Paese
d’ombre
di
Giuseppe Dessì
Ilisso Editore
Narrativa
romanzo
Pagg.
360
ISBN 9788885098794
Prezzo
€ 11,00
L’irripetibile
vita di Angelo Uras
Se si vuole conoscere il perché degli insanabili squilibri
dell’Italia odierna e si vuole comprendere l’incompiutezza di quel grande
periodo storico rappresentato dal nostro Risorgimento si deve leggere questo
romanzo, un’opera che per valenza letteraria e per i contenuti può essere
definita un capolavoro della nostra letteratura. Dietro la vicenda di Angelo Uras, orfano di padre e di condizioni disagiate che
eredita bambino un vasto patrimonio dall’eccentrico e anticonformista conte e
avvocato Francesco Fulgheri,
diventando da adulto un uomo di grande impegno civile, si cela ben altro, si
sviluppa un discorso sul mancato obiettivo del nostro Risorgimento, vale a dire
quell’unione di spirito e di sostanza di tutti gli italiani, sostituita
dall’unificazione delle burocrazie dei precedenti singoli stati, colpa
soprattutto del reale intento dei Savoia di ampliare, in danno di tutti, il
loro regno.
La Sardegna diventa l’esempio di un’emarginazione di
esseri umani abulici e richiusi in se stessi, intolleranti a un’autorità che li
spolpa e li persegue, uno sfruttamento che a suo tempo caratterizzò anche il
meridione, ribellatosi attraverso un fenomeno troppo sbrigativamente definito
con il termine di brigantaggio.
Il romanzo ha più piani di lettura e accanto a quello
storico e sociologico figura, maestoso, quello naturalistico, con
un’evidenziazione marcata del paesaggio della Sardegna che si compone come una
pellicola di fronte a chi legge, natura che si vuole mantenere incontaminata il
più possibile, poiché il rapporto fra la stessa e gli abitanti è indissolubile.
Ci sono descrizioni di panorami e di atmosfere incredibilmente belle, c’è la
forza delle tradizioni che accomuna un popolo che trova nelle sue origini lo
stimolo per sopravvivere all’asservimento. Qualcuno potrebbe pensare a certe
opere di Grazia Deledda, ma è tutto molto diverso, perché in Dessì c’è un realismo che evita di cadere in qualsiasi
stereotipo, senza ricorrere alla ricerca di dubbi usi tipici di una regione; inPaese
d’ombre c’è tutta la
Sardegna, quella di ieri e quella di oggi, perché l’autore sa cogliere il
carattere della sua gente, sa interpretarne i sentimenti, sa portare avanti il
discorso di un riscatto che appare sempre di più in’illusione di fronte a uno
Stato lontano e insensibile.
Tutto ciò viene raccontato in modo avvincente e semplice,
in un italiano che oserei definire perfetto e che di certo Manzoni
invidierebbe, insomma è proprio il caso di dire che questo romanzo s’ha da leggere soprattutto a scuola, e il fatto strano è che, benché
nel 1972 si sia aggiudicato il Premo Strega, è poco conosciuto, ma senza voler
essere maliziosi il motivo di questo oblio appare evidente poiché il potere
centrale di uno Stato immobile e che sempre più va allontanandosi dai suoi
cittadini non ha alcun interesse che quest’opera, che lo denuncia, sia portato
a una conoscenza sempre più ampia.
Il mio commento sarebbe però incompleto se non
accennassi almeno a un altro piano di lettura che è quello dei sentimenti, ben
evidenziati nel corso della vita di Angelo Uras, un uomo dalla grandiosa umiltà, un eroe tuttavia
borghese, orientato sempre a venire incontro alle esigenze dei più miseri,
combattuto fra la mentalità inconscia che gli deriva dalla sua condizione
agiata e il desiderio di sanare ingiustizie sociali fin troppo evidenti e
stridenti. In questo contesto, come per tutti gli esseri umani, non mancano,
anzi sono ben presenti l’amore e l’affetto, la passione e la temperanza, in una
vita che se gli ha dato tanto, altrettanto gli ha tolto. Ci sono parti
indimenticabili, come quelle della morte della sua adorata madre, in un dolore
consapevole della fine di una donna la cui esistenza viene naturalmente meno,
anche se nelle sofferenze di un male incurabile; c’è tutto lo strazio per la
morte di parto della prima moglie, il suo primo e unico amore, e infine c’è la
rassegnazione che porta sempre la vecchiaia.
La sua è stata una vita irripetibile, una continua
cavalcata fra gioie e dolori, quasi un sogno il cui ricordo, per quanto
attenuato, negli ultimi anni riaffiora per dargli uno scopo per tirare avanti,
e il tutto è scritto con mano leggera, ma precisa, in una completezza di
approfondimenti che raramente mi è capitato di trovare.
Sì, questo romanzo s’ha da leggere perché alla fine sorgerà una misurata commozione che
quasi subito si tramuterà in un accentuato senso di serenità.
Giuseppe Dessì nacque
a Cagliari il 7 agosto 1909 e trascorse a Villacidro, cittadina alle
pendici del Monte Linas, una difficile, inquieta adolescenza. La scoperta
casuale di una biblioteca murata che custodiva, assieme a tanti altri libri,
il Catéchisme positiviste e il Cours de philosophie di Comte,
il Discorso sul metodo di Cartesio, l’Ethica di
Spinoza, la Monadologia e la Teodicea di Leibniz,
il Piccolo compendio del Capitale di Cafiero… fu
l’occasione per disordinate letture filosofiche e letterarie che lo portarono
sull’orlo della follia.
L’intervento del padre (ufficiale, e eroe della prima guerra mondiale), che
mitigò il ‘determinismo’ filosofico con la poesia, e un tardivo corso regolare
di studi (Dessì fu allievo di Delio Cantimori, allora
giovanissimo storico, al liceo “Dettori” di Cagliari) portarono nel 1931 quello
che era stato un tempo uno studente ribelle in una delle città universitarie
più prestigiose d’Italia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
di Pisa.
Lì Dessì frequentò, oltre a
Varese (che aveva già conosciuto in Sardegna, grazie a Cantimori),
Carlo Cordié, Mario Pinna, Carlo Ludovico Raggianti, Aldo Capitini…,
laureandosi nel 1936, dopo avere studiato a lungo Tommaseo, con una tesi
su Manzoni discussa con Luigi Russo.
I giovanili racconti della Sposa in città e il primo
romanzo, San Silvano, segnarono nel 1939 il felice esordio di uno
scrittore che con opere di narrativa e teatro avrebbe confermato nel tempo, nel
panorama italiano, la scelta di una presenza letteraria e culturale costante,
coerente, coraggiosa, discreta. Salutato da Gianfranco Contini come il “Proust
sardo” (il saggio-recensione a San Silvano apparve nell’aprile
del 1939 su “Letteratura” con il titolo programmatico di Inaugurazione
di uno scrittore), Dessìavrebbe proseguito su una strada di ricerca e
scrittura originale e personalissima (del 1942 il romanzo ‘bipartito’ Michele Boschino),
pubblicando, nei lunghi intervalli tra un romanzo e l’altro, in rivista (e poi
in volume) numerosi racconti. Del 1949 una fiaba-libro per ragazzi e
adulti, Storia del principe Lui; del 1955, in pieno clima di
neorealismo, I passeri, un romanzo che continua ad obbedire alle
leggi più tipicamente dessiane della relatività della conoscenza sullo
sfondo di grandi avvenimenti storici; del 1959 l’Introduzione alla vita di
Giacomo Scarbo, primo romanzo esplicitamente dedicato a quell’alter
ego che sarebbe stato costante presenza nella narrativa di Dessì,
a partire dal primo racconto-prefazione alla Sposa in città fino
alla postuma Scelta. Del 1961 Il disertore, romanzo
breve che si muove su piani diversi di sentimenti, di spazi, di tempo, e del
1972 l’ultimo libro compiuto, Paese d’ombre, tentativo di offrire
su un impianto di tipo tolstoiano la storia di un personaggio, di un paese,
sempre approssimata altrove per sparsi frammenti.
Quasi sempre lontano dalla Sardegna, pur sempre presente alla sua tensione
narrativa, sfondo costante di romanzi e racconti drammatici (al teatro
di Dessì, rappresentato spesso con notevole successo di pubblico e di
critica, vanno ascritti testi di preciso impegno politico: La
giustizia, Qui non c’è guerra, Eleonora d’Arborea; mentre La
trincea inaugurò nel 1962 la seconda rete
televisiva), Dessì fu costretto a spostamenti continui (dopo la Pisa
degli anni universitari e Ferrara – dove avrebbe fatto parte del gruppo dei
cinque amici di cui parla Bassani in Concerto -, Sassari, Ravenna,
Teramo,Grosseto…) da una contrastata carriera di Provveditore agli Studi che si
concluse a Roma, dove si trasferì negli anni 50, distaccato all’Accademia dei
Lincei. Ma con la Sardegna, dopo la Pisa (e la Toscana) della giovinezza, altre
città hanno avuto un’incidenza determinante nella privata biografia e
nell’opera: la Ferrara degli anni 40 e Roma, dove visse per oltre un ventennio
fino alla morte avvenuta il 6 luglio del 1977.
Premiati in numerosi concorsi (si ricordi almeno il Premio Strega assegnato nel
1972 a Paese d’ombre, tradotto subito nelle più importanti lingue)
i libri di Dessì non sono ancora conosciuti e diffusi come
meriterebbero, sia in Italia che all’estero; non è stata data l’importanza che
meritava al romanzo incompiuto, La scelta, pubblicato postumo nel
1978 da Mondadori, né alle raccolte degli scritti dispersi sulla Sardegna, che
si possono sicuramente includere tra le sue pagine più belle e che meritano di
essere studiate, come il resto della sua opera, quale produzione di un
“classico” del Novecento.
In seguito a generosa donazione della
moglie Luisa Babini e del figlio
Francesco Dessì-Fulgheri le carte Dessì sono da anni
depositate all’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto G.
P. Vieusseux di Firenze, a disposizione degli studiosi.
(Dalla Biografia a cura di Anna Dolfi, ordinario di Letteratura
italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Firenze)
Fonte Fondazione Giuseppe Dessì
Renzo
Montagnoli