Amore mio uccidi
Garibaldi
di Isabella Bossi
Fedrigotti
Longanesi Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 142
ISBN 9788830400252
Prezzo € 6,20
Un autentico gioiellino
Forse sarà per l’età che mi porta a guardare
indietro anziché in avanti, forse sarà perche le storie familiari, specie di
un’epoca lontana, mi sono sempre piaciute, comunque sta di fatto che questo Amore
mio uccidi Garibaldi mi ha affascinato. Di per sé può sembrare una
storia come tante altre, di un periodo particolare della vita di due coniugi,
ma l’epoca storica (è l’anno 1866), l’ambientazione, le atmosfere e
indubbiamente la mano felice dell’autrice sono riuscite a trasformarla in un
vero e proprio gioiellino. E credo che in larga parte non sia frutto
d’invenzione, poiché qui Isabella Bossi Fedrigotti racconta del bisnonni
paterni, vale a dire del conte Fedrigo
Fedrigotti, e della principessa Leopoldina Lobkowitz, il primo un italiano di
Rovereto in quel tempo ancora austriaca,
la seconda boema di un nobile casato di grandi proprietà terriere. Sembra quasi
che la terra unisca questi due esseri in un comune destino, ma su piani
completamente diversi, perché Fedrigo è un piccolo nobile di campagna, appassionato
agricoltore, ma con ben pochi mezzi finanziari, la seconda è una donna che
fatica a trovare marito, pur essendo parte di una famiglia assai ricca.
Ma se l’incontro fra Fedrigo, avvenuto a Vienna quando lì si trovava con il suo
reggimento di Ussari (era sottotenente di seconda classe), e Leopoldina, reduce
da una promessa di matrimonio venuta meno, può sembrare frutto di calcoli di
convenienza di diversa natura, la loro unione dimostrerà negli anni che alla
radice del vincolo coniugale ci sono passione e amore. Sono due personaggi che
singolarmente non brillano in modo particolare, ma insieme rilucono di una luce
viva e dire che sembrano fatti per l’uno per l’altra può apparire perfino
superfluo, tante sono le occasioni e i comportamenti che inducono a credere che
siano stati una coppia felice.
L’onestà e la dignità di Fedrigo, la capacità
di Leopoldina di saper rinunciare agli agi, se pur sono virtù innate, si
rafforzano nell’amore che li lega, un amore che li porta, pur fra tante
difficoltà, a superarle, a lottare non tanto per se stessi, ma per la loro
famiglia, allargata dalla nascita di un maschietto e di una femminuccia. Nel
contesto di questa storia assume particolare rilievo la terza guerra
d’Indipendenza, quella per intenderci che vide le nostre sconfitte a Custoza in
terra e a Lissa in mare. In un Trentino in cui si parla quasi solamente
l’italiano, le idee risorgimentali sembrano fare breccia di più fra la classe
borghese e i nobili, fatta eccezione per Fedrigo, fedele al suo imperatore; l’idea
di un Tirolo italiano non attecchisce invece fra la povera gente, fra i
contadini, la cui fedeltà agli Asburgo forse deriva dal fatto che l’esperienza
insegna che, cambiando padrone, nulla muta (e solo se va bene) nella loro
condizione.
L’esercito italiano, sconfitto sul campo, si
riscatta con Garibaldi e le sue Camicie Rosse, che,, adottando la tattica della
guerriglia, scorrazzano nelle valli Giudicarie e in Val di Ledro. Il generale e
i suoi soldati, con la loro passione, che li porta a superare ogni ostacolo,
sembrano rappresentare metaforicamente l’avvento di un nuovo mondo, in continua
evoluzione, in netto contrasto con l’immobile e spento impero austriaco, il cui
declino è già da tempo iniziato e si concluderà assai più tardi nel 1918 a
Vittorio Veneto. Fedrigo e Leopoldina sono parte di di questo stato ormai
inerte, incapace di trovare nuovi slanci per rinnovarsi; temono i briganti
garibaldini e lui si arruolerà volontario per combatterli. Inizia una fitta
corrispondenza fra marito e moglie, un abile espediente per raccontarci di
questa guerra e di un mondo che lento si spegne sulle note dei valzer viennesi.
“Amore
mio, uccidi subito questo Garibaldi” scrive Leopoldina, come se sopprimendo
un uomo si potesse risolvere il problema di una inarrestabile decadenza.
Ovviamente Fedrigo non sopprimerà il capo dei briganti, ma dopo l’armistizio,
beneficiando di una campagna militare in cui tuttavia non ha sparato colpi,
assumerà incarichi importanti e ben remunerati. Sia lui che Leopoldina, visceralmente
anti italiani, chiuderanno gli occhi prima dell’inizio della Grande Guerra e
del crollo drammatico dell’Impero.
Il romanzo, che si legge con facilità e con
grande piacere, è veramente bello, affascinante e commovente al tempo stesso, e
ha inoltre il grande pregio di essere un preciso e interessante quadro storico.
Da leggere, ovviamente.
Isabella Bossi
Fedrigotti, nata a Rovereto da madre
austriaca, è giornalista al Corriere della Sera. Con il
romanzo Casa di guerra (1983) è stata finalista al Premio
Strega e al Campiello. Il successo al Premio Campiello è arrivato nel 1991 con
il terzo romanzo, il bestseller Di buona famiglia. Altri titoli
sono Il catalogo delle amiche (Rizzoli, 1998), Cari
saluti (Rizzoli, 2001), La valigia del signor Budischowsky (Rizzoli,
2003) e Il primo figlio (Rizzoli, 2008).
Recensione
di Renzo Montagnoli
E' un romanzo che ho già letto ed è molto bello, come la recensione.
RispondiEliminaAgnese Addari
Ho letto con piacere la tua recensione che, come sempre, stimola alla lettura del libro.
RispondiEliminaUna storia di coppia forse per certi versi anomala, ma anche intensa e duratura. Senza considerare poi l'approfondimento del difficile periodo storico grazie anche alla storia raccontata.
Un interessante affresco del tempo e, nello stesso tempo, un profondo studio psicologico dei protagonisti, un po' "spenti", come mi sembra di capire, ma forse, proprio per questa loro "normalità", così autentici.
Grazie.
Piera