giovedì 18 ottobre 2018

Memoria di un Natale, di Vincenzo D’Alessio






Memoria di un Natale
di Vincenzo D’Alessio




Il Natale è la festività più calda dell’anno: fuori c’è freddo e nelle case un tepore di festa che illumina le famiglie e i luoghi dove vivono gli esseri umani.
A squarciare il buio della notte che incombe sul genere umano c’è la luce di una Cometa che attraversa i cieli e se non è una cometa è la luce di tutte le stelle che brillano in questa particolare notte.
La furia degli uomini si ferma dinanzi a questo evento facendo memoria della Nascita di un Bambino e il ricordo della loro stessa nascita da una madre.
Quanto accadde nel Natale del 1943 è ancora memoria viva.
Raimondo era un giovane prete, appena nominato parroco di una piccola comunità delle province campane dove la povertà è radicata come l’ortica delle siepi.
La Seconda Guerra Mondiale grondava di lutti e ogni famiglia aveva qualcuno da piangere o la speranza che il figlio tornasse dal fronte sano e salvo.
La neve quell’anno era caduta copiosa e solo il calore del focolare riusciva a scaldare lo stomaco che brontolava di fronte al poco mangiare delle giornate.
La famiglia di don Raimondo abitava distante dal luogo dove il vescovo aveva destinato il giovane parroco: la madre Maria Nicola era operaia, il padre Francesco, reduce della Prima Guerra Mondiale, lavorava anch’egli come operaio, essi sopravvivevano con le scarse risorse che gli anziani di allora racimolavano senza pensione né assistenza.
Giunse la Vigilia di Natale nella casa del giovane sacerdote, i genitori infreddoliti accanto al focolare aspettavano il ritorno del figlio per trascorrere insieme la memorabile giornata.
L’unico mezzo allora per spostarsi era il treno, la “littorina” così chiamata per via del Fascio Littorio che svettava sul muso del locomotore Breda, ma la paura dei bombardamenti alleati metteva a dura prova l’esistenza di chi utilizzava questo mezzo.
Don Raimondo, alto e snello, infoderato nella lunga tonaca scura bagnata alla base sulle scarpe pesanti a causa della neve, con passo calmo si avviava dalla stazione verso la casa paterna distante qualche chilometro e portava sotto il braccio una scatola.
Il vento si era calmato ma il cielo plumbeo e minaccioso non faceva sperare nulla di buono in quella memorabile giornata di dicembre.
Lungo il cammino che lo portava verso casa il sacerdote pensava al fratello Aniello sul fronte russo, sentiva nel vento le voci dei soldati desiderosi di tornarsene alle proprie case ad abbracciare le famiglie lasciate nell’angoscia. Venne spontanea un’ Ave Maria e l’invocazione del grande Poeta Dante: “ Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / ”.
Il rione natale gli apparve sotto il manto di neve e il leggero fumo dei camini innalzato dai comignoli verso il cielo sempre più scuro.
La Guerra, diceva fra sé, è la belva che divora tante giovani vite senza alcuna pietà né memoria delle sofferenze passate e delle catastrofi che ne segnano la fine: fame, miseria, orfani e vedove.
Dai vetri appannati dal tepore della stanza la mamma scorse la sagoma inconfondibile del figlio che avanzava sull’acciottolato del vicolo come un raggio di sole in tutto quel candore: Francesco, sta tornando Raimondo !
Il padre si alzò e raggiunse la finestra liberandola con la mano dal vapore: “ Ha un pacco sotto il braccio, finalmente riusciamo a mangiare qualcosa! ”, disse alla moglie con un pizzico di gioia nel cuore.
Finalmente il sacerdote giunse a casa, chiuse il portone alle spalle ed entrò in cucina disposta a piano terra dell’antica abitazione in via Santa Caterina.
La mamma lo aiutò a liberarsi del mantello umido che portava sulla tonaca, la sciarpa di lana che aveva realizzato con le sue mani, le scarpe completamente madide d’acqua: “ Raimò, prenderai un malanno se non provvedi a comprarti un paio di scarponi più resistenti!”
Il sacerdote fece giungere alla mamma un sorriso, una carezza sul viso rugoso, mentre le porgeva una tazza d’orzo caldo messa da parte per il suo arrivo.
Il papà, seduto accanto al fuoco disse alla moglie: “ Nicolì, apri il pacco che ha portato Raimondo così cuoci qualcosa! ”.
La donna sciolse lo spago che chiudeva ai quattro lati la robusta scatola di cartone e aprì i lati togliendo la paglia che nascondeva il contenuto.
Ai suoi occhi apparvero i personaggi del Presepe, le casette di cartone e gli altri componenti dell’evento: San Giuseppe, Maria e il Bambinello.
“ Figlio mio, hai pensato di fare il presepe qui a casa?, disse la madre al sacerdote, noi speravamo che portassi qualcosa da mangiare perché nella pentola ci sono solo i cavoli e qualche patata che tuo padre si è procurato ieri. Non abbiamo neanche pane!”.
Francesco con un sorriso riprese la moglie e disse: “ Sarebbe stato meglio farne un bravo operaio, a quest’ora avrebbe portato a casa qualche pezzo di pane! ”.
Al giovane sacerdote le parole del padre, anche se dette col sorriso sulle labbra, suonarono come un rimprovero.
Si levò dalla sedia in silenzio, raggiunse la stanza al piano superiore dove era rimasto il suo letto ancora intatto e cercò di addormentarsi.
Passò il tempo mentre il vento aveva ripreso a sbattere contro i vetri della piccola finestra nella sua stanza.
Lo svegliò sua madre.
Era mezzanotte di una notte che avrebbe sparso sui tetti di quella piccola casa e sull’opaco pianeta, afflitto dal male della Guerra, la luce irraggiungibile del Natale, nascita e inizio di una calore che colmava i crampi dolorosi della fame.




Da Racconti di Provincia (Fara, 2018)




1 commento:

  1. Con la lettura di questo bel racconto, nonostante le festività siano ancora lontane, si entra già nell'atmosfera suggestiva che preannuncia il Natale. Un Natale di povera gente, di un passato che incomincia a diventare lontano, ma in fondo molto simile a quello dei tanti poveri di oggi.
    Piera

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