Foto da web
L’autore resta ignoto
di Renzo
Montagnoli
Quando morì mia suocera, la sua casa
restò vuota e allora decidemmo di venderla.
Era una vecchia abitazione, che
risaliva probabilmente ai primi del XIX secolo, disposta su due piani, più la
soffitta.
I compratori ovviamente la vollero
libera e così si provvide allo sgombero dei mobili e di tutte le suppellettili.
In soffitta trovammo un marasma di cose
vecchie: fotografie di gente a noi ormai sconosciuta, oggetti di nessun valore,
ma che per qualcuno avevano significato molto, e fra questi un quadernetto
dalla copertina nera.
Lo volli tenere, perché a suo modo
rappresentava un’epoca, con i fogli a righe e una calligrafia minuta, con non
infrequenti sbavature, segno che l’autore aveva utilizzato penna e calamaio,
tranne che per le pagine dalla metà in poi dove il tratto di una matita
appariva in più punti sbiadito.
Di quello che ho letto, di ciò che c’è
scritto, a volte anche con errori d’italiano che, per rispetto, non intendo
correggere, voglio rendervi partecipi.
14
agosto 1914.
Oggi
fa caldo, il sole picchia come un ossesso, ma sono felice. L’ho conosciuta
quasi per caso, ma era da giorni che l’avevo notata. L’ho salutata e lei mi ha
risposto. Ho sentito il cuore battermi forte e l’ho guardata allontanarsi: è la
donna più bella del mondo.
15
agosto 1914.
C’è
la festa del paese, c’è la musica. Potrò invitarla per un ballo? Ecco, ora temo
che tutto quel bel sogno vada male e che lei mi dica di no.
16
agosto 1914
Sono
felice, come non lo sono mai stato.
Oggi
mi sono messo il vestito della festa, che è anche l’unico che ho.
Quando
si è poveri si è costretti a mettersi gli abiti vecchi che altri magari hanno
avuto già usati. Le braghe sono un pò
larghe, ma con le bretelle stanno su.
Il
peggio è la giacca: stretta, che se la chiudo non respiro, e se la tengo aperta
fra un lato e l’altro ci sta una spanna. Meglio di niente, comunque. L’ho
invitata e lei ha abbassato gli occhi, ma ha detto sì. Abbiamo fatto un solo
ballo, una mazurka, e mi sembrava di volare. Credo che lei si sia innamorata di
me, perché quando l’ho riaccompagnata ai bordi della pista sorrideva, sembrava
quasi un sole. Sua madre non mi ha degnato di uno sguardo, ma sono sempre così
con le figlie.
Conto
di vederla anche domani.
17
agosto 1914
Ho
fatto di tutto per incontrarla per strada, ma lei non era sola, perché c’era la
madre. L’ho salutata, ha abbassato gli occhi e non mi ha risposto.
A questo punto, si notano chiaramente
che mancano delle pagine, quasi fossero state strappate e infatti i contorni
interni non sono regolari, ma presentano delle piccole sporgenze che avvalorano
questa ipotesi.
Del resto l’ordine cronologico dimostra
un salto di non pochi giorni, perché il diario riprende con il 24 dicembre.
24
dicembre 1914
Per
vederla devo ridurmi ad andare in chiesa solo per questo, ma non posso nemmeno
avvicinarla, perché c’è sempre qualcuno che me la tiene distante.
Ripenso
alla lettera che mi aveva scritto e immagino come la sua sofferenza sia
superiore alla mia. Del resto cosa potevo pretendere io che sono un
pezzente…niente, al massimo una pezzente come me. E invece lei è di famiglia
danarosa e andrà in sposa a un commerciante di granaglie.
E’
meglio così: i proletari non solo non hanno soldi, ma non possono nemmeno
alzare la testa per migliorare e neppure per sposare la donna che amano, se è
di una classe superiore.
25
dicembre 1914
L’ho
vista, da lontano, come un cane lasciato fuori dalla porta e come un cane suo
padre mi ha fermato per strada, mi ha minacciato, ha fatto la voce grossa, ma
poi mi ha offerto anche del denaro perché sparisca. Sono stato zitto e ho
respinto quei quattro soldi, il prezzo per rinunciare a un sentimento
Ma
che cuore ha questa gente che crede di comprare tutto, anche un’anima?
Alle
sue domande ho risposto con sincerità.
-
Giurami che non cercherai più di incontrare mia figlia!
-
Lo giuro.
-
Giurami che non l’amerai più!
-
No, questo no.
-
Guai a te, pezzente.
Sono
rimasto fermo, anche se sentivo venir su dallo stomaco un fuoco che mi
divorava. Avevo voglia d’ammazzarlo, ma questo è contro i miei principi e poi
non ne avrei avuto giovamento.
Sono
tornato a casa a passare il Natale più brutto della mia vita. Ma prima di sera,
quando là non c’è nessuno, sono andato in chiesa a parlare col prete.
-
Guai, figliolo! Mogli e buoi dei paesi tuoi; troverai una brava e bella ragazza
del tuo livello e vivrete felici e contenti. Non sai che alzare troppo il capo
fa male, è un peccato d’invidia e poi lo diventa anche di superbia. Ora vai che
ho cose più importanti da fare.
Prima
di uscire, mi sono inginocchiato davanti alla statua della Madonna del Roseto e
ho fatto un voto: la rinuncia a ogni desiderio verso di lei pur che mi sia
concesso ogni tanto di vederla.
Non
so se lassù mi ascolteranno, perché per noi poveri orecchie non ce ne sono.
26
dicembre 1914
Ho
trovato un lavoro in città, a scaricare dai barconi l’argilla per la ceramica.
Dovrò lasciare il paese e forse è meglio, così non rischio di incontrarla.
E’
dura, però. Mi viene in mente la favola di Cenerentola, serve solo a incantare,
ma nella vita non è così. C’è un confine fra noi e gli altri, fra chi sgobba
per far la fame e chi sfrutta per avere troppo.
Noi
niente, nemmeno l’amore, e loro tutto. E’ ingiusto, immorale, feroce.
20
gennaio 1915
Questo
lavoro spezza la schiena, a scarriolare su e giù dai barconi 10 ore al giorno,
al freddo, in mezzo alla neve, a mangiare pane e mortadella a mezzogiorno e
alla sera mortadella e pane. Poi, di notte dormo su una branda in una baracca,
con due coperte che non tengono lontano il gelo che mi entra fin nelle ossa.
Anche
se volessi tornare al paese a fare il bracciante c’è l’ordine di non farmi
lavorare e io devo pur vivere, anche se questa non è una vita.
Ogni
tanto, mi sembra che s’apra la porta e che lei entri, illuminata solo dalla
luna. Viene verso di me, si china, mi accarezza i capelli, mi bacia sulle
labbra e allora mi sveglio con le lacrime agli occhi. Non c’è nessuno, solo il
buio e il freddo.
16
marzo 1915
Oggi
ho conosciuto un compagno, uno di quelli tosti; alla sera ha voluto che vada
con lui e così sono entrato in un’osteria con cucina. Meno male che ha offerto
lui, perché altrimenti non avevo da pagare nemmeno il mio. Comunque, dopo tanto tempo, ho mangiato una minestra
calda e ho bevuto anche un po’ di vino che mi è andato alla testa. Così gli ho
raccontato di me: lui stava in silenzio e ogni tanto faceva sì con la testa.
Alla fine ha scosso il capo e mi ha detto che solo il partito dei proletari può
cambiare il mondo, che la giustizia si deve combattere per averla, che un
giorno saremo poi tutti uguali. Mi sono piaciute queste sue parole e ho preso
la tessera. Forse, davvero qualche cosa potrà cambiare, forse c’è una speranza.
15
aprile 1915
Si
parla di guerra, di quella che vede già di fronte mezza Europa. C’è chi vuole
esserci e c’è chi vuole starsene fuori.
La
guerra la fanno i poveri per ingrassare i ricchi e quindi non la farò.
10
maggio 1915
Il
compagno mi ha spiegato come stanno le cose e cioè che con questa guerra si
avrà l’occasione per riscattare i proletari.
Non
so se è vero, ma quando me lo diceva gli brillavano gli occhi e per quello che
ho da perdere non ne resterò fuori. Se solo c’è una possibilità che tutto possa
cambiare grazie alla guerra, che possa un giorno presentarmi a lei senza essere
considerato un cane rognoso, devo sfruttarla, costi quel costi, fosse anche la
vita.
24
maggio 1915
Da
oggi siamo in guerra con Francesco Giuseppe. Domani vado ad arruolarmi.
1
giugno 1915
Sono
sulla tradotta che ci porta al fronte e sono emozionato, non tanto per la
guerra, ma perché l’ho vista e le ho parlato.
Ero
in stazione con gli altri, finalmente con un vestito mio e tutto nuovo, anche
se da soldato di fanteria. C’era la banda, il sindaco, il vescovo, tutti per
noi. E poi c’erano delle signore che a ognuno davano qualche cosa: un
fazzoletto, un crocefisso, una bandierina. E fra loro c’era lei. Non mi ha dato
nulla, ma mi ha stretto la mano, dicendomi:
-
Bravo, per il re e per la patria. Sta attento, riguardati, torna, mi
raccomando.
Non
sono riuscito a dir nulla: quelle parole giravano dentro di me, mi sembravano
un tesoro tutto mio. E quel torna ha avuto il sapore di una promessa, è stato
il segno di un sentimento che non è morto e che mi fa sentire vivo.
Sono
troppo commosso per scrivere ancora e poi la matita, anche lei, è emozionata,
perché non sono riuscito ad andare dritto.
30
novembre 1915
Doveva
essere breve questa guerra, ma già siamo vicini all’inverno e siamo sempre qui,
a marcire nel fango.
Le
illusioni iniziali sono presto sparite: si muore e non è una bella morte, come
qualche imboscato canta.
Guai
a farsi degli amici, che poi se schiattano sembra che il mondo ti crolli
addosso.
Oggi
sono venuti a portare la posta e come al solito mi hanno detto che per me non
c’era niente. Al che il sergente mi ha domandato: - A te non ti scrive mai
nessuno?
Ho
abbassato gli occhi e ho risposto: - I miei è già da un po’ che sono morti. M’è
rimasto un fratello che combatte su questo stesso fronte una decina di
chilometri più a nord. Non vorrai che mi scriva per parlarmi della stessa
trincea?
E’
un buon uomo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: - Non ce l’hai
una ragazza?
Non
ho saputo che rispondere, ma dato che anche altri ascoltavano ho detto di sì.
-
E allora, se non ti scrive lei, scrivigli tu.
E’
quel che farò, altrimenti divento matto.
25
dicembre 1915
Sembra
che il Natale conti anche in guerra e oggi è un giorno calmo. Ho appena scritto
la prima lettera, ma non ho parlato della trincea, della paura, della
sofferenza, insomma di tutta questa tragedia.
Ho
chiesto solo di lei, di come sta, se mi pensa, se mi considera almeno un amico.
Non
so se mi risponderà, ma spero, spero tanto.
20
marzo 1916
Le
ho già scritto dieci lettere, ma non ho mai avuto risposta. Mi sforzo di
pensare che non le siano state consegnate.
Ho
il morale a terra, non vedo altro che la mia solitudine.
30
aprile 1916
E’
da giorni che sono nel fango, tremo tutto, credo di avere la febbre; non mangio
più e oggi mi manderanno nelle retrovie all’ospedale da campo. Ho la vista
annebbiata e una tosse spaventosa, dei colpi improvvisi talmente forti che
sputo sangue.
15
maggio 1916
La
sentenza è arrivata: tubercolosi. Una morte lenta, atroce, non c’è rimedio.
Domani mi trasferiscono all’ospedale militare di Verona e da lì fra non molto
al cimitero.
Il
sergente mi è venuto trovare, ha cercato di rincuorarmi e io ho fatto finta di
credergli.
10
giugno 1916
Sono
all’ospedale di Verona, in una camerata dove siamo una ventina, isolati perché
il male è infettivo. Chi ci cura ha i guanti e una mascherina sulla bocca.
Nessuno parla, tanto non avrebbe né la forza né la voglia.
15
giugno 1916
Un
miracolo, oggi. Sono arrivate delle Crocerossine, tutte signore della buona
società. Hanno fatto il giro della camerata e una è rimasta indietro e si è
messa a guardarmi. Nonostante la maschera quegli occhi… Non avrei mai potuto
dimenticarli.
Si
è avvicinata al letto, mi ha accarezzato i capelli, aveva gli occhi lucidi, mi
ha parlato:
-
Dai, sono sicura che ce la farai e poi verrò a trovarti tutti i giorni fino a
quando torneremo insieme al paese.
Anche
questa volta non ho detto niente, ma le ho stretto la mano con la poca forza
che mi è rimasta.
18
giugno 1916
Viene
a trovarmi tutti i giorni, come un raggio di luce nel mio buio. La Madonna del Roseto ha
ascoltato le mie preghiere, anche se ormai è troppo tardi. Oggi ho parlato con
il medico e l’ho pregato di non farla venire più, perché non voglio che mi veda
quando sarà l’ora, voglio che di me abbia il ricordo di un vivo. Ha capito e mi
ha assicurato che mi accontenterà.
E’
l’ultima volta che la vedo, che scorgo quegli occhi così dolci e colmi di luce.
Fatico a parlare e resto zitto, però, prima che se ne vada, devo dirle qualche
cosa che ho dentro da tanto tempo.
-Se
fossimo nati in un mondo diverso, non saremmo qui, ma in una casa a parlare e a
sognare. Ho avuto poco dalla vita, ma l’averti conosciuto…
Tossisco,
ho una convulsione, lei mi sostiene.
-…l’averti
conosciuto ha dato un senso a tutto.
Mi
bacia sulla fronte e corre via piangendo.
Il diario si ferma qui, a un’ultima
pagina vergata con mano incerta. Non c’è la parola fine, anche se è sottintesa.
Ho provato a indagare per sapere il
nome dell’ignoto estensore, ma, dato il tempo trascorso, chi poteva sapere è
già morto da diversi anni. Sul retro del quaderno c’è una breve frase, che si
legge a malapena: Era un uomo di una
specie rara, nato e morto troppo presto.
Riconosco, però, quella calligrafia;
l’ho già vista in alcune lettere che una nonna ha scritto alla nipote, cioè a
mia moglie.
Ma il nome di lui resta ignoto, un
segreto che una donna ha conservato gelosamente per tanti anni e che è morto
con lei.