sabato 7 settembre 2019

Poesie di settembre 2019




Il braciere
di Salvatore Armando Santoro


Ed eran tempi duri con la guerra
l’ombra di quel lumino ancor ricordo
nel centro della stanza un bel braciere
che sfavillava in mezzo alle preghiere.
Mia madre sempre mistica e devota
pregava per mio padre in Albania
leggendo con mestizia una preghiera
su un libro dalla copertina nera.

A volte c’era poco da mangiare
un pugno di lupini e due castagne
e ci leggeva in quell’ambiente fosco
vita e storia di San Giovanni Bosco.

Perché rammento queste mie tristezze?
Spesso me lo domando, ma il ricordo
serve per non scordare i tempi duri,
per non dimenticare i giorni oscuri.

Storie che ai nostri dì vivono in tanti,
la povertà s’affaccia in occidente,
non si spreca, s’inizia a risparmiare,
dovrà chi non risparmia digiunare.

E allora quel braciere è un bel ricordo
dovrebbe servire a tanti da lezione
ma la lezione sembra non servire
ma quanta gente in mare va a morire?

Niente: non serve a nulla ricordare
nei giovani v’è solo indifferenza
non guardano che sale l’indigenza
stanno a fissare solo il cellulare.





Il filo d’erba
di Giovanna Giordani


Ondeggia alla brezza
nella sua umile bellezza
il filo d’erba
e innalza lodi al sole
beato
con la sua comunità
grato
se nessuno
lo calpesterà




Il Santuario di Pietralba
di Piera Maria Chessa


Io vidi dal basso
il Santuario di Pietralba
e subito mi parve
un castello da fiaba.
“Forse Biancaneve
è passata da qui”,
mi dissi quel giorno
scherzando,
“vi ha soggiornato,
magari dormito
in attesa di un bacio”.
Bellissimo da vedere
immerso com’era nel silenzio
e circondato dalla neve,
suggestivo in quel candore
che tutto ricopriva.
E quel fresco
che penetrava lento
sottopelle,
mentre il cielo era azzurro
e gareggiava con il bianco
per provare a capire
quale fosse sulla terra
il colore più bello.




Le nuvole
di Danila Oppio


Le nuvole
nel cielo cobalto
come se gli angeli
si fossero
spiumati
per far intravedere
un po’ del loro cielo




Muore il sole
di Graziella Cappelli

Muore il sole
oltre le siepi
trafitto
dai cipressi.
Vaga nell’ombra
l’Anima fragile
si adagia
sulla terra
ancora cada
attende
carezze di Luna.



Panoramica
di Gianluca Ferrari


Rotari: qualche casa
tenuta insieme da un’eco
longobarda. Per noi significava
che ormai s’era arrivati.
La lagna degli ultimi tornanti
s’addolciva per un attimo
nei pressi dell’edicola sacra
alla Fiancata.
Poi Ronchi, il do di petto
della grande fontana,
la polvere di sole della bottega
del falegname, le esili fascine
accatastate, gli ancora più sottili
coppi di pietra, il piccolo
camposanto al termine
dell’ultima discesa, la chiesa,
la quercia enorme che sovrasta
la locanda nella conca erbosa!

Da Il posto del fragole (edito in proprio, 2018)




Popolpollo
di Cristina bove


le chiocce fanno uova per i ladri
i polli in batteria
non sanno che saranno macellati
e che il mangime
è solo il passaporto per la pentola
nei ricettari han foto di famiglia
i loro morti
uccisi e rosolati


il popolo non sa
d’essere foraggiato a distrazioni
becchettiamo per vivere
le briciole di tutti gli epuloni
dalle catene di montaggio ai danzatori
_i cantastorie ninnano i dormienti_
l’arte ci narcotizza
la bellezza è un richiamo per gli insonni
distrazione dai fatti:
i mari immortalati sulle tele
sono splendide lastre sepolcrali
agli annegati
il coperchio del vaso degli abissi


sottile è il gioco (giogo)
la manovra che ottunde e ci prepara
alla comune sorte


le strategie di premi e di vittorie
ci fanno consenzienti
divoratori onnivori seriali
dei centri commerciali


dove non è la gloria a lusingare
il culto dei vincenti
assidui spettatori degli eroi
sportivi in canottiera sui divani


tutto fa brodo
popoli e galline


la ricerca scientifica
la promessa salvifica dell’eden
ogni mezzo efficace e soporifero
per mantenerci sani e produttori
di vita e morte (anche miracoli)
pensando mal comune mezzo gaudio
a beneficio dei dominatori




Prato di seta
di Franca Canapini


Il vento leggero soffiava sul prato
i fiorellini celesti del lino
gli umili anemoni d’oro
il cardo dal calice rosa stellato
insieme ai lunghi fili dell’erba
nella luce ondeggiavano
e tutti vibravano
alle carezze del vento sul prato
sorridevano nel tepore del sole
ignorando il mio sincero stupore
per la bellezza della tenera seta
tessuta da un semplice prato




Un velo di fulgore
di Renzo Montagnoli

Un filo di luce cade dal buio
un altro ancora s’accosta
e presto è una cascata luminosa
che nelle effimere ore di un giorno
tesse un impalpabile velo di fulgore.
Poi,
con le prime ombre della sera,
si dissolve,
e torna nell’immenso dell’oscurità.

Da La pietà





Uomo
di Aurelio Caliri


Uomo col tuo forsennato respingere l’uomo
col tuo forsennato negargli il respiro la pietà la vita
uomo tu non sei più uomo
sei peggiore di una belva assetata di sangue
Non sai non comprendi il dolore la speranza
per conquistare la vita
non sai non comprendi il suo anelito
per raggiungere te
perché egli è un uomo come te
un uomo assetato di gioia d’amore come te


Onde che assalgono furiose una barca
urla pianti di bambini disperati
che vogliono sfuggire alla morte


Uomo se tu sei un uomo accoglili
abbracciali proteggili e amali
se sai se comprendi che la vita
è il bene più prezioso che c’è
allora saprai che stai sbagliando
che sulla terra stai annaspando
perché egli è un uomo come te
un uomo assetato di gioia d’amore come te
come te




Testo e musica
Aurelio Caliri




Qui il videoclip:










Recensioni settembre 2019







Dal fondo.
I miei primi dieci anni
di Franca Canapini
Youcanprint
www.youcanprint.it
Autobiografia
Pagg. 162
ISBN 9788831610070
Prezzo Euro 12,00


Come eravamo




Non è mia abitudine riportare nelle recensioni che scrivo le eventuali dediche dell’autore che normalmente si trovano nella seconda pagina, ma questa volta faccio un’eccezione che ritengo più che motivata; infatti leggo “Caro Renzo, mi fa piacere donarti questo libro nato per essere regalato a parenti ed amici. Con affetto Franca”. Quanto pudore in queste poche righe! Franca Canapini, poetessa assai valida e conosciuta anche come narratrice, ha quasi un senso di timore nel proporre questo Dal fondo. I miei primi dieci anni, una autobiografia limitata a un periodo di tempo assai breve dove quello che conta non è la storia del soggetto che scrive la sua esistenza da bambina, ma è il narrare di un’epoca passata, di un’Italia che faticosamente viene ricostruita sulle macerie della guerra, con i primi sviluppi industriali che ancora non lasciavano presagire la fine di una millenaria civiltà, quella contadina. E Franca è in grado di parlarne compiutamente non solo per gli studi effettuati e le sue capacità di analisi, ma anche perché abitava in campagna e nella sua crescita da lattante a bambina ha potuto vedere come il mondo rurale subisse una modificazione quale non si era mai vista prima. Ero povera, scrive, povera, ma non misera, perché non le mancava da mangiare, ma il suo mondo, come del resto il mio che analogamente ero povero, imponeva una rinuncia dietro l’altra che i bambini di oggi, abituati ad avere tutto, nemmeno possono immaginare. Eppure, e probabilmente senza enfatizzare il senso di questa congiunzione, eravamo felici per il poco che avevamo. Per Franca Canapini la vita all’aria aperta, i contatti con gli altri bambini, più o meno anch’essi poveri, erano l’occasione per vivacizzare l’esistenza, per dare tutto se stessa in cambio di poco, ma con la soddisfazione di aver dato un senso alla giornata. La gioia derivava da piccole cose, oggi impensabili, come l’acqua corrente in casa, la stufa economica a legna, anziché il focolare, una passeggiata al mercato e perfino al cimitero, per non parlare dell’osservazione attenta della natura, delle ricorrenze capitali nel lavoro dei campi, quali l’aratura, la semina, poi la mietitura e la trebbiatura. Anche la vendemmia aveva una sua importanza, richiama epoche ancor più antiche e quasi sembra di vedere la raccolta dell’uva, il trasporto, la pigiatura con gli occhi di quel grande cantore che è stato Virgilio. C’è proprio tutto un mondo scomparso in questa narrazione di una giovinezza che di certo non tornerà più, come è altrettanto sicuro che quella civiltà di cui erano permeati i popoli, così immobile nei secoli, non la potremo più rivedere, né ci sarà dato il piacere di vedere la mungitura a mano nelle stalle, o di sentire il chiacchiericcio delle lavandaie prone sugli scanni ai lavatoi. Tutto è scomparso, annientato da un boom economico, ma anche da una nuova mentalità, che ha sostituito poco a poco i carri trainati dai buoi con le lambrette, e poi con le Topolino e le 500, per non parlare dell’avvento della televisione, capace anche di far vedere come vere cose che non lo sono e che ha soppiantato le riunioni serali nella stalla d’inverno o sull’aia d’estate dove c’era sempre chi era capace di raccontare fole, anticipando la narrativa horror con storie di fantasmi che facevano tremare i più piccoli, paurosi nel buio della stanza quando andavano a dormire. Franca Canapini ha una scrittura snella, una capacità affabulatoria che attrae e incanta, non di rado accompagnata da una certa vena poetica che le è propria e che la induce a integrare la prosa con dei versi che, oltre a essere belli, non sono per niente fuori luogo. Certo il fatto che parli di un’epoca che ha visto anche la mia giovinezza ha un peso non trascurabile nel giudizio, ma questo voler scrivere di un passato ormai lontano non ha solo il significato di una sorta di testamento da lasciare ai nipoti (e infatti l’opera inizia con un’introduzione in cui, rivolta alla nipote Alice, ne è spiegato il fine), è anche l’omaggio per i bambini di oggi, affinché sappiano quali sono le vere radici da cui provengono, sperando che apprezzino e che, soprattutto, possano comprendere, loro che hanno tutto, troppo direi, tanto da essere sempre insoddisfatti, quanto il poco dei loro nonni sia stato considerato un bene prezioso, una ricchezza irripetibile.
Da leggere, e non è un consiglio, ma una raccomandazione.

Franca Canapini, nata a Chianciano Terme (Si), risiede ad Arezzo dal 1975. Laureata in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Perugia, è stata Maestra nella Scuola Primaria e Professoressa di Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado.
Della poesia (e della scrittura in generale) dice “ La poesia, per me, è folgorazione da cui scaturisce una piena magmatica di suoni, immagini, pensieri, emozioni che necessita trovare foce in parole scritte. Scrivere è stato il sogno più bello della mia giovinezza. Ora, in età matura, il sogno è diventato esaltante progetto di vita.”
A partire dal 2010 ha pubblicato 6 raccolte di poesia, un romanzo e una raccolta di favole, per le quali pubblicazioni ha ricevuto premi e segnalazioni. Fa parte del Consiglio dell’Associazione degli Scrittori Aretini Tagete ed è membro di giuria di alcuni premi letterari.
Suoi lavori si trovano in diverse antologie e riviste di poesia, in vari siti e blog letterari e nel suo blog personale: www.lie­ve2011.wordpress.com
Sito personale: www.francacanapini.weebly.com




I ragazzi del ciliegio
1918 - 1945
di Fiorella Borin
Edizioni Solfanelli
Narrativa romanzo
Pagg. 320
ISBN 978-88-3305-117-8
Prezzo Euro 20,00

Un’incrollabile amicizia

In un periodo storico come l’attuale in cui gli uomini sembrano usciti di senno, sbraitano, cercano di soverchiarsi, rispolverano antiche ideologie come il fascismo e il nazismo per alimentare quello che sembra l’unico scopo di una vita priva di valori, vale a dire l’odio, pescare nel mare delle pubblicazioni che caratterizzano l’editoria un libro che riproponga un elevato senso di umanità, che sappia parlare al cuore e alla mente in modo semplice, ma convincente, è sempre più un’impresa. Perle rare potrebbero essere definiti questi testi che non hanno forse ambizioni di larga diffusione, ma che sono pur tuttavia di grande e ineccepibile pregio. Prima ho avuto la fortuna di leggere Dal fondo, di Franca Canapini, un’autobiografia dei primi dieci anni di vita dell’autore, ma anche lo spaccato di un paese che cercava di risollevarsi dalle rovine della guerra, che sperava e credeva in un futuro migliore, poi, più di recente, Fiorella Borin, narratrice assai nota per i suoi romanzi storici, mi ha fatto avere I ragazzi del ciliegio, un volume corposo da leggere con attenzione e che riserva più di un motivo di autentica commozione.
L’opera, in gran parte basata su carteggi e diari del padre dell’autrice scritti fra il 1942 e il 1945 in Russia e a Roma, è la storia di alcuni ragazzi che amano trascorrere i giorni tristi della Grande guerra all’ombra di un ciliegio ed è uno spaccato della vita in Italia dalla fine di quel conflitto fino ai mesi immediatamente successivi all’aprile 1945, con l’eccezione di un capitolo riportante nel settembre 2014 la scoperta dell’autore di una lettera del lontano 20 dicembre 1963 che accompagna i precitati carteggi e diari, ma che è anche un’illuminante riflessione sull’inutile crudeltà della guerra. Si tratta certamente di un romanzo storico, ma è anche una preziosa fonte storica per capire con immediatezza cosa sia stato il fascismo, come sia potuta accadere la disfatta dell’Armata italiana in Russia e le opposte ragioni di chi ha scelto di stare da una parte piuttosto che dall’altra dopo l’8 settembre 1943. In quelle pagine non c’è spazio per roboanti eroi, c’è solo un dolore intimo che toglie il respiro, che non solo fa temere la morte, ma che rende impossibile la vita. Eppure, per quanto di idee diverse, fra i ragazzi continua l’amicizia, una solidarietà che si spezzerà solo con le tragedie della guerra, con la morte che colpirà alcuni di loro. Sarebbe difficile fare un riassunto dell’opera, tanto è intensa, ma in ogni caso non è mia abitudine fornire troppe anticipazioni, così influenzando magari negativamente il lettore; è per questo motivo che intendo solo sottolineare la commozione che non poche pagine vibranti provocano nel lettore, anche perché, se uno si ferma un momento a pensare, si rende conto che non sono invenzioni, che quella gente che tanto ha sofferto e che in parte è anche morta è esistita veramente. Il rischio di scivolare in un romanzo strappalacrime c’era, ma Fiorella Borin ha saputo raccontare episodi tristissimi con uno sguardo di pietà che sazia il cuore di chi legge e che alla fine magari non può trattenere qualche lacrima, ma che è consapevole che è appena stato il destinatario di un grande messaggio di umanità, in cui non c’è spazio per guerre e violenze, ma dove il sentimento dell’amicizia raggiunge il suo punto più alto in una forma di amore sublime che da solo può cancellare le brutture del mondo.
Da leggere e rileggere, lo merita ampiamente.


Fiorella Borin, nata a Venezia nel 1955, laureata in psicologia, per un breve periodo ha insegnato storia e filosofia negli istituti superiori. Nei primi anni ‘90 ha iniziato a proporsi come narratrice, vincendo prestigiosi premi letterari e pubblicando più di trecento novelle e alcuni romanzi storici ambientati nel XVI secolo. Ha collaborato con numerose riviste letterarie e con periodici a diffusione nazionale. Per onorare la memoria del padre, reduce dalla Russia, ha scritto molti racconti sulla seconda guerra mondiale, alcuni dei quali sono confluiti in questo romanzo.
     Con Alberto Perdisa Editore ha pubblicato nel 2003 
La Signora del Tempio nascosto. Con Tabula Fati ha pubblicato Il bosco dell’unicorno (2004), Il pittore merdazzèr (2007), La strega e il robivecchi (2010), La firma del diavolo (2010) e Christe eleison (2011). Con Edizioni Solfanelli ha pubblicato nel 2012 Il pellegrino spagnolo (Premio Thesaurus 2013, Premio Locanda del Doge 2013) e nel 2014 Le voci mute. Nove storie veneziane (Premio Roccamorice 2015). Con Edizioni Cento Autori l’e-book Premiata Ditta Marina & Piccina (2015). Con Edizioni della Sera il romanzo I giorni dello sgomento (Premio Narratori della Sera 2017).




Il violino di Dio
di Salvo Zappulla
Scritturapura Editrice
Narrativa romanzo
Collana 'Scritturapura.it
Pagg. 154
ISBN 9788897924395
Prezzo Euro 12,00 (eBook Euro 4,99)


Nessuno, nemmeno Lui, è perfetto


Le ipotesi su come potrebbe essere il cosiddetto “dopo”, cioè l’esistenza eterna post-mortem è stata oggetto di numerose opere, anche cinematografiche (famoso è il film Il paradiso può attendere uscito nelle sale nel 1978 per la regia di Buck Henry e Warren Beatty, quest’ultimo anche protagonista, omaggiato di premi Oscar e di riconoscimenti Saturn Awards). Raramente si tratta di lavori drammatici, anzi, probabilmente per esorcizzare quel gran passo, sovente sono intrisi di umorismo, mai spiccio o triviale, anzi più incline a una moderata e quasi sempre raffinata vis comica. Non fa eccezione a questa impostazione l’ultimo romanzo di Salvo Zappulla, a cui non manca certo l’ironia, sovente accompagnata dalla satira, e che ho già avuto occasione di apprezzare con I ladri di sogni, Kafka e il mistero del processo e ancor più in Viaggio con Dante all’inferno. Nell’autore siciliano, a cui non fa difetto di certo la creatività, vi è tuttavia uno scopo comune nella realizzazione della sua produzione, vale a dire dissacrare, beninteso non con l’intento di porre in cattiva luce consuetudini, credenze e comunque aspetti sociali, bensì per indicare ciò che sembra stonato, fuori luogo, o comunque estraneo alla logica.
Peraltro, il suo non è un atteggiamento puramente distruttivo, anzi il porre in risalto le storture ha come scopo quello di porvi rimedio.
Nella vicenda del ragionier Morelli che, appena diventato ragioniere capo del Comune di Milano, viene improvvisamente a mancare prima del tempo per un banale errore del computer celeste si innestano situazioni concrete e reali, quali il dolore dei parenti, le visite di condoglianza, tutte viste dal morto, che è in un limbo in base al quale, non essendosi l’anima ancora staccata dal corpo, questo è a tutti gli effetti privo di vita, come se però fosse stato ibernato. Tutte le opere di Zappulla, e anche questa, hanno la parvenza di una favola, non per bimbi, ma per adulti, anche se una loro esatta collocazione le vedrebbe rientrare nella categoria assai variegata del fantasy. Favole, o meglio quasi favole dunque, perché l’autore resta ben ancorato alla terra con un angelo custode che invece vorrebbe diventare mortale, ma soprattutto disporre di quegli attributi fisici indispensabili per amare una bella ragazza di cui si è invaghito. Del resto la vicenda del ragionier Morelli, morto, ma non morto, rappresenta il pretesto per ironizzare sui tanti vizi e le poche virtù degli uomini; al riguardo, basti pensare al riccone, che in fila per entrare in paradiso, cerca di corrompere San Pietro per varcare il cancello, o ai dialoghi fra lo stesso ragionier Morelli e il suo angelo custode, venati da un sottile e gradevole sarcasmo, senza mai cadere nel blasfemo. Non intendo dilungarmi troppo perché correrei il rischio di anticipare situazioni che dovrebbero risultare di particolare gradimento, con delle battute che strappano più di un sorriso, anzi anche delle risate. A proposito, faceva ridere anche Charlot, ma faceva anche piangere con la sua umanità contrapposta alle ferree logiche della società, e non è da meno Zappulla; senza far scendere lacrime fa sì che il nostro sorriso o la nostra risata siano accompagnati da una vena di amarezza per la vita di ogni giorno, asettica, pregna di indifferenza, in pratica disumana. Del resto il mondo che ci viene mostrato è un’estremizzazione dell’attuale, ma non campata in aria, perché andando avanti di questo passo, con lo sfruttamento insensato delle ricchezze del pianeta e con l’inquinamento crescente che tanto contribuisce a creare fenomeni climatici disastrosi ormai non manca molto che arriviamo a mettere fine alla nostra specie. Tuttavia, un po’ per sua natura, un po’ perché auspica che l’essere umano possa finalmente correggersi, l’autore chiude il romanzo con una speranza, a cui mi appiglio pure io, sebbene consapevole che il domani non potrà che essere peggiore di oggi.
In ogni caso il mio consiglio è di lasciarvi permeare dalla vicenda narrata, che potrebbe benissimo essere la base per la sceneggiatura di un film che solo per evitare omonimie non intitolerei Il paradiso può attendere, ma considerata la trama e l’imperfezione di ciò che dovrebbe essere perfetto, vedrei bene come Nessuno, nemmeno Lui, è perfetto.
Da leggere, senza dubbio.




Salvo Zappulla è nato il primo marzo 1961 a Sortino (SR) dove vive.
È critico letterario per la pagina culturale del quotidiano "La Sicilia". Prima di 
Il Violino di Dio a pubblicato Lo sciopero dei pesci, vincitore del premio Prata, Il pollaio dice No!Kafka e il mistero del processo I ladri di sogni, finalista del premio Massimo Troisi.
Attualmente è tra i redattori di "Notabilis”.

Renzo Montagnoli