Il
Pellegrino Spagnolo
di Fiorella Borin
Copertina di Vincenzo Bosica
Edizioni Solfanelli
Narrativa romanzo
Collana Pandora
Pagg. 184
ISBN 978-88-7497-749-9
Prezzo € 14,00
Un sogno di eternità
“E’
labile, il confine tra i sogni e i ricordi. L’immaginazione è come una grossa
pianta di edera che si arrampica lungo i muri di una casa e giorno dopo giorno,
in tenace, silenzioso lavorio, si propaga sino a trasformare l’edificio in
qualcosa di completamente diverso. Quella casa è la nostra memoria, destinata a
una modificazione perenne, così lenta da risultare impercettibile e così
inarrestabile da risultare fatale. Ogni volta che rievochiamo il passato,
involontariamente concimiamo l’edera vorace: anziché portare alla superficie i
ricordi, rinvigoriamo il parassita che sbocconcella, insieme agli intonaci, la
verità.”
Montefalco è anche oggi un piccolo paese, famoso
soprattutto per la sua splendida vista sulla pianura del Topino e del Clitunno,
al punto che si è meritato l’appellativo di ringhiera
dell’Umbria.
Come tutti i piccoli borghi italiani ha numerosi
monumenti e chiese, fra le quali quella di Sant’Agostino, lungo il corso
principale, in cui sono conservati i corpi delle Beate Chiarine e del Beato
Pellegrino. Ed è di quest’ultimo che ci parla Fiorella Borin con questo
affascinante romanzo, frutto di un miscuglio di diversi generi letterari, da
quello storico a quello filosofico-religioso, dal fantasy alla commedia, non
tralasciando il sentimentale e il comico.
L’originalità, quindi, non manca di certo e mi
sento di poter dire che l’autrice ha profuso a piene mani le sue doti
artistiche fino a concretizzare una grandiosa opera sinfonica, in cui sono
presenti spunti rossiniani, svolazzi mozartiani, ma anche richiami a note più
tenui proprie di Tchaikosvsky. Così, partendo da una leggenda sorta intorno a
un pellegrino morto durante la preghiera nella chiesa di Sant’Agostino,
Fiorella Borin, pur non distaccandosi dal filo conduttore della stessa,
imbastisce un racconto che al suo interno ne contiene altri, pur se non
indipendenti, e relativi a personaggi, di assoluta fantasia, funzionali alla
storia stessa. E al di là di queste vicende, più o meno interessanti, quel che
conta è la caratterizzazione dei protagonisti, che, usciti dalla penna, sono
tanto reali da sembrare veritieri, cioè esistiti veramente.
In particolare c’è la figura di frate Aurelio, il
monaco lettore, che con la sua naturale simpatia muove anche al riso,
stemperando così la tragica vicenda di un amore, casto e puro, troncato prima
del tempo dalla cattiveria degli uomini. Al riguardo, se la storia del
pellegrino spagnolo - a cui viene anche dato un nome, anzi il primo di una
lunga serie (José) - e di Giulia, la sua ragazza e poi sposa, muove a una nota
malinconica di fondo, che è sempre presente in tutti i lavori della Borin, è
pronto il riscatto con eventi quasi esilaranti.
Di protagonisti ce ne sono tanti, ognuno ben
caratterizzato, in un intreccio che li vede comparire sulla scena in una sorta
di carosello che li alterna argutamente al fine anche di divertire:
la iettatrice Gesuina, il tonto Marcuccio (ma poi
non lo è così tanto), la barbuta Tommasina, l’aitante Roccioso perseguitato
dagli uccelli, e tanti altri, che appaiono, scompaiono e ancora riappaiono, un
mosaico di personaggi che sarebbero certamente piaciuti a Italo Calvino.
Ma non si ride soltanto, perché filo conduttore
resta la storia della relazione fra José e Giulia, un’unione fatta di
pennellate sfumate, di un sentimento etereo che sembra volare in cielo e che
tocca l’animo, commuove, ci fa riflettere sull’autentico significato della
parola amore.
Sono pagine di grande pathos, ma non ostentato,
costruito con pazienza per farlo assimilare con gradualità, nel pieno rispetto
del lettore che, se vorrà essere partecipe attivo, ritrarrà poi un
rimescolamento interno, una riemersione di quel naturale senso di pietà spesso
soffocato e che, provato, conduce a trovare un’insperata serenità.
Il libro, quindi, è molto bello, si legge bene e
con piacere ed è per questo che lo consiglio caldamente.
Fiorella Borin è nata a Venezia nel 1955. Laureata
in psicologia, dopo un breve periodo dedicato all’insegnamento negli istituti
superiori, ha iniziato a collaborare con riviste letterarie e periodici a
diffusione nazionale, pubblicando più di trecento novelle e una dozzina di
brevi romanzi storici ambientati nel XVI secolo. Con le Edizioni Tabula Fati ha
pubblicato "Il bosco dell’unicorno" (2004), "Il pittore merdazzèr" (2007), "La strega e il robivecchi" (2010), "La firma del diavolo"
(2010) e "Christe eleison" (2011).
Recensione
di Renzo Montagnoli
Un'eccellente recensione per un romanzo che sembra bello ed avvincente.
RispondiEliminaAgnese Addari
Grazie, Agnese! E naturalmente mille grazie a Renzo, gentile e generoso come sempre :-)
RispondiEliminaFiorella Borin