle immondizie.

- Caro Girolamo!

La voce si materializzò con il possessore.

Sbrogliacarte guardò l’uomo che gli si trovava davanti, ma per quanti sforzi facesse non gli ricordava nessuno.

- Terza elementare, secondo banco da sinistra.

- Non ricordo.

- Non ricordi? Ma se ti rubavo sempre le merendine.

Ci fu una prima schiarita nelle nubi mentali del notaio.

- Figlio di un cane, allora eri tu il ladro.

- Ragazzate, bambinate, e poi è passato tanto tempo.

- Sì, ora mi viene in mente, ma non ricordo il nome.

- Antonio, Antonio Gazza.

- Ma certo, Antonio, l’Arsenio Lupin delle merendine.

- Ti piace sempre scherzare, noto.

- La butto in ridere, ma tu non puoi sapere quanto mi sono mancate le merendine. Beh, come stai e come ti va?

- Sto bene e mi va liscia come l’olio, ho fatto carriera.

- Non rubi più le merendine, allora; mi chiedo il perché sottrarre a un altro bambino la sua colazione, visto che tu avevi la tua.

- Sai, Girolamo, come si dice l’occasione rende l’uomo ladro.

- Nooooooooo!

Non accadde nulla, però.

- No? Prendi i nostri politici, che non si accontentano delle occasioni che si presentano ma che le creano.

- Vero.

- Girolamo, ora devo andare, ma ti assicuro che ci ritroveremo. Ciao.

- Ciao.

Strano, ma non era successo nulla, proprio nulla. Guardò l’amico ritrovato allontanarsi, poi riprese la strada verso lo studio.

Erano accadute cose strane, che lo avevano turbato, ma ora si sentiva calmo e leggero. Leggero? Un po’ troppo leggero e la sua mano corse frenetica alla tasca interna della giacca dove teneva il portafoglio, senza tuttavia trovarlo.

Antonio, hai fatto veramente carriera, dalle merendine ai portafogli – disse fra sé.

Un ordine imperioso lo fece trasalire.

- Presto, che è tardi – il bombolone da 120 Kg. stava sulla porta dello studio, lo sguardo torvo, agitando una mano come se tenesse il frustino.

- C’è da fare, al lavoro, pelandrone.

Sbrogliacarte pensò alla sua vita, fra l’incudine (il bombolone) e il martello (sua moglie): ordini su ordini, nessuna libertà, prospettive zero.

Gli venne l’idea, ben sapendo quello che faceva e con sollievo urlò: - No! Basta, vecchia balena!

Lei lo guardò stupita, mentre lui la fissava ripetendo mentalmente Fa che lo dica, fa che lo dica…

Il bombolone sbottò in una risata, esclamando: - Ma che ti prende? Non ti ho mai visto così, cacasotto; sei sempre stato a testa china e ti ribelli ora che sei decrepito?  Io lo so che cosa ti è capitato, anzi ne sono sicura, ti è venuto l’alzheimer. Certo, l’alzheimer, e magari già ti pisci addosso.

Lui non rispondeva, in ansia attendeva quella frase, si limitò solo a riderle in faccia.

- Ridi, che hai da ridere? Sei proprio diventato scemo  e se non è così che mi venga un accidente!

Fu un attimo e il bombolone rovinò a terra, con un gran sconquasso, sollevando un polverone.

Sbrogliacarte tirò un sospiro di sollievo, perché dopo una vita da sottomesso quello era il suo giorno fortunato e doveva approfittarne. Non restava che lei, quell’arpia di sua moglie, ma adesso l’avrebbe sistemata. Si avviò veloce verso casa, con il sudore che colava a rivoli, e poi a ruscelli, e poi a veri e propri fiumi che lo inzuppavano tutto.

Quella frase, quella pronunciata dal bombolone doveva uscire anche dalle labbra della sua acida metà.  Gliela avrebbe tirata fuori, rinfacciandole tutta una vita di tormenti, di ordini, di piatti lavati, di pulizie effettuate in casa, ah sì non avrebbe potuto non reagire a quello che le avrebbe detto.

Giunse infine davanti alla porta, suonò.

Nulla, nessun rumore, nemmeno la sua voce sguaiata, suonò di nuovo, stesso risultato. Allora prese la chiave, l’infilò tremando nella toppa ed aprì. Il corridoio era buio, come tutta la casa, con ancora le serrande abbassate. Cominciò a preoccuparsi, andò in ogni camera e fu nel bagno che la trovò, riversa sul pavimento, gli occhi sbarrati, ormai esanime da ore.

Si mise a ridere, alzò le braccia al cielo e s’inginocchiò a ringraziare il Dio dei reietti.

Restò così, ancora incredulo, poi si rialzò e ritornò in bagno.

Sì, non c’era ombra di dubbio, l’arpia era proprio morta.

Gli occhi sbarrati fissavano il vuoto e anche lui provò a seguirne il percorso: il lavandino, le mattonelle verdastre, la doccia. Non avrebbe più gridato, né lo avrebbe obbligato a pulire i pavimenti, insomma era finalmente libero.

Si spogliò lentamente, poi si accoccolò nella doccia, a godere della frescura dell’acqua che scivolava sulla sua pelle.

- Libero! - gridò.

- Libero! – ripeté più volte.

Uscì dal piatto e vide riflessa nello specchio l’immagine di un vecchio cadente, con la pelle raggrinzita, le spalle piegate, il pene floscio.

- Libero, ma di far che? – si domandò.

Una vita prossima futura in completa solitudine, in attesa dell’ultimo passo e cominciò a rimpiangere le sgridate del bombolone, gli ordini secchi e perentori della moglie.

La vendetta ha sempre un amaro sapore ed era quello che sentiva nella sua bocca, mentre dallo stomaco saliva come una serpe il rimorso.

Si accorse che se ripensava alla sua vita questa era stata solo un susseguirsi di sconfitte, dalla professione ereditata dal padre e che aveva svolto di malavoglia, a quel matrimonio combinato che lo aveva reso schiavo della moglie.

E ora che aveva finalmente ottenuto una vittoria, si accorgeva che in pratica era una sconfitta, che i vinti, anzi le vinte, nel lasciarlo solo lo avevano messo di fronte alla realtà di un fallimento totale e insanabile.

Non c’era più tempo per ricominciare, tutti i giochi sul tavolo della roulette erano fatti e la pallina del destino, che girava vorticosa, si sarebbe fermata su un numero che non sarebbe mai stato il suo, su decisioni che non aveva mai preso e che non aveva mai voluto prendere, a meno che… 

Gli si abbozzò sul volto un ghigno ironico, prese fiato e poi gridò con tutte le sue forze - Che mi venga un accidente! All’improvviso balenò negli occhi un sorriso di sollievo, questione di attimi, di impercettibili istanti, mentre intorno a lui si spegneva ogni luce.