Grande
secolo d’oro e di dolore
di
Vincenzo Pardini
Edizioni
Il Saggiatore
Narrativa
romanzo storico
Pagg.
240
ISBN 9788842823148
Prezzo
Euro 21,00
L’ultima
dei Longobardi
All’inizio
di questo romanzo l’autore riporta la genealogia di Leonide dei
Longobardi, principale personaggio dell’opera stessa; si tratta di
un numero rilevante di nomi, alcuni dei quali saranno propri di
semplici comparse, ma altri invece corrisponderanno a individui
capaci di brillare di una luce propria. Se devo essere sincero tutti
questi personaggi mi hanno subito portato a un senso di
disorientamento, memore dei racconti che mi faceva ogni tanto mia
nonna, membro di una famiglia patriarcale assai numerosa, in cui
abbondavano fratelli, sorelle, genitori, zii, nipoti, cugini, un vero
e proprio esercito di cui lei ben conosceva i nomi che mi sciorinava
e che più delle volte mi lasciavano perplesso per la confusione che
mi veniva ingenerata. Poi, pensandoci bene, mi sono tolto ogni remora
e mi sono detto di leggere senza preoccuparmi tanto di vedere come si
ricollegavano i nomi, ma seguendo puramente e semplicemente le
vicende, con particolare attenzione a quelle di Leonide Lusetti, la
cui scomparsa avvenuta nel 1983 ha posto fine alla casata dei
Longobardi. E’ una scelta di lettura, peraltro, che è quasi
imposta perché il personaggio è del tutto particolare e intorno a
lui ruotano i fatti, piccoli e grandi, di un secolo, il XX. Non è
una novità narrare di un’epoca sulla base delle vicende di una
famiglia, ma parlarne e riuscire a rendere avvincenti fatti in sé
normali e non eclatanti non è facile, anzi denota una grande
capacità, tanto più che a fronte di queste piccole storie sullo
sfondo si muove la grande storia, la Grande guerra, l’avvento del
fascismo, la seconda guerra mondiale, il dopoguerra di fame e di
speranza, il benessere economico. Però la chiave di lettura
dell’opera non è solo questa, perché prevede anche la descrizione
della fine di una civiltà che non tornerà più, quella contadina,
con quel legame profondo con la terra che fra timori e superstizioni
in individui più sensibili, come appunto Leonide, porta a scoprire
facoltà paranormali, ben oltre le asserite capacità di un medium,
in quel confine indefinito fra vita e morte in cui tutti si agitano.
La creatività di Pardini è indubbia, perché riesce a raccontare
tanti fatti, imprigionandoli in una patina di tempo andato, una serie
di fotogrammi che sollecitano il lettore ad andare avanti, per
sapere, per conoscere. Quella che a un esame superficiale potrebbe
sembrare una telenovela, in realtà sono le testimonianze di un’epoca
non lontana in termini di tempo, ma ormai antichissima come modo di
vita.
Credo
che Pardini, con quel suo stile semplice e pur efficace, che
definirei da naif, con questo romanzo sia riuscito a dare il meglio
di se stesso, realizzando un’opera di sicuro interesse e che merita
ampiamente di essere letta, anche perché, nonostante tanti
personaggi, è riuscito a differenziarli perfettamente, sempre però
facendoli apparire come propri della loro epoca, con i loro difetti,
i loro pregi, i loro sogni e le loro speranze.
Per
quanto concerne il tema della natura, da sempre ricorrente nelle
opere dell’autore, in questa ha assunto un rilievo del tutto
particolare, presentata a volte come diabolica, altre come mite e
sereno corollario, il tutto solo ed esclusivamente secondo quello che
in un determinato momento è lo stato d’animo dei personaggi; in
ogni caso la descrizione dei panorami assume toni poetici e le
atmosfere sono rese così bene da ottenere la partecipazione del
lettore.
Ritornare
indietro nel tempo, di cui solo in parte si è avuta esperienza
diretta, è un po’ ricercare le proprie radici che non sono
dissimili, nella zona toscana in cui è ambientato il romanzo, dalla
zona lombarda in cui sono nato e abito. Al riguardo ho notato che,
nel ricordo dei racconti di mia nonna, ci sono tanti punti di
contatto, per quanto concerne per esempio la superstizione, ma anche
per quanto riguarda certe figure che, in possesso di una vena poetica
e di uno spirito acuto di osservazione, tanti anni fa vergavano delle
pasquinate riferite per lo più a questioni di corna, operette
satiriche anonime, ma di cui era possibile intuire il nome
dell’autore; ebbene, anche nel romanzo ce ne sono diverse, stilate
da Pardini, e devo dire che mi hanno divertito, cogliendo anche il
loro scopo o di rafforzare una proposizione, oppure di stemperare la
tragicità di certi eventi.
Non
aggiungo altro, perché non ce n’è bisogno; l’opera vale molto
di per se stessa, come potrà constatare chi avrà il piacere di
leggerla.
Vincenzo
Pardini è
nato a Fabbriche di Vallico (Lucca) nel 1950. Collabora al Quotidiano
Nazionale e
alle riviste Nuovi
Argomenti e Paragone.
Tra le sue opere ricordiamo Jodo
Cartamigli (Mondadori,
1989), Giovale(Bompiani,
1993), Rasoio
di guerra (Giunti,
1995), Tra
uomini e lupi (peQuod,
2005, premio Viareggio-Rèpaci) e Il
postale (Fandango,
2012).
Renzo
Montagnoli
Una bella recensione, come sempre, gradevole e avvincente, una storia inserita nella Grande Storia, storie individuali che fanno parte della Storia collettiva.
RispondiEliminaGrazie.
Piera