di
Renzo Montagnoli
Non
appena la luce era calata e la sera s’accendeva di luci stellate la
neve aveva iniziato a scendere, dapprima timida, incerta e titubante,
e infine piena d’ardore, copiosa e senza remore. La gente si
affrettava nelle strade, le ultime compere, i regali, i simboli di un
mondo senza più anima, senza più sogni.
Lui
stava seduto in poltrona, la luce spenta nella stanza, la resta
reclinata sulla spalliera, gli occhi semichiusi a pensare sulla sua
vita, a quella solitudine a cui il destino l’aveva condannato. Da
quando lei se n’era andata non c’era stata più vita, ma solo un
lento trascinarsi nelle ore, passi a vuoto, uno sguardo alla sua
fotografia di quando ancora era bella e il male non l’aveva
divorata; giorni fatti di passi perduti, di un cieco dolore che da
una rabbia soffocata poco a poco si era trasformato in sofferta
rassegnazione. Il tempo passava, una stagione dopo l’altra, un
inverno non più d’attesa di una primavera che, pur tornando, non
riusciva più a scaldare un cuore stanco, natali sempre uguali come
questo che cadeva a venti anni dalla sua morte. Volse lo sguardo alla
fotografia, ma al buio non la vedeva, eppure non si risolse ad
alzarsi, a premere l’interruttore, perché tutto di lei era in lui,
la sua immagine, il rumore dei suoi passi lievi, la voce, quella voce
argentina che tanto l’aveva incantato. E nell’oscurità della
stanza lo colse il sonno, giunse in punta di piedi a chiudergli gli
occhi, a rallentarne il respiro. Si abbandonò fiducioso al torpore e
si accorse, con felice stupore, di dormire, ma di viaggiare in un
sogno. Camminava lungo un viale di foglie morte quando di colpo
apparve lontana una figura che sembrava venirgli incontro e a ogni
metro che faceva le piante si aprivano come alla primavera, si
coprivano di foglie verdi e lungo i bordi di quella strada era tutto
uno sbocciare di bucaneve, mentre si udiva lontana una musica soave
che parlava al cuore. La distanza fra le due figure diminuiva e la
natura sembrava trionfare sul gelo dell’inverno; a un certo punto
ebbe un balzo al cuore, un colpo secco, un tremito diffuso perché
aveva riconosciuto chi gli veniva incontro. Bella, come la prima
volta che l’aveva vista, lieve come il passo di una nuvola nel
cielo, il suo nome quasi urlato con quella voce argentina. Si
trovarono infine di fronte, lui allungò una mano, le accarezzò una
guancia, lei gli sorrise, gli prese la mano se la mise sul cuore,
accostò il viso al suo e, mai, mai fu così bello e intenso un
bacio, lungo da togliere il respiro, poi lei si ritrasse un po’, si
accostò e porse il suo braccio, facendo cenno di seguirla.
A
braccetto e a lenti passi si avviarono alla fine di quel viale; a lui
sembrava di volare, avvertiva forte un senso di infinita serenità e
seppe che infine l’aveva ritrovata e che mai più si sarebbero
separati.
La
neve cadde tutta la notte e anche il giorno di Natale, qualcuno bussò
alla porta, qualcuno telefonò, ma non ebbero risposta
Bellissimo e commovente. Grazie. Buon Natale!
RispondiEliminaBellissimo Renzo!
RispondiEliminaBuon Natale!
Graziella
Ritrovarsi in un sogno, per l'eternità...Bel racconto davvero.
RispondiEliminaBuon Natale
Gio