I fantasmi del cappellaio
di Georges Simenon
Appendice con avvertenza
di Sandro Volpe
Traduzione di Laura Frausin Guarino
In copertina: Michel Serrault
in un’inquadratura del film di
Claude Chabrol I fantasmi del cappellaio (1982)
Edizioni Adelphi
Narrativa romanzo
Collana Gli Adelphi
Pagg. 238
ISBN 9788845926730
Prezzo
€ 10,00
Dentro la psiche del serial killer
È del tutto
particolare la genesi di questo romanzo, tanto che vale la pena di raccontarla.
Nel 1947 Simenon, nel periodo in cui soggiornò negli Stati Uniti, scrisse il
racconto Il piccolo sarto e i cappellaio,
da cui trasse una versione sostanzialmente analoga, ma con un diverso finale,
che intitolò Benedetti gli umili, e
che, tradotta in inglese, vinse il premio per il miglior racconto poliziesco al
concorso annuale indetto dall’”Ellery Queen’s Mystery Magazine”. Il piccolo sarto e il cappellaio
assomiglia molto a I fantasmi del
cappellaio, anche se il punto di vista della narrazione è dato dal piccolo
sarto Kachoudas, con i suoi tormenti e che, quando scopre che il vicino di casa
è l’assassino ricercato dalla polizia, esita a lungo, incerto fra la paura e il
desiderio di riscuotere la taglia. Invece il romanzo in epigrafe ha come
centralità il cappellaio Labbé, il serial killer, mentre il piccolo sarto
armeno, pur non passando in secondo piano, finisce con il diventare la naturale
complementarietà dell’altro, perché entrambi finiscono con il diventare
complici, in quanto condividono un orribile segreto. La riscrittura effettuata
da Simenon rende più corposa l’opera, analizza in modo incisivo la complessa
psiche di un assassino seriale, conducendo il lettore dentro un mondo di ombre
indistinte, popolato di incubi, di cui il cappellaio Labbé è al contempo
artefice e vittima. E’ un gioco di rara finezza, condotto sull’esile filo del
rasoio (è sempre possibile uno scivolone che tolga la tensione, ma Simenon lo
evita magistralmente). Ambientato a La Rochelle, in un autunno grigio, freddo e
piovoso, la narrazione procede nella realtà di una comunità di modeste
dimensioni, in una vita tutto sommato ripetitiva e monotona, fatta di ore e ore
trascorse al bar per la ormai irrinunciabile partita di bridge, a cui la
borghesia non può mancare, perché ormai è diventato un suo rito, un momento di
contatto fra chi conta e si conosce da tempo immemorabile.
Ma questa
tranquillità propria della piccola provincia viene bruscamente interrotta dagli
omicidi, per strangolamento, di alcune signore anziane, e bene in vista, del
luogo. A uno di questi assisterà anche il piccolo sarto Kachoudas, che già
nutriva qualche sospetto sul suo
dirimpettaio, il cappellaio Labbé. Questi se ne accorge e se ne compiace,
perché ora può dividere con un altro, peraltro assai pavido, il suo terribile
segreto.
Il serial
killer, mano a mano che uccide, con la polizia che brancola nel buio, crede di
incarnare il potere assoluto, si convince di essere perfetto, ma, come sempre
accade in questi casi, il vestito monolitico che si è costruito addosso per un
caso fortuito registra un piccolo strappo; s’incrina così la folle e totale
fiducia in se stesso e da allora sarà una progressiva esasperazione, una
ripetuta e crescente sfiducia che finirà con il portarlo fra le braccia degli
inquirenti.
La capacità
di Simenon di analizzare gli individui, di entrare nella loro psiche qui
raggiunge vertici straordinari e se la maggior parte dell’attenzione è
riservata al serial killer, anche per gli altri personaggi c’è un interesse
rilevante per il loro comportamento, per i fantasmi che agitano la loro mente,
in primis per il piccolo sarto armeno, quel Kachoudas che più di tutti patirà
il segreto di cui è venuto a conoscenza e che nel volgere di pochi giorni,
complice la sua coscienza, finirà per travolgerlo.
E’ difficile
non restare affascinati da questo romanzo, mai greve, avvincente pagina dopo
pagina, con il lettore che gradualmente proverà un sentimento di pietà non solo
per le vittime, ma anche per l’assassino, vittima lui stesso di se stesso.
I fantasmi del cappellaio è un vero gioiello e quindi ne
raccomando vivamente la lettura.
Georges Simenon, nato a
Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatré romanzi
pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti
pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e memorie. Il
commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti
pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per
le storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di «scrittore
per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e
disparati sono infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra
questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse il più
grande e il più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand Céline: «Ci
sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard, per
esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège si trovano all'indirizzo: www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm.
Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège si trovano all'indirizzo: www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm.
Recensione
di Renzo Montagnoli
Una recensione molto accurata e bella di un libro che dovrebbe essere di notevole interesse.
RispondiEliminaAgnese Addari
Qualche decina d'anni fa leggevo molti romanzi gialli. Simenon era uno dei miei preferiti per l'ambientazione delle storie e l'approfondimento psicologico dei personaggi. Penso che questo lo leggerò. Grazie della segnalazione.
RispondiEliminafranca