John e
Milena
di massimolegnani
Dopo appena sei
giorni il silenzio fra loro divenne la regola. Regola e necessità di trovare
un’altra via di comprensione, perché a parole Milena e quell’omone che un
pomeriggio aveva suonato alla sua porta proprio non si capivano. Chi fosse le
era apparso subito evidente, cappellaccio, scarponi e fango, bastone e zaino
zeppo, doveva essere un camminatore, quasi certamente impegnato nel percorso
della via francigena che passava lì vicino, come pure non aveva avuto bisogno di
chiedergli che cosa volesse, ovvia la doccia, impellente un letto per la notte.
In periodo di bassa stagione Il Glicine,
bed&breakfast inaugurato di recente, era privo di ospiti per cui lei lo
aveva accolto con particolare entusiasmo.
Quella sera non
c’erano stati problemi di comunicazione, l’uomo stravolto dalla fatica aveva
consegnato il passaporto e, ritirata la chiave, era subito salito alla sua
stanza. Probabilmente si era addormentato senza nemmeno cenare.
La donna,
compilando la scheda con i dati del cliente, John McCullough, 45 anni,
australiano di Crane, località imprecisata del Queensland, era stata presa da
una sottile eccitazione, finalmente avrebbe collaudato con uno
straniero madre-lingua il proprio inglese, frutto recente di un corso
full-immersion, immersione per altro assai salata. Purtroppo al mattino era
riuscita a scambiare solo pochi convenevoli, intuendo più che capendo le
risposte dell’ospite. Poi l’uomo aveva saldato
il conto ed era ripartito. Lei aveva provato un vago rammarico mentre lo
guardava allontanarsi appesantito sotto il carico; la sua mole già spossata
alla partenza ispirava tenerezza, qualche parola in più con lui l’avrebbe detta
volentieri.
Grande lo
stupore quando il turista era
riapparso alla sua porta poco prima del tramonto.
- La credevo
ormai lontano, a scalar le mura di Monteriggioni se non a Siena a riposare
all’ombra della Torre - gli aveva detto a mo’ di saluto in un inglese che le
era sembrato impeccabile.
John l’aveva guardata strizzando gli occhi come si stesse
sforzando di capire, poi aveva scosso il capoccione e allargando le braccia
aveva iniziato un lungo discorso di cui Milena comprese solo sorry e poco più.
Sembrava che l’uomo volesse giustificare la propria ricomparsa o forse cercava
di spiegare qualcos’altro, il tono era impacciato e docile, la voce
piacevolmente cavernosa, ma le parole erano un alternarsi di suoni duri e altri
strascicati che poco assomigliavano alla lingua imparata da Milena.
La stessa scena, con piccole varianti, era stata replicata nei
giorni a seguire.
L’australiano partiva al primo sole con il suo passo barcollante,
dopo aver pagato il dovuto per la notte e averla salutata con calore, anche
abbracciandola come non dovesse rivederla più, ma nel tardo pomeriggio era di
nuovo lì a chiedere una camera con l’imbarazzo di un bambino sorpreso con le
mani nella marmellata. E invece nelle mani stringeva qualche fiordaliso o pochi
papaveri sgualciti da offrire alla donna che non cessava meraviglia.
Lei aveva
presto imparato a non chiedere il motivo di quella bizzarria, gioiva ad ogni
suo ritorno e sorrideva porgendogli sempre la stessa chiave.
“Florence” le
aveva detto lui una delle prime sere, ma Firenze
giorno dopo giorno era apparsa sempre più distante, sembrava che John non
riuscisse a staccarsi da quel luogo, un’attrazione più forte dei propositi. A
Milena, osservando la sua imponenza in controluce e il tenue smarrimento che
conservava negli occhi anche se rideva, era venuta in
mente l’immagine di una balena spiaggiata. Contravvenendo all’etichetta della
brava proprietaria, aveva preso l’abitudine di cucinare per entrambi, non
tollerava l’idea che lui si nutrisse a scatolette nella solitudine della stanza.
Cene consumate con naturalezza in cucina accanto alla stufa accesa, John
divorava ogni novità, lei si deliziava alla sua fame. Solo le parole erano
ancora faticose come il primo giorno.
Una sera l’uomo
aveva cercato di spiegare, scandendo ogni sillaba: - Nel bush parliamo un
inglese storpiato che nessun cittadino britannico sarebbe in grado di capire.-
Lei aveva
annuito come avesse ben compreso, poi in un moto di sincerità aveva chiesto: - Bus? What a bus?
ripetendo la domanda a mezza voce anche in italiano,
- Quale
autobus?
come
tentasse di trovare da sola il bandolo del discorso.
Un breve
imbarazzo quindi avevano riso all’unisono. L’unica certezza tra loro era
l’incomprensione della lingua. Così, senza nemmeno stabilirlo avevano deciso il
silenzio.
Accantonate le
parole come un libro fascinoso ma difficile, quella sera non fecero altro che
tacere.
Qualche sorriso
da una poltrona all’altra, la musica soffusa, il Morellino sorseggiato con
lentezza, gli sguardi che s’incrociavano tranquilli, l’ostinazione della
pendola che restava inascoltata.
Milena fissò le
mani forti e inoperose dell’uomo, ne immaginò il tocco sulla pelle, quasi lo
sentì, incredibilmente delicato. John andò fantasticando sui paesaggi appena
attraversati e si sorprese a confondere le ondulazioni delle terre di Siena con
le forme morbide di lei, convinto di saperle senza
approssimazioni.
Una piccola
felicità era lì a portata di silenzio.
E' un racconto dalle tinte pastello, delicato che mi è piaciuto leggere. Chissà perché ho immaginato i personaggi in un casolare tra Pienza e Bagno Vignoni, nel cuore della mia amata Val d'Orcia.
RispondiEliminafranca
Bello, così autentico e pulito, nella forma, nella proposta, nella riflessione che sottende. Non c'è enfasi, non una parola in più rispetto all'essenziale, davvero una bella scrittura.
RispondiEliminaGrazie all'autore e a Renzo. Buona giornata.
Piera
grazie a voi per la lettura e le parole. l'ambiente è quello di una Toscana minore ma non meno affascinante: qualche pietra antica, una collina, sentieri tra vigne e rovi, un casolare, ovunque trovi un motivo per modificare il viaggio, sostare. ml
RispondiEliminabello.
RispondiEliminac'è erotimo soffuso.
chiusa giusta.
I'm nobody