mercoledì 15 giugno 2016

La maestrina di Careste, di Stefano Giannini

La maestrina di Careste
di Stefano Giannini


Oggi sento il bisogno di raccontare della mia iniziazione alla vita, al lavoro e all’amore. Benché siano trascorsi un sacco d’anni, quei giorni ”particolari” escono ancora nitidi dallo scrigno segreto dei miei ricordi  ove si sono conservati pressoché intatti.
Si trattava della mia prima occupazione da dipendente, dopo aver abbandonato il collegio. Il lavoro consisteva nel rimboschimento degli incolti e brulli pendii di parte delle nostre colline, un lavoro duro e faticoso, remunerato con 500 lire il  giorno e una minestra calda,  preparata sul posto da alcune operaie.
Situazioni impensabili per questi tempi di vacche grasse.
Tutte le mattine alle sette e mezzo, noi operai agricoli dovevamo trovarci nel cantiere oltre il monte di Rullato. Chi con la falce tagliava l’erba, altri con la zappa, la vanga ed il badile scavavano delle buche nel terreno, profonde ottanta centimetri circa, a distanza regolare l’una dall’altra. Un altro gruppo poi v’interrava le piantine di sempreverdi. Qualcun’altro apriva dei sentieri per meglio muoverci su quelle ripide scarpate.
I primi giorni, dato che ero il più giovane, appena sedicenne, mi fecero fare il “bocia”, cioè portare l’acqua da bere in giro a tutti gli operai sparsi sul cantiere.
Vi erano anche quattro o cinque donne. Esse avevano il compito di procurare la legna per il fuoco e cuocere da mangiare : spaghetti, maccheroni, fagioli e fare il sugo per tutti.
Ricordo che il caporale era un uomo alto con baffi spioventi, il capo cantiere era una Guardia Forestale, perché tutti quei lavori dipendevano direttamente dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste, facevano parte del primo “Piano Fanfani” per la montagna.
Fu per me una grande esperienza, molto importante, che contribuì molto alla formazione del mio carattere e alla conoscenza degli altri. In qui giorni provai delle grandi emozioni e nuove sensazioni.
Considerati oggi, dopo le vicissitudini di una vita travagliata e ormai vissuta, quelli non furono solo giorni pieni di sacrifici e tanta fatica, avevano anche un loro “sapore” di vita. Senza capire il perché, ero felice e contento del mio lavoro. Era importante poter guadagnare quei pochi soldi. Addirittura ero orgoglioso di farlo. Mi sentivo un uomo come tutti gli altri. Ero conscio di fare qualcosa d’utile e importante per la mia famiglia e per la nazione.

Lavoravamo cantando serenate e stornelli con doppi sensi rivolti alle donne, le quali, ci rispondevano con altri altrettanto piccanti.
Dopo il terzo giorno, il capo squadra mi mandò a pulire il sentiero che, attraversando il cantiere, dopo cento tornanti, portava in cima al monte dove l’anno prima gli operai avevano costruito una graziosa celletta in onore della Madonna.
A fine di settimana, il sabato mattino, ritornavamo a casa distante quattro ore di cammino. Ricordo che per strada cantavamo a squarciagola la canzone in voga, molto nota perché aveva vinto il Festival di San Remo di quell’anno :”Vola Colomba”. Mi piaceva tanto la strofa che fa : noi lasciavamo il cantiere lieti del nostro lavoro, e il campanon dindon ci faceva il coro...ecc.

A metà della settimana seguente, finimmo il pane. I miei paesani chiesero al capo squadra il permesso di lasciarmi tornare al nostro borgo per prendere un po’ di pagnotte e degli abiti per cambiarci.
Il mattino seguente, con il mio zaino in spalla, m’incamminai cantando, solo, soletto, per la mulattiera che conduceva verso casa .
Dalle parti di Careste vi fu l’incontro, forse, più bello della mia vita. Stavo uscendo dal sentiero che attraversava un boschetto, quando improvvisamente la vidi apparire in lontananza, veniva verso me a passo lesto. In un primo momento pensai fosse un angelo. Era giovane, mora, con il capelli sciolti che le scivolavano sulle spalle. La figura snella, indossava una camicetta bianca fiorita ed una gonna lunga, rossa. Calzava stivali di gomma. Il terreno era fangoso, avendo piovuto il giorno prima .
Poichè allora ero timido come un passero, il cuore iniziò ad accelerare i battiti, prima ancora d’incontrarla. Due minuti dopo eravamo a faccia, faccia. Non sapevo dove guardare e cosa dirle. Lei, a testa bassa, con un fil di voce disse :”Buon giorno”. Con voce tremante, risposi :”Buon giorno signorina…”.
Avrà avuto, all’incirca, diciotto/diciannove anni. Ci eravamo appena incrociati, e stava per allontanarsi; col cuore in tumulto, facendo una forzatura alla mia timidezza, pensai : ”Coraggioadesso o mai più ”. Pronto, inventai una bugia :”Scusi signorina, nonsonopratico…, vado bene per Sorbano ?”. Lei si rigirò e rispose :”Si..., avanti ancora un po’...è dietro quel colle”. Con più coraggio le chiesi dove andava, rispose che, si recavaaCareste a parlare con il Parroco, Don Antonio Tonetti, per accordarsi sulla scuola. Chiesi :” Perché, che lavoro fa ?” Con una voce dolce, soave, armoniosa, ed un lieve sorriso sulle labbra, mi disse d’essere la nuova maestra, veniva da Bagno di Romagna, le era stata assegnata la scuola elementare di Careste.
Notai che anche lei era timida ed emozionata. Per un attimo ci guardammo negli occhi...Affascinato, mi sembrava di sognare... Ero al settimo cielo !  Avrei voluto dirle tante cose... Un groviglio di pensieri si affastellavano tutti insieme nella mente, ma le labbra restavano saldamente serrate.
Cumuli di fantasticherie mi riempivano la testa in un guazzabuglio indescrivibile. Furono momenti, sconvolgenti, così carichi di emozione e di tensione, certamente unici e irripetibili.
Mi trovavo nel periodo forse più critico della vita, l’adolescenza, con l’improvvisa scoperta dell’altro sesso così desiderabile ma complesso.
Le ragazze erano viste come esseri sublimi ed irraggiungibili. Nei loro confronti, c’erano desideri inespressi ma tutti repressi. Sentivo una fortissima attrazione verso di loro e contemporaneamente l’incapacità di avvicinarle, di iniziare l’approccio. L’emozione e la timidezza bloccavano ogni tentativo sul nascere. In tal modo, accumulando insuccesso ad insuccesso, si formava nel mio io una massa di energia forzatamente imbrigliata e compressa, difficilmente contenibile a lungo.
Quel giorno, per la prima volta, come una bomba, stava per scoppiare, come la rottura di una diga, l’acqua stava tumultuosamente straripando.
L’incontro ed il breve dialogo durarono solo pochi minuti, ma furono così intensi,che per molti mesi ripensai alla scena e mi rammaricai tanto per le cose che avrei potuto dirle. Non le chiesi neppure il nome e tantomeno l’appuntamento per un altro incontro. Quanti accidenti mi sono mandato in seguito per quelle domande rimaste mute !
In compenso, riuscii a vederle bene il viso... : era di un’ovale perfetto, luminoso, guance rosa, occhi grigi e profondi, molto espressivi.  L’insieme un incanto ! Restai letteralmente abbagliato !
Al collo, legato sopra la camicetta, portava un foulard rosso che le donava tanto.

Ricordo le sue ultime parole :”Ora devo andare, si fa tardi... il Parroco mi aspetta,...arrivederci !” Balbettai un :”arrivederci... io vado a Sorbano, ritorno questa sera... forse ci rincontreremo...” Rispose : ”forse !” E subito si allontanò.  Restai attonito e confuso.
Ancora stordito la segui con gli occhi finché scomparve in mezzo al boschetto.
Mi sembra di vedere ancora quella sottana rossa che accarezza frusciando i cespugli di ginestre in fiore formando un cromatico gioco d’intensi colori.
Non la rividi mai più!  Ripercorsi la stessa strada, andando e tornando da Rullato, per almeno altre quattro o cinque volte, sperando sempre di incontrarla, ma invano.
Quell’unico, fortuito incontro, fu come una meteora che, veloce, solcò il cielo della mia anima limpida e innocente, lasciandovi impressa una traccia indelebile


2 commenti:

  1. Un racconto, che è anche memoria, letto con molto piacere. Che solco profondo tra quel periodo lontano e l'oggi, tra i comportamenti di allora e quelli odierni. Molto interessanti anche gli argomenti trattati, il lavoro minorile, per esempio, che allora era qualcosa di assolutamente normale, a tal punto da esserne fieri, un modo per sentirsi adulti, e poi, i primi approcci con l'altro sesso, così timidi e maldestri, così diversi, in molti casi, perlomeno, da quelli attuali.
    Grazie.
    Piera

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    1. grazie Piera del commento col quale hai colto appieno l'atmosfera del racconto. Stefano Giannini

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