mercoledì 14 novembre 2012

I fantasmi del cappellaio, di Georges Simenon


 
 
I fantasmi del cappellaio

di Georges Simenon

Appendice con avvertenza

di Sandro Volpe

Traduzione di Laura Frausin Guarino

In copertina: Michel Serrault

in un’inquadratura del film di

Claude Chabrol I fantasmi del cappellaio (1982)

Edizioni Adelphi


Narrativa romanzo

Collana Gli Adelphi

Pagg. 238

ISBN 9788845926730

Prezzo € 10,00

 

 

Dentro la psiche del serial killer

 

 

È del tutto particolare la genesi di questo romanzo, tanto che vale la pena di raccontarla. Nel 1947 Simenon, nel periodo in cui soggiornò negli Stati Uniti, scrisse il racconto Il piccolo sarto e i cappellaio, da cui trasse una versione sostanzialmente analoga, ma con un diverso finale, che intitolò Benedetti gli umili, e che, tradotta in inglese, vinse il premio per il miglior racconto poliziesco al concorso annuale indetto dall’”Ellery Queen’s Mystery Magazine”. Il piccolo sarto e il cappellaio assomiglia molto a I fantasmi del cappellaio, anche se il punto di vista della narrazione è dato dal piccolo sarto Kachoudas, con i suoi tormenti e che, quando scopre che il vicino di casa è l’assassino ricercato dalla polizia, esita a lungo, incerto fra la paura e il desiderio di riscuotere la taglia. Invece il romanzo in epigrafe ha come centralità il cappellaio Labbé, il serial killer, mentre il piccolo sarto armeno, pur non passando in secondo piano, finisce con il diventare la naturale complementarietà dell’altro, perché entrambi finiscono con il diventare complici, in quanto condividono un orribile segreto. La riscrittura effettuata da Simenon rende più corposa l’opera, analizza in modo incisivo la complessa psiche di un assassino seriale, conducendo il lettore dentro un mondo di ombre indistinte, popolato di incubi, di cui il cappellaio Labbé è al contempo artefice e vittima. E’ un gioco di rara finezza, condotto sull’esile filo del rasoio (è sempre possibile uno scivolone che tolga la tensione, ma Simenon lo evita magistralmente). Ambientato a La Rochelle, in un autunno grigio, freddo e piovoso, la narrazione procede nella realtà di una comunità di modeste dimensioni, in una vita tutto sommato ripetitiva e monotona, fatta di ore e ore trascorse al bar per la ormai irrinunciabile partita di bridge, a cui la borghesia non può mancare, perché ormai è diventato un suo rito, un momento di contatto fra chi conta e si conosce da tempo immemorabile.

Ma questa tranquillità propria della piccola provincia viene bruscamente interrotta dagli omicidi, per strangolamento, di alcune signore anziane, e bene in vista, del luogo. A uno di questi assisterà anche il piccolo sarto Kachoudas, che già nutriva qualche  sospetto sul suo dirimpettaio, il cappellaio Labbé. Questi se ne accorge e se ne compiace, perché ora può dividere con un altro, peraltro assai pavido, il suo terribile segreto.

Il serial killer, mano a mano che uccide, con la polizia che brancola nel buio, crede di incarnare il potere assoluto, si convince di essere perfetto, ma, come sempre accade in questi casi, il vestito monolitico che si è costruito addosso per un caso fortuito registra un piccolo strappo; s’incrina così la folle e totale fiducia in se stesso e da allora sarà una progressiva esasperazione, una ripetuta e crescente sfiducia che finirà con il portarlo fra le braccia degli inquirenti.

La capacità di Simenon di analizzare gli individui, di entrare nella loro psiche qui raggiunge vertici straordinari e se la maggior parte dell’attenzione è riservata al serial killer, anche per gli altri personaggi c’è un interesse rilevante per il loro comportamento, per i fantasmi che agitano la loro mente, in primis per il piccolo sarto armeno, quel Kachoudas che più di tutti patirà il segreto di cui è venuto a conoscenza e che nel volgere di pochi giorni, complice la sua coscienza, finirà per travolgerlo.

E’ difficile non restare affascinati da questo romanzo, mai greve, avvincente pagina dopo pagina, con il lettore che gradualmente proverà un sentimento di pietà non solo per le vittime, ma anche per l’assassino, vittima lui stesso di se stesso.

I fantasmi del cappellaio è un vero gioiello e quindi ne raccomando vivamente la lettura.

 

 

 

 

 

Georges Simenon, nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».

Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège si trovano all'indirizzo: www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm.

 

 

Recensione di Renzo Montagnoli

2 commenti:

  1. Una recensione molto accurata e bella di un libro che dovrebbe essere di notevole interesse.

    Agnese Addari

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  2. Qualche decina d'anni fa leggevo molti romanzi gialli. Simenon era uno dei miei preferiti per l'ambientazione delle storie e l'approfondimento psicologico dei personaggi. Penso che questo lo leggerò. Grazie della segnalazione.
    franca

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