lunedì 20 febbraio 2017

In questo inverno, di Giovanna Giordani


In questo inverno
di Giovanna Giordani




In questo inverno
si diverte il sole
a inondare la terra
di illusioni
primaverili


Qualche fiore
con un po’ di stupore
osa dischiudere la corolla
ignaro
dell’agguato del vento
gelato




La colonna sonora (Rondò Veneziano):





La casa in collina, di Nino Silenzi





La casa in collina
di Nino Silenzi



Una piccola casa
sulla collina, in alto,
sotto la neve riposa.
Un filo di fumo
esile s'attorciglia
sul comignolo bianco.
Centenarie custodi,
due querce mormorano
tristi nenie al vento.
Una donna è seduta
davanti al focolare
avvolta nel suo scialle
nero di dolore.
Zampilla la fiamma
ricordi lontani,
un fremito freddo
bussa alla porta.
Ronfa il gatto
al dolce tepore.
La donna ascolta
soltanto se stessa.
Una tremula luce
dipinge di gocce
gli umidi vetri.
L'amato è perduto,
il figlio lontano.
Dorme la donna
avvolta nel suo scialle.
Sogna la donna
sogni di mari
e spighe di grano.
Scende la neve
sulla casa in collina.


La colonna sonora:








La terra trema, di Piera Maria Chessa



La terra trema
di Piera Maria Chessa




E d’improvviso
per l’ennesima volta
la terra trema.
Sempre più matrigna
questa madre
che si rivolta contro i figli
cacciandoli
angosciandoli
devastandone la vita.
I ricordi
non saranno più
dolci e rassicuranti
ma memorie da dimenticare.
Eppure torneranno ancora
nei giorni, nei mesi,
negli anni futuri.
Ritorneranno sempre
davanti agli occhi
di adulti e bambini
dalla paura segnati.

La colonna sonora:




Per le vie del mondo, di Renzo Montagnoli



Per le vie del mondo
di Renzo Montagnoli




Vent’anni, quasi non ricordo,
tanto è il tempo che è passato
ma rammento il sole
che ogni giorno splendeva,
la febbrile felicità di vivere,
il desiderio di essere
più veloci del tempo,
di raggiungere il domani
prima che fosse trascorso l’oggi.
Era una vita, sospesa fra sogno e realtà,
andavo per strada con nelle orecchie
la canzone dei Nomadi.
Io vagabondo, diceva,
e mi vedevo vagabondo
per le vie del mondo
passo dopo passo
lungo una strada infinita
che mi spalancava alla vita.


Oggi ancora sento quelle note
ma arranco piano
verso una meta indefinita
e se mi volgo all’indietro
mi par di scorgere
lontano lontano
l’ombra d’un ragazzo
che sognava di andare
per le vie del mondo.
Gli mando un saluto
e una lacrima stanca
mi scivola via.




Da La pietà


La colonna sonora non può essere che questa:






L'oro del mondo, di Sebastiano Vassalli



L’oro del mondo
di Sebastiano Vassalli
Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
Pagg. 176
ISBN  9788806182724
Prezzo € 9,50




Per noi stessi




L’oro del mondo è un romanzo atipico nella produzione letteraria di Sebastiano Vassalli, un lungo racconto che a volte entusiasma e altre invece sconcerta, sospeso com’è fra ironia, satira, dissacrazione, il tutto accompagnato da una vena anche di struggente malinconia. Dovrebbe essere anche una parziale autobiografia, con particolare riguardo agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, in un’Italia distrutta, un paese in cui si muove come tante ombre un popolo di cenciosi, disposti a fare qualsiasi lavoro pur di trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Vassalli, abbandonato da un padre imbroglione e infame e da una madre che sogna un’eredità assistendo un capitano di marina invalido, è in pratica allevato dallo zio Alvaro, un candido che tuttavia ha compreso, a sue spese, come vada il mondo. Al riguardo è particolarmente significativo un dialogo con il nipote che si trova a pagina 150: ‹‹Perché viviamo?››, domandai. ‹‹Per noi stessi, – rispose lo zio Alvaro. – ‹‹Per la nostra memoria: e per che altro?›› Spiegò: ‹‹Per quelle poche pagliuzze di felicità che rimangono in fondo alla memoria, come l’oro sul fondo della bàtea…››. Può sembrare una filosofia spiccia, a buon mercato, ma il senso della vita è poi questo, né più, né meno, e qualunque cosa se ne dica, è proprio di tutti noi. É solo la memoria che ci fa capire di aver vissuto, una serie di ricordi spesso impalpabili, sovente per nulla piacevoli, ma che, nei pochi casi in cui abbiamo toccato, magari per un attimo, la felicità, sono la misura di quanto la vita meriti di essere vissuta. Ma non c’è solo questo orientamento filosofico, perché è pure presente e determinante un’impietosa descrizione di noi italiani, capaci in un giorno e anche meno di trasformarci tutti da fascisti in antifascisti, restando però sostanzialmente quel popolo arruffone, menefreghista e in cui ognuno guarda solo se stesso. Se la figura del padre di Vassalli, grande fascista prima e durante la guerra, e rimasto sostanzialmente tale anche dopo è esemplarmente negativa, non lo sono di meno altri personaggi che si agitano, scalpitano, sgomitano per conquistarsi un posto al sole. In tal modo quella che doveva essere una sia pur parziale autobiografia, diventa l’analisi del trascorso di un’intera nazione, vista nel dramma del passaggio dal fascismo alla democrazia, e caratterizzata, allora come oggi, da un endemico malcostume e da un diffuso trasformismo, il quadro di una collettività che sembra incapace di una evoluzione positiva. Oggi, come un tempo, si seguono i miraggi, si sogna un capo a cui affidare incondizionatamente il proprio destino, e il desiderio principale è quello della ricchezza facile, quello del denaro, dell’oro, come era cercato da dei poveri disperati negli anni tristi del dopoguerra, ore e ore di lavoro per delle pagliuzze che non ripagavano la fatica, ma che perpetuavano l’illusione.
Con la fine del conflitto sembrava tutto cambiato, ma, come la polvere, sollevata e non raccolta che poi si deposita nuovamente, senza aver fatto i conti con il passato nulla può cambiare; siamo sempre stati così e così saremo sempre, sembra dirci Vassalli, un amaro giudizio di cui nemmeno ci vergogniamo.
Da leggere, ovviamente.




Sebastiano Vassalli è nato a Genova nel 1941 ed è morto a Casale Monferrato nel 2015. Ha pubblicato diverse opere, fra cui La notte della cometaSangue e suoloL'alcova elettricaL'oro del mondoLa chimeraMarco e MattioIl Cigno3012Cuore di pietraUn infinito numeroArcheologia del presenteDuxStella avvelenataAmore lontanoLa morte di Marx e altri raccontiL'ItalianoDio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anniLe due chiese e Comprare il sole.


Renzo Montagnoli




Stoner, di John Edward Williams



Stoner – John Edward Williams - Fazi editore – Pagg. 331 – ISBN 9788864112367 - Euro 17,50


LASCIA CORRERE


Romanzo dallo stile pulito, scorrevole, funzionale al contenuto e ad esso strettamente correlato. Si legge d’un fiato e non manca di restituire al lettore giusta ricompensa: una bella storia, tanti spunti di riflessione, un personaggio indimenticabile e soprattutto naturale empatia. Come non simpatizzare per un giovanotto che a dispetto della sua umile origine trova le risorse in se stesso per esplorare il suo percorso di vita, un ragazzotto che fa dell’amore per la letteratura la sua identità, che da adulto riesce a convivere con le storture della vita senza mai sgomitare, senza mai mancare di rispetto a nessuno, senza fondamentalmente tradirsi mai?

Apparentemente imperturbabile, possiede una grande capacità di amare che gli fa scivolare addosso le cattiverie della moglie, le gelosie di un ambiente lavorativo ostile, le mire vendicative di un collega, essendone comunque pienamente cosciente ma volutamente superiore. Mentre Stoner, tassello dopo tassello, costruisce la sua crescita personale in una parabola di vita, a mio avviso stupenda, tutto il contesto è altamente distruttivo. La sua vita coincide con il culmine dell’aberrazione umana, i due conflitti mondiali, a più riprese lo scritto evidenzia il pensiero pacifista dell’autore, e tra di essi il periodo nero della recessione economica seguita alla crisi del ’29. La stessa forza distruttiva è mirabilmente rappresentata dalla figura della moglie, dal loro matrimonio, dal destino della loro figlia; eppure Stoner resiste, il personaggio più resiliente che abbia mai conosciuto. Non sono affatto d’accordo con chi vede in lui un inetto, mai mi sono disperata per le avversità da lui patite, mai una volta, nel corso della lettura ho disapprovato le sue scelte, al contrario ho visto in lui un grande esempio di vita, una capacità, la sua, di scorgere l’essenziale e di non farsi toccare dalle miserie umane, adottando una strategia vincente, quella degli abitanti della sua terra educati all’imperturbabilità fin da bambini. Al momento delle scelte decisive, pragmatiche, fondamentali, pur soffrendo, non sbaglia un colpo. Posto di fronte alla malattia e alla morte, come tutti, sperimenta un’estrema disillusione rispetto alla sua esistenza, eppure è ancora capace di riconoscersi il giusto merito: non ci può essere fallimento laddove si ci si è profondamente rispettati e mai traditi.
“La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato”.
Bellissimo, struggente, dentro il cuore.


Siti


Un carteggio da ripubblicare

Un carteggio da ripubblicare
di Grazia Giordani




Le lettere alla zia raccontano il vero animo di Tolstoj




In quasi 50 anni di corrispondenze lo scrittore si svela con Alexandra




Ci appare una stranezza editoriale – in epoca in cui gli scambi epistolari di personaggi celebri tirano tanto, che proprio il «Carteggio confidenziale di Lev Tolstoj con Alexandra Andrejevna Tolstaia (1857-1903)», edito da Einaudi nel 1943 e pubblicato nuovamente nell’anno successivo, sia poi caduto completamente nel dimenticatoio. Del grande scrittore russo esistono corrispondenze pubblicate, si fa per dire, quasi con chiunque (dalla moglie, ai figli, a personaggi più o meno noti del suo tempo).  Eppure, il carteggio tra Tolstoj (1826-1910) e la zia in secondo grado Alexandra, nata nel 1817 e morta al cadere del 1903 – principessa addetta alla corte imperiale, cui era stata affidata l’educazione di due nipotine dello zar Nicola I – avrebbe meritata una sorte diversa, anche per la curatrice d’eccezione Olga Resnevic Signorelli (1883-1973), moglie di un insigne medico italiano, amica e traduttrice dei più importanti artisti russi del suo tempo. Tutto questo prologo per sottolineare quanto sarebbe utile agli studiosi del celebre scrittore conoscerne più a fondo l’animo e le inclinazioni anche in una allure domestica, visto che proprio lui usava dire «Chi cerca la mia autobiografia, legga le lettere ad Alexandra Andrejevna, se un giorno verranno pubblicate ( e da qui si evince che i grandi del passato corrispondevano consapevoli di una futura pubblicazione ndr) Tutto ciò che è possibile esprimere con parole intorno alla propria anima, io l’ho confessato a quella donna».
Questo, a chiare lettere, aveva dichiarato Tolstoj al suo biografo e amico Pavlov Ivanovic Birijukov. E gli amici della famiglia Tolstoj raccontano, con commozione, come nell’ultimo anno della sua vita e quando Alexandra ormai non era più, egli rileggesse le copie di quelle lettere e come ripetesse spesso che nel ripensare alla sua buia lunga vita, solo il ricordo di Alexandrine gli tornava alla mente come un costante raggio di luce.
Queste lettere sono una vera delizia da ambo le parti dei corrispondenti, ora affettuose, ora burrascose per divergenze inerenti la religione, da cui trapelerebbe – leggendole controluce, in filigrana, con un po’ di malizia, persino un’infatuazione di Tolstoj per la più anziana prozia, tanto il suo animo le si apre con accorata tenerezza, scandendo anche le tappe della sua vita: matrimonio, figli nati e figli morti. Da queste lettere diario si ricava la convinzione che Alexandra scrivesse meglio del suo illustre corrispondente, con più cuore, con maggior poesia del suo più celebre pronipote.
E ci si chiede, anche, fino a che punto ne fosse al corrente la gelosissima Sofia, quella moglie onnipresente, un po’ ingombrante.
Ecco, i carteggi piacciono perché permettono di spiare dentro le pieghe più intime dei personaggi celebri che li hanno scritti. Vedasi il successo della corrispondenza Luigi Pirandello-Marta Aba; Sibilla Aleramo-Dino Campana; Friedrich Nietzsche, Lou Salomè e Paul Rée, addirittura in trio.
Ai giorni nostri, tempo delle mail, dei messaggi senza punteggiatura, dello scrivere quasi per ideogrammi, un carteggio aristocratico diventa perla rara, testimonianza di tempi in cui la finezza stilistica aveva ragione d’essere e che potrebbe riempire di comprensibile nostalgia chi ancora sa apprezzare la bellezza in tutte le sue forme.
Non è stato Dostoevskij a dire che: «La bellezza salverà il mondo?»






MondoBlog del 20 febbraio 2017

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