giovedì 9 aprile 2015

Il migliore, di Renzo Montagnoli

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Il migliore
di Renzo Montagnoli


Era il migliore
ma lui non lo sapeva.
Fra tutti silenzioso
stava ad ascoltare
discorsi spesso
di lana caprina
e mai interveniva
umile com’era.
Ma un giorno
che s’andava a zonzo
tanto per ingannare il tempo
aprì la bocca
timido e schivo
per dire che la vita
é solo un giro a vuoto
un brancolar nel buio
senza una meta.
Aveva capito tutto
lui uomo silenzioso
che a noi s’accompagnava
in questo giro inconcludente
e quando ci lasciò
pare abbia detto
-ma non s’è sicuri
data la voce flebile
degli ultimi respiri-
Sono arrivato.
Noi si continua a girare
scacciando quella frase
che ogni tanto torna a ricordare
che l’uomo corre inutilmente
per poi alla fine in eterno riposare.

Da La pietà

Coro e tromba dei nostri alpini in onore del migliore:




Fondamentalismo islamico: l’Occidente deve temere di più se stesso, di Renzo Montagnoli

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Fondamentalismo islamico: l’Occidente deve temere di più se stesso
di Renzo Montagnoli



Il fondamentalismo islamico si va espandendo, non solo nel mondo mussulmano, ma anche in quello occidentale, lasciando dietro di sé una scia di sangue.
Nel precisare che sono da sempre contro ogni forma di violenza, mi chiedo se sia possibile trovare un rimedio rapido e definitivo.
Prima di tutto occorre osservare e conoscere bene il fenomeno, perché ormai non ci troviamo di fronte a qualche esaltato, ma a una vera e propria massa di fanatici che in nome di una religione che non ammette la violenza la pratica invece quotidianamente. È indispensabile chiedersi il perché, senza star lì a richiamare luoghi comuni che nulla portano a un’effettiva comprensione. Ma al di là di questo studio che per riuscire utile deve essere approfondito e senza preconcetti, non riuscendo a guardare in casa d’altri perché al momento il loro comportamento mi è incomprensibile, credo che assai più rapido e più proficuo sia osservare la nostra dimora, quell’occidente che pretende tuttora di essere forgiatore ed esportatore di civiltà. 
In questi giorni ho letto un saggio storico assai interessante, scritto dal professor Alessandro Barbero, tanto per intenderci quel personaggio che sovente è ospite dei programmi di Rai Storia e che si fa giustamente apprezzare per la semplicità dell’esposizione, non disgiunta da una certa ironia, tale da rendere affascinante qualsiasi argomento trattato. Il libro si intitola 9 agosto 378 il giorno dei barbari e parla della battaglia di Adrianopoli svoltasi in quella data in Tracia e vide contrapposti i Goti e l’esercito dell’impero romano d’oriente, che ne uscì letteralmente annientato. La teoria di  Barbero, condivisa da altri storici, è che quella sconfitta segnò in modo indelebile l’impero romano, sgretolandone le basi, e che perciò quella data segna la fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo. Questo scontro infausto si inserì in effetti in un periodo, non breve, ma nemmeno troppo lungo, di decadenza, provocata, secondo non pochi storici, da diverse cause: secoli di conquiste e poi la decisione di fermarsi, perché i confini, troppo ampliati, erano difficili da difendere, la penuria nell’esercito di autentici romani che faceva sì che annoverasse nei suoi ranghi soprattutto truppe barbare, un flusso migratorio dalle zone poco civilizzate, agevolato sia per rimpolpare i corpi militari, sia per disporre di mano d’opera a basso costo, l’incertezza del potere, con imperatori che si succedevano con troppa rapidità, imposti dai loro stessi soldati, la diffusione del cristianesimo, che sminuiva la figura dell’imperatore, non più divino, e che cercava di allentare la schiavitù, la corruzione sempre presente a ogni livello, il vizio di mettere nei posti di responsabilità persone solo fedeli, ma spesso incapaci, la crisi economica, con un’inflazione crescente. Ecco, tutti insieme questi elementi collaborarono alla disgregazione dell’impero e la battaglia di Adrianopoli fu solo l’evento che di colpo mise alla luce una fragilità a lungo nascosta.
Non tutte queste cause sono presenti nel mondo occidentale, permeato dall’assenza di valori, e quindi di ideali, visto che l’unico scopo che sembra veramente contare è guadagnare sempre di più, ci sono i giganteschi flussi migratori, quasi esclusivamente verso l’Europa, che sono inarrestabili solo perché c’è gente che ci specula non poco;  troviamo anche la corruzione, che interessa, per quanto a diverse misure, tutto il mondo occidentale, l’instabilità politica tipica della democrazia, la crisi economica che è insita in un sistema volto a una continua e irragionevole crescita produttiva, la pochezza di chi comanda che, per evitare di essere spodestato, si avvale di collaboratori di bassa qualità, e infine, in aggiunta – ma questo accadeva anche in epoca romana, vista la necessità di immettere nell’esercito i barbari immigrati -  la tendenza a una graduale penetrazione nei gangli vitali del sistema di elementi di altra civiltà, motivati da un evidente desiderio di emancipazione. Se voglio essere più chiaro e sintetico, posso dire che l’islam, che in passato è stato maestro di civiltà, vive un lungo medioevo, lo stesso medioevo verso il quale l’Occidente si sta avviando.
Occorre ricordare che per essere forti con il nemico occorre conoscerlo bene, ma è soprattutto indispensabile essere forti noi stessi. È una caratteristica che non esiste più, purtroppo, e al riguardo basta vedere le profonde divisioni di un’Europa che dovrebbe essere unita da tempo e che invece si divide in mille rivoli di interessi nazionali. A un esercito perché sia forte occorre poi dare le armi giuste, fare terra bruciata intorno al nemico e ai suoi possibili fiancheggiatori, dare anche una motivazione alle sue truppe, un ideale che ahimé non c’è, ed essere coerenti, non solo condannando a parole, ma anche nei fatti, poiché per mero interesse c’è chi commercia con questi fondamentalisti, chi vende loro le armi, chi aiuta i flussi migratori clandestini, e non si tratta di personaggi di piccolo cabotaggio, ma di strutture sorte ad hoc, ben consolidate e ramificate.  
Ecco perché l’Occidente deve temere se stesso, ecco perché il fondamentalismo islamico può continuare a vivere e a prosperare.



9 agosto 378 il giorno dei barbari, di Alessandro Barbero



9 agosto 378 il giorno dei barbari
di Alessandro Barbero
Editori Laterza
Storia
Pagg. 248
ISBN  9788842084099
Prezzo € 11,00


La fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo


La storia mi è sempre piaciuta, perché la conoscenza del passato può aiutare a comprendere molti fatti del presente e addirittura a prevederne altri che potrebbero avvenire in futuro. È per questo motivo che, benché non sia di certo un appassionato di programmi televisivi, quando mi è possibile non mi lascio sfuggire quelli proposti da Rai Storia. E appunto guardando alcuni di questi, cime quello sulle Crociate, mi sono imbattuto in un professore universitario piemontese, Alessandro Barbero, che mi ha stupito per la semplicità con cui è capace di raccontare grandi avvenimenti storici, non disgiunta da una sana ironia che finisce inevitabilmente per attrarre il telespettatore.  Da lì e reperire presso la biblioteca del mio paese un suo libro il passo è stato breve e la mia scelta è caduta su 9 Agosto 378 Il giorno dei barbari. Non è un caso se ho optato per questo titolo, ma, così a memoria, ricordo che nei miei studi scolastici la fine dell’impero romano e con esso dell’antichità, con avvio al medioevo, era liquidata in poche pagine, tanto che quasi all’improvviso lo studente apprendeva della divisione dell’impero romano in due entità: quello d’occidente e quello d’oriente; nulla i libri riportavano sul perché di questa divisione e i miei insegnanti nulla aggiungevano, poi cominciavano le invasioni dei barbari, degli Unni, dei Goti, degli Ostrogoti, un susseguirsi di guerre deleterie esposte inin paio di paginette. Era quindi logico il mio desiderio di approfondire, di colmare quelle incolpevoli lacune scolastiche che creavano nella mia mente una situazione confusa, un succedersi di eventi di cui non riuscivo a trovare il filo, come se si fosse trattato di fatti con correlati, ma del tutto autonomi. Devo dire che questo bel saggio di Barbero è pienamente venuto incontro alle mie esigenze, e ciò  seguendo un discorso razionale, lasciando ben poco spazio alla fantasia, in modo semplice e accattivante, così che la lettura, oltre che particolarmente istruttiva, mi è risultata facile, per nulla greve, anzi di una particolare e appagante gradevolezza. Insomma si può dire che il professor Barbero scrive come parla in televisione e mi auguro che sia altrettanto chiaro, completo e piacevole quando insegna.   
C’è da chiedersi perché è importante questa data, che cosa è accaduto il 9 agosto 378, un giorno tale da restare memorabile. Ebbene si svolse la battaglia di Adrianopoli, città sita nella provincia romana della Tracia, che corrispondeva all’attuale Turchia europea. Lo scontro vide contrapposti da un lato l’imperatore dell’Impero romano d’oriente Valente con il suo ben addestrato esercito e dall’altro Fritigerno con i suoi Goti. L’esito fu fatale ai romani, che vennero pressoché annientati e fra essi anche Valente. Barbero, nel prologo al suo libro, tiene a precisare come questa battaglia comunque non sia famosa come quelle di Waterloo e di Stalingrado, anche se il suo esito finì con il segnare, come opinione anche di altri storici, la fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo. L’autore è molto bravo nel delineare gli antefatti, ponendo in luce le trasformazioni intervenute nell’impero romano, le diversità esistenti fra la parte occidentale e quella orientale dello stesso, la diffusione della religione cristiana fra i barbari, quella religione che era già quella ufficiale nell’impero, ed è altrettanto capace di tratteggiare le conseguenze di questa sconfitta, cioè quella caduta inarrestabile di Roma, al cui tonfo si evidenziò quel periodo da non pochi considerato oscuro, ma che pure aveva anche dei valori non indifferenti, e che viene chiamato Medioevo.  Credo di poter dire di essere sostanzialmente in accordo con il pensiero di Barbero, tranne in un elemento non certo da poco: la decadenza. Secondo l’autore l’impero non era certamente in condizioni salde e floride, ma non poteva essere considerato in condizioni di collassare gradualmente. Al riguardo, tuttavia, Barbero cita, dando prova di molta obiettività, in quanto di opinione contraria alla sua, il Gibbon, storico inglese che ha scritto un’opera di grande valore (Declino e caduta dell’impero romano) in base alla quale l’impero, alla vigilia delle famose invasioni barbariche, era un’entità in profonda decadenza. Personalmente sto conGibbon, perché già da diverso tempo Roma era minata profondamente nella sua struttura da tutta una serie di problemi, alcuni dei quali peraltro evidenziati anche da Barbero, e che la facevano apparire sì come un colosso, ma dai piedi d’argilla. Queste erano le cause: secoli di conquiste e poi la decisione di fermarsi, perché i confini, troppo ampliati, erano difficili da difendere; la penuria nell’esercito di autentici romani che faceva sì che annoverasse nei suoi ranghi soprattutto truppe barbare; un flusso migratorio dalle zone poco civilizzate, agevolato sia per rimpolpare i corpi militari, sia per disporre di mano d’opera a basso costo; l’incertezza del potere, con imperatori che si succedevano con troppa rapidità, imposti dai loro stessi soldati; la diffusione del cristianesimo, che sminuiva la figura dell’imperatore, non più divino, e che cercava di allentare la schiavitù; la corruzione sempre presente a ogni livello; il vizio di mettere nei posti di responsabilità persone solo fedeli, ma spesso incapaci; la crisi economica, con un’inflazione crescente.Messe tutte insieme collaborarono alla disgregazione dell’impero e la battaglia diAdrianopoli è solo il fatto che di colpo mette alla luce una fragilità a lungo nascosta.  Ed è strano come la storia si ripeta: spostiamoci di circa 1.600 anni e possiamo rilevare come parte di queste cause sia presente anche oggi, nel nostro Stato, augurandoci che non vi sia un’altra Adrianopoli e che quell’atmosfera da basso impero che si respira venga alla fine fugata. Questo riscontro è un’ulteriore prova di come la conoscenza del passato possa spiegare il presente.
Corredato da un ampio elenco bibliografico, il saggio di Barbero è ampiamente meritevole di essere letto e, sempre per restare in epoca romana, è una lettura talmente piacevole che mi sento di dire che anche per questo, come per pochi altri, vale la locuzione latina jucunde docet.     


Alessandro Barbero insegna Storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale, sede di Vercelli. Studioso di prestigio, noto al largo pubblico, ha pubblicato molti volumi. Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo è il primo dei suoi romanzi di successo (Premio Strega 1996, tradotto in sette lingue), al quale altri sono seguiti, tutti editi da Mondadori. Per Laterza è autore di opere più volte ristampate, alcune delle quali tradotte nelle principali lingue.



Recensione di Renzo Montagnoli

MondoBlog del 9 aprile 2015

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