giovedì 18 ottobre 2018

Il sogno di Marina, di Stefano Giannini






Il sogno di Marina
di Stefano Giannini




Come tutti i bambini delle zone rurali di quei tempi nascevano in casa, anche Marina nacque il 10 Maggio 1934 nella grande vecchia casa padronale denominata “ Il Sasso” nella Parrocchia di Monte Iottone .
La levatrice ebbe il suo bel daffare per convincerla ad uscire dall’utero per vedere la luce e i fiori. Forse non era molto convinta che questo mondo facesse per lei.
Gli Zani, famiglia tipicamente patriarcale, era composta da 16 persone : i nonni, i genitori di Marina e suo zio, fratello del babbo, con la moglie e figli. La famiglia era molto conosciuta e stimata in tutto il circondario. Il papà di Marina era un proprietario terriero onesto e benvoluto sia dalla gente che dagli stessi suoi mezzadri.
L’azdora che conduceva con competenza e saggezza l’economia della grande casa era Zia Vitalina, donna minuta ma dinamica, piacente e simpatica.
Tutti in famiglia erano credenti e praticanti, frequentavano assiduamente la chiesa.
In casa non fu mai pronunciata una parolaccia da alcuno e tanto meno imprecazioni e bestemmie. Tutti i giorni dell’anno si recitava il Rosario e non si iniziava mai il pranzo senza dire una preghiera. In questo clima la piccola Marina cresceva sana nel corpo e nello spirito.
Già a 7-8 anni, oltre che non mancare mai alla Messa e alle lezioni di dottrina in parrocchia, distante più di due chilometri, praticava i primi nove venerdì del mese.
Era anche devotissima alla Madonna. Andando e tornando da scuola si fermava sempre a pregare davanti alla celletta dedicata a Maria che si trovava al fianco della strada.
Mancavano ormai pochi giorni al suo decimo compleanno, quando Marina fu costretta a letto da improvvisa febbre e dolori addominali sempre più acuti. Per i primi tre giorni, i genitori non si allarmarono più di tanto, pensando ad una comune indigestione o piccola intossicazione. Si dicevano: “saranno delle febbri intestinali, solite nei bambini e presto passeranno”. Il quarto giorno, il babbo, preoccupato, si recò col calesse a Mercato Saraceno a prendere il dottore per una visita a domicilio.
Arrivato a casa, la visitò e la sua diagnosi fu quella che si trattasse della appendicite infiammata. “ Se entro domani non le passa la febbre dovrete portarla in ospedale per un probabile intervento,” disse accomiatandosi.
Il giorno seguente Marina si aggravò: il termometro arrivò a segnare i 42 gradi, non riusciva ad ingoiare né tisane ne liquidi in genere. Sudava copiosamente. Tutto il suo corpo era come un braciere incandescente.
I genitori preoccupatissimi non sapevano che fare: portarla in ospedale in quello stato era impensabile, troppo rischioso. Mentre Zia Vitalina andava a chiamare il parroco, lo zio correva a prendere il dottore.
Il parroco arrivò per primo, le diede la Comunione, che ricevette con gratitudine e commozione. Pur rendendosi conto della gravità dello stato di Marina, il parroco non ritenne che fosse in imminente pericolo di vita e si accomiatò.
Sarebbe ritornato il giorno seguente.
Dopo aver fatto la Comunione, Marina si assopì. Poco dopo, riaprì gli occhi e, con il sorriso sulle labbra rivolta alla mamma chinata su di lei a fianco del letto le sussurrò : “ sai mamma è venuto un uomo luminoso e, sulle mie labbra, mi ha detto che oggi morirò e andrò con lui ”.
Detto questo entrò in agonia e dopo un’ora quel fiore fu reciso.
Era il 10 maggio 1944, il giorno del suo decimo compleanno.
Mentre Marina moriva, fuori c’era la guerra; si udivano le cannonate dei carri armati americani che avanzavano sulla strada sparando contro le ultime postazioni militari dei tedeschi in ritirata. La gente del borgo, atterrita e sgomenta, rivolta al cielo, a mani giunte, implorava pietà…!
Al medico, giunto poco dopo, quando non c’era più niente da fare, non restò che constatare la causa della morte per “ peritonite acuta”.
Al funerale vi fu tanta gente, diverse centinaia, con tutti i bambini della scuola elementare vestiti di bianco e con mazzetti di fiori in mano. Io ero fra loro, avevo otto anni.
Era una giornata primaverile splendida e quella cassa bianca coperta di gigli, agli occhi degli astanti, rifletteva la luce del sole.






3 commenti:

  1. Rileggere, dopo tempo, questa storia ancora mi commuovo...!
    Grazie Renzo...! Ste.

    RispondiElimina
  2. Un racconto che fa riflettere e pone non poche domande.
    Piera

    RispondiElimina
  3. Purtroppo a quei tempi tanti bambini morivano così, come Marina. Le ultime parole dette dalla bimba, poi, dolorosissime per chi le ascolta, accendono tuttavia il mistero di una scintilla di speranza che di là ci sia davvero un mondo di luce e di pace per chi nella vita ha creduto nel bene...

    RispondiElimina