lunedì 26 settembre 2016

Cammina con l’acqua: breve vacanza in Alta Val Seriana, di Siti




Cammina con l’acqua: breve vacanza in Alta Val Seriana
di Siti



Terra, che ‘l Serio bagna, e ‘l Brembo inonda, 
che monti, e valli mostri all’una mano,
 
ed all’altra il tuo verde, e largo piano
 
or ampia, ed or sublime, ed or profonda;
 

perch’io cercassi pur di sponda in sponda
 
Nilo, Istro, Gange, o s’altro è più lontano,
 
o mar da terra chiuso, o l’Oceano
 
che d’ogni intorno lui cinge, e circonda;
 

riveder non potrei parte più cara,
 
e gradita di te, da cui mi venne
 
in riva al gran Tirren famoso Padre,
 

che fra l’arme cantò rime leggiadre,
 
benchè la fama tua pur si rischiara,
 
e si dispiega al Ciel con altre penne”.
 
Torquato Tasso (1586), Rime, Einaudi

L’Italia offre al visitatore luoghi meravigliosi, da nord a sud, e una varietà di paesaggi che nella loro specificità regalano a chi li frequenta non solo stimoli visivi ma anche culturali.
Recentemente sono stata in val Seriana, la culla del fiume Serio, nelle Prealpi Orobie e vi ho scoperto dei luoghi meravigliosi. Invitata da un caro amico, ho raggiunto Bergamo con la mia famiglia- marito e due bimbi di sette e nove anni- sul finire di questo caldo luglio 2016. In realtà Bergamo ci accolti con un temporale rinfrescante che ci ha permesso di smaltire in breve i quaranta gradi della Sardegna, terra dei miei natali.
Superato il primo sconcerto e valutata la possibilità di salire comunque in montagna, ci siamo diretti verso Valbondione, il comune più settentrionale della provincia di Bergamo, per raggiungere a piedi il rifugio Antonio Curò, meta e punto di appoggio per le successive escursioni.
Il comune è anche il più esteso fra quelli della provincia e annovera tre vette che superano i tremila metri: Pizzo Coca, Pizzo Redorta e Punta Scais. Il paese è bagnato dal fiume Serio che nasce alle pendici del monte Torena presso l’omonimo passo del Serio e che, nutrito da numerosi torrenti in uno splendido tripudio di acque, arricchisce la principale valle, Bondione appunto, con il suo spettacolare salto che dà origine alla cascata del Serio, un triplice salto per complessivi 315 metri, il più alto d'Italia e il secondo in EuropaIl primo impatto visivo percorrendo il sentiero che conduce al rifugio è proprio dato dalla cascata che, sebbene sia chiusa a causa dell’invaso artificiale creato a monte nel 1931, riesce comunque a suggerire la potenza della sua discesa e sfiata incessante i suoi acquatici gorgoglii anche serrata. Attualmente un accordo tra l’Enel e il comune garantisce l’apertura delle cascate secondo un calendario che sposa l’alta stagione turistica e permette di godere di questo spettacolo anche in notturna. Noi non l’abbiamo potuto ammirare ma ciò non è motivo di cruccio: il Serio è stato comunque il protagonista indiscusso dei nostri itinerari. Ve ne offro un percorso a ritroso, d’altronde l’etimologia della parola Serio ci porterebbe, secondo alcune fonti, al significato di cammina con l’acqua. E allora, avviamoci.





SENTIERO 305 – VALBONDIONE- RIFUGIO CURO’
Stimato per un tempo di percorrenza di tre ore, il sentiero parte da quota 940 m, risale il fianco della valle lasciando in basso il corso del fiume. Caratterizzato da un ampio sterrato nel tratto iniziale, percorribile anche in jeep fino al punto di partenza della teleferica che porta i viveri al rifugio, si trasforma in mulattiera che dolcemente conduce a superare l’ampio dislivello che termina ai 1915m del Rifugio Curò, superato anche un suggestivo salto aereo scavato sulla roccia del monte. Chi conosce il territorio, percorre questo sentiero anche a sera inoltrata per poi ritornare con la sola luce di una frontale, semplicemente per gustare i favolosi piatti del cuoco e rifugista Angelo che insieme a Fabio e alle rispettive mogli tiene in gestione il “Curò” da diversi anni con passione e successo.





IL VECCHIO RIFUGIO E IL MODERNO OSTELLO
Giunti a monte ciò che colpisce è l’accostamento del vecchio col nuovo, il moderno ostello precede il vecchio rifugio, ma salendo è lui che vedi , è lui che agogni. Il design moderno dell’ostello più alto d’Europa non ruba al cuore il desiderio del vecchio: è lì che berrai una birra fresca, è lì che mangerai una squisita fetta torta, è lì che cercherai compagnia anche se alloggerai in una camera confortevole dotata di bagno privato. L’ostello, finanziato in parte con i soldi dell’U.E. ha innescato vive polemiche sull’opportunità stessa della sua esistenza in quanto, in parte, tradisce lo spirito della montagna; personalmente penso che sia un’opportunità in più di ricezione che poi ognuno è libero di scegliere o meno. Abbandoniamo le polemiche e torniamo ai sentieri.



SENTIERO 308 RIFUGIO CURO’- RIFUGIO BARBELLINO
Il rifugio Curò si affaccia su un invaso artificiale che dal 1931 fa confluire, raccogliendole, le acque delle valli limitrofi: Trobio, Cervera, Malgina. I torrenti Serio e Trobio sono i suoi immissari più importanti mentre l’unico emissario è il Serio. È comunque un paesaggio ameno quello che la mano dell’uomo ha così modificato per scopi produttivi e l’impatto ambientale, al di là degli orridi tralicci e dell’imponente costruzione della diga, non ne risente più di tanto. Il visitatore curioso, aggirando il vecchio rifugio, potrà avere occasione anche di un incontro ravvicinato e incredibile con gli stambecchi. Essi, infatti si abbarbicano sulla ripidissima parete dell’invaso per leccare il salnitro che vi si deposita e si rimane semplicemente affascinati da questa visione che ha dell’incredibile. Ho visto con i miei occhi gli agili animali sfidare le leggi della gravità e spingersi ad altezze impossibili vista la pendenza quasi al limite del percorribile per un quadrupede.
Il sentiero 308, ottima la segnalazione dei percorsi a cura del CAI di Bergamo, permette di raggiungere il vero, in quanto naturale, Lago Barbellino dove si può essere accolti da un altrettanto grazioso rifugio, il Barbellino appunto. Questa escursione è una vera e propria passeggiata con lievi pendenze e ci permette di ammirare il bacino artificiale in tutta la sua ampiezza, costeggiandolo . Nel tratto iniziale, superata una cappella dedicata a Giulio Albini e una suggestiva spada nella roccia, ci si ritrova a dedicare il pensiero alle vittime della montagna: esistono infatti sul sentiero due lapidi, la prima che ricorda quattro giovani sorpresi da una slavina e una seconda che ricorda una giovane donna. Chi conosce bene quei luoghi sa che la particolare conformazione delle valli rende il territorio particolarmente esposta a valanghe e slavine. Il percorso è un vero e proprio tripudio di acque, le si supera sui ciottoli, le si lascia con un salto, le si affronta con l’aiuto di ponti appositamente creati, la si beve per dissetarsi direttamente dalla parete rocciosa. Il lago regala poi un'altra emozione: è di un blu vivido e le sue acque sono gelate; qualche intrepido vi fa il bagno comunque.



SENTIERO RIFUGIO CURO’- PIZZO DEI TRE CONFINI
Il Pizzo dei Tre Confini (2.824m ) è situato lungo il crinale che collega il Monte Gleno al Pizzo Recastello. Il nome che porta questa montagna deriva dal fatto che sulla vetta convergevano i confini dei tre comuni di Vilminore, Lizzola e Bondione, questi ultimi due ora sono invece aggregati con Fiumenero a costituire il Comune di Valbondione.  Sempre costeggiando il lago artificiale, incontrata la prima cascata a destra, si imbocca il sentiero naturalistico Antonio Curo’( primo presidente del CAI di Bergamo), esso nacque per fini bellici ma non fu mai utilizzato in questo senso. Il sentiero sale fino all’imbocco della valle Cerviera e offre diverse varianti: si possono vedere i laghi, incrociare gli alpinisti diretti al Pizzo Recastello oppure approfittare dell’assenza di neve per provare l’emozione di percorrere un breve tratto di cresta e superato l’ultimo impegnativo dislivello giungere in vetta sperando di poter suonare la campana. A noi non è successo: ci siamo arrivati- io con grande fatica dovuta all’utilizzo di una calzatura non adeguata, i bambini felici con l’appoggio di tre bravi escursionisti ( ma lo sono anche loro) - ma la campana è stata tolta, spero non rubata!
La faticosa e impegnativa salita è stata altamente ricompensata dalla visione dei nevai, degli stambecchi, dall’aria già rarefatta per una che vive a pochi metri sul livello del mare nella pianura più pura. È stata la prima vetta da me conquistata con la sola forza delle mie gambe e ne sono veramente contenta anche perché stiamo parlando di un sentiero ai confini dell’alpinismo o perlomeno impegnativo dal punto di vista escursionistico e io l’ho percorso , dopo il tradimento degli scarponi, con un sandalo da montagna. Nella retina impressa l’istantanea del Gleno, mai così vicino: indelebile. La vescica? E chi la ricorda più!




SENTIERO 308/310 RIFUGIO CURO’- LAGO DELLA MALGINA- LAGO GELT
Riprendendo il sentiero che porta al lago Barbellino per poi abbandonarlo impegnando la salita a sinistra (sentiero 310) è possibile scoprire due perle di questo affascinante territorio e ancora sentire cantare le acque. Mentre si salgono le ripide pietraie che conducono alla riparata conca che ospita il lago, si odono e si vedono precipitare le acque in infiniti salti, cascate, spruzzi, gorgoglii. Il lago della Malgina, 2339, è quasi deprivato dei raggi del sole, se a giugno è ancora ricoperto di neve a fine luglio ne rimane qualche debole residuo nelle sponde meno esposte.
La sua vista è pienamente godibile sia arrivando dal sentiero citato sia risalendo il residuo tratto che porta al lago Gelt dove è possibile a più riprese fotografare questa meraviglia dall’alto. Il lago Gelt, a quota 2562, è invece noto per la sua caratteristica forma di cuore e per il fatto che per buona parte dell’anno rimane ghiacciato. Noi l’abbiamo visto allo stato liquido ma circondato ancora da ghiaccio e neve. Purtroppo la sua caratteristica forma non è percepibile se non dall’alto e a noi è stata ovviamente preclusa la possibilità di proseguire oltre per una serie di fattori che ho già evidenziato ( presenza di bambini, calzatura non adeguata, preparazione fisica nel mio caso, e in ultimo cambio repentino delle condizioni meteorologiche).

Le nostre escursioni in alta Val Seriana si sono così concluse lasciando un ricordo vivo e pungente come la nostalgia di un bel luogo che si è vissuto, non solo visitato.
Auguro, a chi interessato, la visita di questi luoghi, anche in famiglia: si può fare!

N.B. Le fotografie a corredo dell’articolo sono state scattate dall’autore e sono riportate per lo più in ordine casuale, anche se sono riferite all’intera escursione.






É già settembre di Renzo Montagnoli



É già settembre
di Renzo Montagnoli


Quell’aria
che nel torrido agosto
così tanto opprimeva
s’è fatta ora lieve
fresca come una fonte alpina
frizzante come uno spumante.
E il cielo
terso nel giorno
scolora verso sera
in strisce violette
che si sfaldano all’orizzonte.
I primi stormi s’alzano in volo
puntano a sud
avanguardie della grande migrazione.
Nel silenzio della sera
un lontano tocco di campana
scende nel mio cuore,
mi rasserena
nell’attesa dell’imminente autunno.

Da Lungo il cammino


La colonna sonora:





Epitaffio per un poeta, di Piero Colonna Romano




Epitaffio per un poeta
(…ricordando Spoon River)
di Piero Colonna Romano













Poeta sognatore d'illusioni
mosse guerra alla vita
e ne rimase ucciso.


Le sue poesie
andarono sprecate,
schernito fu da villanzon di strada.
Pur d'amore affamato e pur di vita
la pace e la virtù andò sognando,
per darle a un mondo bieco e disperato,
ma un dì s'accorse d'esser sbeffeggiato.
Così chiuse nel sale il suo cammino
e qui sussulta ancor
nel ricordare.

Or dorme, dorme e dorme
in turpe compagnia
sulla collina.





La colonna sonora:






Non comprate un vestito nuovo, di Carla De Angelis




Non comprate un vestito nuovo
di Carla De Angelis






Non comprate un vestito nuovo
Vestitemi con allegria
Nessun timore e niente lacrime
Aprite l’armadio c’è una giacca rossa
con la voce che trabocca dalle tasche
un sorriso legato al filo dei bottoni
Oppure jeans e maglietta
Ancora profumati d’amore
Quei vestiti di lana eleganti
Valsero il Quirinale
Quello bianco tanti sguardi ammiccanti
Sarà cambiare vita senza smettere di amare
Correre pregare e piangere come il primo giorno
A fior di terra per sentire il suono
Delle campane



La colonna sonora:



https://www.youtube.com/watch?v=PFx3a7KfN0c


Un fiore reciso di Piera Maria Chessa






Un fiore reciso
di Piera Maria Chessa




Un fiore rosso, luminoso
strappato lungo il viale
dalla mano veloce
di un bambino.


Un rimprovero
per il gesto inutile,
il dispiacere per la fine
di una piccola vita.




La colonna sonora:



Il superfascista, di Arrigo Petacco




Il superfascista.

Vita e morte di Alessandro Pavolini

di Arrigo Petacco
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Storia biografia
Pagg. 206
ISBN 9788804464334
Prezzo Euro 10,00




Un caso di doppia personalità






Alessandro Pavolini (Firenze, 27 settembre 1904 – Dongo, 28 aprile 1945) e Benito Mussolini, quando si allontanarono da Como il 27 aprile 1945, diretti verso la Valtellina (il primo per un’ultima disperata difesa nel ridotto fra i monti appena abbozzato, il secondo, tentennante fra la morte eroica e la fuga da vigliacco, con ogni probabilità con la speranza di valicare il confine e rifugiarsi in Svizzera), erano senz’altro, all’epoca, gli uomini più odiati dagli italiani. Del Duce sono state scritte tante biografie, più o meno riuscite, mentre assai meno sono state quelle relative ad Alessandro Pavolini, uomo dalla complessa personalità, e quindi assai difficile da descrivere. Tuttavia, Arrigo Petacco con Il superfascista ci ha provato e, secondo me, con risultati eccellenti. Il saggio storico inizia con la colonna, di cui fanno parte fra gli altri Benito Mussolini e Alessandro Pavolini, bloccata dai partigiani sulla sponda occidentale del lago di Como. Si parlamenta, si discute e infine si arriva un accordo: si lasceranno passare gli uomini della FlacK, a cui come è noto si aggregò il Duce travestito da tedesco. Per gli italiani, per i fascisti che disperati alternano momenti di abulismo o di sconforto ad altri di speranza, c’è da attendere le decisioni del comando partigiano. In questo tempo che per i gerarchi e gerachetti sembra non trascorrere mai Petacco , con stile snello, scevro di accademismo, ci narra la vita di Alessandro Pavolini, intellettuale fiorentino di buona e nota famiglia (il padre era uno dei più noti filologi esistenti al mondo, accademico d’Italia), dedito con passione e capacità alle arti e alla letteratura, di per sé buon giornalista e ottimo scrittore; era persona amabile, rispettosa dell’opinione altrui fin tanto che l’argomento era quello letterario, ma rivelava un’insospettabile ferocia quando nutriva timori per la stabilità del fascismo e per l’incolumità di Mussolini, che addirittura idolatrava. In breve, da vice federale a Firenze, ne divenne il federale, distinguendosi per alacrità, per la realizzazione di opere pubbliche utili e indispensabili, come la nuova stazione della città e i numerosi alloggi popolari. Era capace e onesto e inoltre fedele, ma la sua carriera nel partito non sarebbe stata così rapida se non avesse avuto la sorte di conoscere, divenendone amico, il genero del duce, il potente Galeazzo Ciano. Alla sua corte, senza essere un lacché, si dimostrò fedele e disponibile e quindi gli si aprirono le porte per un luminoso avvenire, diventando, fra l’altro, ministro della cultura popolare, dicastero importantissimo che aveva il compito di istruire non solo fascisticamente i giovani italiani, ma anche quello, non meno rilevante, di manipolare l’informazione e con essa le coscienze. Era un traguardo prestigioso, ma l’uomo non era evidentemente soddisfatto, anche perché l’entrata in guerra dell’Italia, le cui forze armate erano del tutto impreparate, circostanza a lui ben nota, gettava un’ombra sulla sua vita. Si incupì, cominciò a temere, giustamente, che il fascismo avesse le ore contate. Un rimpasto governativo, voluto dal Duce per gettare fumo negli occhi e distogliere il popolo dalle continue disfatte, lo esonerò dall’incarico, compensato dalla ben più modesta investitura di direttore del Messaggero. Era un posto defilato, in cui Pavolini avrebbe potuto attendere relativamente sicuro la fine del conflitto, ma con la defenestrazione del 25 luglio 1943 di Mussolini deliberata dal Gran Consiglio del Fascismo sentì crescere in sé un odio irrefrenabile che lo portò a rifugiarsi in Germania, nonostante disistimasse i tedeschi, e a predisporre con loro un piano di rinascita del fascismo. É così che, dopo l’8 settembre 1943 e successivamente alla liberazione del Duce anche lui condotto in Germania, che nacque lo stato fantoccio della Repubblica sociale italiana. Pavolini diventò il segretario del partito fascista e di fatto l’uomo che decideva anche per un Mussolini ormai depresso e abulico. Fu sua l’idea di fare un esercito fascista ed è così che nacque la Guardia Nazionale Repubblicana che, con ferocia combattè i partigiani, con crimini di tale portata da far intervenire ogni tanto perfino i tedeschi per chiedere un po’ di moderazione. Nel crepuscolo del regime Pavolini finì con il sognare la “bella morte” e in tal senso era spesso in prima linea, tanto che fu anche ferito. Però il libro del destino del fascismo stava per arrivare all’ultima pagina e l’odio e la ferocia si accrebbero in Pavolini che addirittura lasciò numerosi cecchini a Firenze, prossima alla liberazione, affinché uccidessero, più che i soldati alleati, gli stessi cittadini.
L’avanzata dei tedeschi nelle Ardenne risvegliò le speranze di naufraghi morituri, ma fu solo una piccola fiammata e nella primavera del 1945 si annunciò la resa dei conti. É noto come andò a finire, con Pavolini che cercò disperatamente di opporsi all’arresto, combattendo, ma che poi con altri suoi camerati venne fucilato sul lungolago di Dongo. Il suo corpo, come quello di Mussolini e degli altri giustiziati in riva al lago di Como, venne poi appeso a un distributore di benzina di Piazzale Loreto a Milano.
Petacco é stato molto bravo perché non solo ha messo in giusta luce le due personalità contrastanti, ma ha saputo narrare questa biografia come se fosse un romanzo, rendendola avvincente e indimenticabile.








Arrigo Petacco è nato a Castelnuovo Magra (La Spezia) e vive a Portovenere. Giornalista, inviato speciale, è stato direttore della «Nazione» e di «Storia illustrata », ha sceneggiato film e realizzato programmi televisivi di successo. Nei suoi libri affronta i grandi misteri della storia, ribaltando spesso verità giudicate incontestabili. Fra gli altri ricordiamo, pubblicati da Mondadori:Dear Benito, caro Winston, I ragazzi del '44, La regina del Sud, Il Prefetto di ferro, La principessa del Nord, La Signora della Vandea, La nostra guerra. 1940-1945, Il comunista in camicia nera, L'archivio segreto di Mussolini, Regina. La vita e i segreti di Maria José, Il Superfascista, L'armata scomparsa, L'esodo, L'anarchico che venne dall'America, L'amante dell'imperatore, Joe Petrosino, L'armata nel deserto, Ammazzate quel fascista!, Il Cristo dell'Amiata, Faccetta nera, L'uomo della Provvidenza, La Croce e la Mezzaluna, ¡Viva la muerte!, L'ultima crociata, La strana guerra, Il Regno del Nord, O Roma o morte, Quelli che dissero no, Eva e Claretta, A Mosca, solo andataNazisti in fugaLa storia ci ha mentito Ho sparato a Garibaldi.


Renzo Montagnoli


Katherine, di Anchee Min




Katherine
di Anchee Min
© 1997 Teadue
ISBN 88-7818-211-7   € 7,00 Pag. 209
 
 
Un romanzo dal sapore esotico, dove i nomi e i luoghi sono estremamente diversi da quelli che siamo abituati a conoscere.
Nella Cina dopo Mao, Katherine, una donna americana, giunge in Cina per insegnare l’inglese a degli allievi adulti.
La sua presenza scatena qualcosa negli animi dei suoi studenti, tutti indottrinati da Mao. Katherine simboleggia la libertà, la seduzione, una vita assolutamente agli antipodi, rispetto alla loro.
Katherine fa amicizia con Zebra, vuole scrivere un libro sulla Cina, affascinata da sempre da questo paese.
Zebra continua a dirle che lei non capisce cosa significhi essere cinese. Lei che, da ragazzina, è stata una Guardia Rossa.
Testa di leone, amico di Zebra e con la quale avrà una storia d’amore, s’innamora perdutamente di Katherine. Ma lei lo respinge.
Testa di leone, a sua volta, è amato da Fior di gelsomino. La ragazza fa di tutto per stare con lui, anche subire delle umiliazioni.
Da una parte vediamo questa ragazza sottomessa, dall’altra l’americana libera, che pensa con la propria testa e segue il suo cuore. Poi abbiamo Zebra, che vuole capire, sapere, essere anche lei una donna libera.
Katherine prepara le carte per adottare Piccola lepre, una ragazzina muta che sta in un orfanotrofio; per il proprio handicap viene derisa e picchiata dagli altri bambini. Molte bambine vengono abbandonate in Cina, perché loro non hanno valore alcuno.
In seguito a una festa in cui Katherine alza un poco il gomito e dove c’è chi trama contro di lei, “il diavolo straniero”; la donna è costretta a tornare in America.
Resta in contatto con Zebra, che, non volendo sottomettersi al regime, viene rimandata alla cava degli elefanti, dove dovrà lavorare duramente.
Zebra salva Piccola Lepre e si prepara a partire con lei per l’America, ma la piccola prende una brutta malattia che circola nell’orfanotrofio e viene ricoverata in ospedale.
La fine del romanzo vede Piccola Lepre che migliora e le lacrime di Zebra che, in cuor suo, ha preso una decisione: “…mi resi conto che la mia vita era arrivata al punto che non avrei più rinunciato, anche se non fossi riuscita ad andare in America. Non avrei rinunciato. Era tutto quello che chiedevo a me stessa”.
Sulla copertina leggiamo: erotico. Drammatico. Commovente.
È tutto questo e insegna usi e modi di pensare lontani dal nostro mondo.
 
© Miriam Ballerini


Materada, di Fulvio Tomizza




Materada – Fulvio Tomizza – Bompiani – Pagg. 192 – ISBN 9788845244346 - Euro 7,50






Da quando mi ricordo, qui da noi sono venuti dapprima gli austriaci, poi gli italiani, dopo i tedeschi; infine siete venuti voialtri. Tutti se ne sono andati, ed erano più forti di voi. Io stesso ho visto cadere prima l’aquila, poi il fascio e la croce uncinata. Perché un giorno non dovrebbe cadere anche la falce e il martello?”
Con questo interrogativo Francesco Kozlovic’ sfida il potere, la prepotenza, l’ingiustizia, semplicemente presentando la verità storica che anche un umile colono è in grado di constatare: Materada è terra di confine, terra schiava, terra bella e meravigliosa ma destinata ad essere posseduta. Qui il secondo dopoguerra sancisce l’ennesima beffa dei territori spartiti e condanna gli uomini ad una scelta improbabile, innaturale, una seconda vita e una seconda anagrafe. Il contadino di Materada, pur povero e vessato da uno zio imbroglione che lo ha reso nullatenente, dovrà fare anch’egli quella dolorosa scelta, dovrà ponderare bene il destino dei figli, dovrà decidere se mantenere saldo l’atavico legame con la terra, patria e suolo da coltivare, o salutare gli avi sepolti nel cimitero.
Non una riga di questo romanzo si abbandona al lirismo, non una pagina porta alla commozione dell’animo, né un intero capitolo si veste di pianto, eppure con una prosa asciutta, secca, viva e sincera ci si ritrova a patire per il destino di quelle genti, a comprenderne le ragioni, a sperare per loro. Vi sono delle pagine, soprattutto da metà opera in poi, che è difficile abbandonare e, a lettura ultimata, rimane forte nel cuore il sentimento della vita: sincero e pulito, senza fronzoli come la prosa di Tomizza.
Vivamente consigliato.


Siti





MondoBlog del 26 settembre 2016

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