Grande guerra,
piccoli generali
di
Lorenzo Del Boca
Edizioni
Utet
Saggistica
storica
Pagg.
223
ISBN
9788802077086
Prezzo
€ 14,00
Nel primo centenario
Quest’anno si commemora il primo centenario
dell’inizio della prima guerra mondiale, più conosciuta anche come Grande
Guerra, grande per il numero delle nazioni partecipanti e grande anche per il
numero delle perdite (all’incirca ben 24 milioni). Il tutto cominciò il 28
luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico al regno
di Serbia; a ruota, per il gioco delle alleanze, presero le armi la Francia, il
Regno Unito, la Russia, la Germania e l’impero ottomano e negli anni successivi
l’Italia, la Bulgaria, la Romania e gli Stati Uniti (solo per citare i più
noti). All’epoca eravamo vincolati alla Triplice Alleanza, costituita appunto
da noi, dalla Germania e dall’Austria, ma, con il nostro consueto voltagabbana,
dopo segrete trattative, passammo di campo e fu così che il 24 maggio 1915
dichiarammo guerra alla sola Austria. Come al solito il nostro esercito non era
pronto, né per i mezzi, spesso obsoleti e addirittura mancanti, né,
soprattutto, per l’impreparazione dei comandanti, gente che ragionava ancora
come se si trovasse non nel XX secolo, ma in epoca romana. La mobilitazione
avvenne con estrema lentezza, non c’era e non ci fu mai un piano strategico, i
tentennamenti erano all’ordine del giorno e fu così che perdemmo un’occasione d’oro
nel primo mese di belligeranza, perché una decisa nostra puntata verso Dobbiaco
non avrebbe potuto essere fermata, stante il velo di truppe austriache
presenti, mentre il grosso dell’esercito imperiale era impegnato contro la
Russia.
Il libro di Lorenzo Del Boca ripercorre il
tragitto di un conflitto orribile, impietoso, in cui i nostri soldati, pur
distinguendosi per alto senso del dovere e facendosi in pratica massacrare, si
presero costantemente le colpe delle sconfitte, colpe che invece erano dei
Comandi Superiori e in primis del Comandante in capo Luigi Cadorna, capace di
dissanguare un paese nelle tante battaglie dell’Isonzo adottando la medesima
tattica dell’attacco frontale. Lui, inoltre, insieme a Badoglio e a qualcun
altro, è l’unico responsabile della disfatta di Caporetto, che volle tuttavia
imputare alla vigliaccheria dei soldati.
Ci sono pagine e pagine che parlano della vita
in trincea, dell’assenza della benché minima visione strategica e tattica, delle punizioni, spesso immotivate, dei
poveri fantaccini, delle fucilazioni gratuite, delle decimazioni, tanto che
verrebbe da pensare che il nemico non era quello che ci fronteggiava, bensì chi
decideva scelleratamente nelle retrovie. A Cadorna, poi rimosso dall’incarico
su pressioni degli alleati e sostituito dal generale Diaz, intitolarono vie e
piazze, e ancora ce n’è qualcuna che porta il suo nome; dico solo che a
lasciare intestato qualche cosa a questo sciagurato è criminale, perché era
meritevole di un solo trattamento: degradazione pubblica e fucilazione alla
schiena.
Insomma, la nostra tradizione che dall’Unità
d’Italia ci vede sconfitti in una guerra sembrava confermata anche nella Prima
Guerra Mondiale senza una battaglia vinta, a meno che non si voglia considerare
una vittoria la nostra eroica resistenza sul Piave, mirabile esempio di
sacrificio di quegli stessi soldati che Cadorna aveva tacciato di
vigliaccheria. Poi venne Vittorio Veneto, ma più che una battaglia fu
l’inseguimento delle truppe nemiche, che stremate e consunte, si ritiravano
sulle originarie posizioni.
Si dice che la storia insegna e forse è vero,
ma si vede che l’Italia è una cattiva scolara, perché altrimenti non vi sarebbe
stata la nostra sciagurata partecipazione alla seconda guerra mondiale.
Non siamo un popolo di guerrieri (per fortuna),
ma sappiamo fare il nostro dovere; quello che ci manca sono dei capi capaci e
onesti, senza i quali continueremo a essere, nel contesto mondiale degli stati,
o gli ultimi dei primi, o i primi degli ultimi, insomma di una mediocrità che
non riusciamo a toglierci di dosso.
Da leggere.
Lorenzo Del Boca è giornalista professionista. Ha sviluppato la sua carriera presso leditrice
La Stampa, iniziando a
scrivere sulle pagine provinciali di Novara per diventarne poi capocronista,
inviato speciale ed editorialista. Nel 1996 è stato eletto presidente della
Federazione Nazionale della Stampa e, dal 2001, è il presidente dellOrdine
Nazionale dei Giornalisti. Polemista, al di fuori delle convenzioni, talvolta
controcorrente, è autore di libri e di saggi che presentano laltra
storia del Risorgimento e dell’Età Contemporanea.
Recensione
di Renzo Montagnoli
Mi é piaciuta questa frase: non siamo un popolo di guerrieri. E speriamo di restare così. Libro che dovrebbe essere indubbiamente interessanta.
RispondiEliminaAgnese Addari
Una triste pagina di storia, un numero impressionante di morti...
RispondiEliminaIo non ho mai conosciuto un mio zio, fratello di mio padre, che è partito a causa di quella dannata guerra e non è più ritornato. Rimane soltanto una fotografia che evidenzia il suo aspetto di giovanissimo soldato.
Quante cose ci hanno raccontato di quegli anni sui libri scolastici, e soprattutto quante ne hanno tenute nascoste.
A distanza di cent'anni, tutte quelle morti inutili, quelle vite sprecate, fanno ancora male.
Ho letto con grande coinvolgimento la presentazione di questo libro, come sempre.
Piera