Chi è veramente contro la
mafia applica la meritocrazia e ricerca la cultura letteraria ogni giorno, chi
non lo fa deve essere considerato moralmente un legittimatore della violenza e
della mafia
di Sergio Sozi
Il 23 maggio 2012 ricorre il ventesimo
anniversario dell'assassinio di Giovanni Falcone. In questi giorni dobbiamo,
anche, soffrire di un attentato – vile e sanguinario – contro dei poveri
studenti di una scuola superiore brindisina. È quindi con profonda rabbia e
indignazione che mi trovo a scrivere il presente testo: indignazione e rabbia
rivolte però, si badi bene, non solamente a coloro che – privi di qualsiasi
qualità morale – abbiano compiuto tali atti anticristiani, bensí a quanti nella
quotidianità abbiano facilitato e facilitino tuttora l'operare di tali vili
assassini con la propria condotta in seno alla società italiana – la società
italiana tutta: dalle Alpi a Sicilia, passando per la Sardegna.
E parlando di ''condotta'' non vorrei
ora restare sul generico, ma indicare, stigmatizzare con forza quella degli
italiani che, rafforzando il disagio della popolazione, soprattutto la piú
giovane, proseguano ad operare nella nostra Nazione adottando criteri di tipo
clientelare, amicale e/o egoistico, o, e questo è ancor peggio, a sfruttare il
lavoro di cittadini competenti sottopagandoli o facendoli lavorare ''legalmente
in nero'' (è il caso dei poveri stagisti, maltrattati ovunque e neanche pagati:
roba da terzo mondo). E non parlo soltanto di queste persone, ma anche di chi
non voglia ancora capire che la cultura letteraria, quella ''dei libri'', deve
essere il fondamento della nostra Patria e della nostra democrazia: perché
costoro, legittimando l'ignoranza, legittimano direttamente la forza,
l'arbitrio e la violenza dei disonesti tutti. Studiare la filosofia, la
letteratura e il latino è lavorare contro la violenza e la sopraffazione,
sappiatelo. È merito grande che andrebbe riconosciuto e finanziato
monetariamente dal Paese tutto! Chi studia seriamente la Storia della
Letteratura Italiana aiuta l'Italia, mentre gli illetterati sono dei
semicittadini che fanno danni al Paese, soprattutto se pubblicano libri,
soprattutto!
Un Paese fondato sull'autoreferenzialità
di ogni cittadino, sulle conoscenze personali, sulla parentela, sull'ignoranza
della cultura umanistica nazionale, sullo sfruttamento dei neolaureati e non
sul merito e sul sapere letterario è un Paese perduto, mafioso sin dalle
radici. E questa mafiosità di base si esprime poi, platealmente, in quelle organizzazioni
che mettono bombe, spacciano droga e sparano ai loro oppositori.
Sta a dire che la violenza, sia quella meditata
e progettata che quella che scaturisce dal disagio sociale, dalla
disoccupazione, dal senso di impotenza e dalla profonda iniquità – evidenti
oggi piú che mai nella nostra società – dipendono essenzialmente da una
malattia che, finalmente, andrebbe estirpata: tale malattia è l'assenza di meritocrazia e di cultura letteraria nella
vita quotidiana degli italiani: due bacilli coinquilini nella stessa pestilenza.
L'assenza di meritocrazia è il cancro
che porta i migliori italiani ad emigrare ancora nel 2012, è la terribile molla
da cui si lanciano nei vostri cuori tonnellate di frustrazione per le
condizioni lavorative che dovete accettare – per di piú in occupazioni che non vi
piacciono per niente! – e, anche, l'assenza di meritocrazia, ma sul versante
letterario, è quella che permette agli editori a proprie spese di lucrare sugli
autori che li pagano! Degli imprenditori che si fanno pagare dai dipendenti,
assurdo no? Assurdo piú ancora degli stagisti sfruttati gratis o degli
apprendisti laureati che lavorano anni presso studi avvocatizi o notarili senza
prendere altro che microstipendi da fame, che impediscono loro di metter su
famiglia o vivere da soli.
Ma perché, mi chiederà qualcuno, prendersela
con gli editori a proprie spese? Giusto. Serve approfondire. In effetti io me
la sto prendendo con loro non in quanto causa, ma in quanto effetto della
situazione italiana attuale. Dunque vediamo, abbiate un po' di pazienza e
favorite seguire l'itinerario sin dal principio: la clientelare e illetterata pazzia
della nostra editoria sarà ottimamente calzante per esemplificare il resto
della diffusa disfunzionalità italiana. L'Italia: un organismo amaramente e
violentemente disarmonico.
Allora. Cosa produce in Italia questa anomalia europea delle migliaia di libri
pubblicati, ogni anno, a spese degli autori (i quali in Europa generalmente
vengono pagati)? Principalmente due fattori:
1) La convinzione, in chiunque scriva per diletto, di essere
comunque meritevole di pubblicazione.
2) La mancanza di meritocrazia nelle scelte operate dagli editori
seri – grandi, medi o piccoli, ma soprattutto i grandi, si sa.
Vediamo insieme i due punti. Il primo
punto recita: ognuno si sente meritevole di pubblicazione anche se non legge i
testi importanti (per noi storicamente sono quelli medievali: San Francesco, i
Siciliani, gli Stilnovisti, Dante, e i prosatori: Boccaccio, eccetera), ignora la Storia della Letteratura e
non conosce la grafia, la punteggiatura, la grammatica e la sintassi della
lingua letteraria... scrive addirittura poesia spezzando periodi colloquiali o
prosastici – ovvero mandando a capo proposizioni o pezzi di proposizioni fa
''poesia'', roba da idioti completi, da poeti della domenica. I prosatori
invece si ispirano al montaggio e alle trame cinematografiche, ci dànno giú
velocemente e credono di essere ''geni'' come gente da poco quale Coelho, King,
l'ultimo Eco, o Zafon. Ecco, costoro, gli scrittorucoli che hanno in testa
mettiamo Zafon, sanno che i grandi editori li potranno accettare solo se essi
si saranno dimostrati sufficientemente ignoranti della letteratura italiana,
sufficientemente ''moderni'' ovvero capaci di prendere le simpatie del pubblico
del momento, della moda del momento, della americanata in voga qui ed ora. Cinema
e poi cinema, dico, maledizione! Questo è ciò che chiedono i grandi editori! I
grandi editori cercano solo il personaggio di moda: che sia di moda perché
attore, presentatore televisivo, regista o emulo dello scrittore famoso
all'estero, questo non importa... l'importante per gli editori che contano – e
che pagano bene gli autori – è che ci sia qualcosa di ''attuale'' in uno
scrittore, per poterlo promuovere. E questo è fattore deprimente per gli autori
che cerchino di essere professionali: la professionalità di un autore vuol dire
essere se stessi, fortemente se stessi, ma obbligatoriamente approfondendo
tutto quanto riguardi la letteratura, dalla grammatica alla critica, dalla
punteggiatura alla filosofia, dalla metrica alla retorica, la stilistica, la
storia letteraria. Il lavoro e la vita in osmosi intima. Il lavoro è lavoro,
non scampagnata, gita fuori porta, emulazione, trastullo. Scrivere o è un
impegno assiduo o è roba da villeggianti grafomani, non esiste via di mezzo. In
realtà, la vita è cosa da approfondire con la letteratura e la letteratura è cosa
da approfondire con la vita. E per fare tutto ciò serve tanto tempo, mica solo
le domeniche pomeriggio, ed è indispensabile non solo essere originali in senso
estetico, ma soprattutto esser capaci di scavare in profondità dentro se stessi:
guadagnarsi la propria cittadinanza europea con l'approfondimento delle nostre
radici culturali italiano-europee, ovvero leggendo e studiando la letteratura
italiana. Invece? Invece in Italia tutto è conoscenza dell'editor,
dell'editorone, della moda, ed è cena al ristorante, giro giusto, ammanicamento,
convenienza da poveretti senza onore e dignità. Cosa meschina, il successo in
Italia, perché non nasce quasi mai dal merito unito alla fatica e
all'originalità, dalla lettura, ma dalla congiura di difetti e depravazioni – ed
è anche furbizia da poco, ché la furbizia non è una qualità ma una necessità
barbarica, animalesca, resa necessaria da un popolo arretrato culturalmente che
legge poco e legge robaccia: quella che i grandi gruppi editoriali acquistano
in blocco dall'estero e fanno tradurre certi di avere le trentamila copie
vendute già in mano.
Dunque, per grazia ricevuta dai colossi
editoriali, ecco spadroneggiare ovunque gli editori a proprie spese (veri
amplificatori per l'ego dei villeggianti grafomani italici). Questa editoria
inutile e negriera sarebbe invece da vietare per legge: pubblichi a proprie
spese? Allora ti devi dichiarare ''tipografo'', che la parola ''editore'' è cosa
seria, spettante a chi investa del proprio capitale, mica a miserelli come te
che il capitale se lo fanno dare dagli scrittori!
Servirebbe, eh sí e presto, una legge
che spazzasse via questa marmaglia di furbastri che campano coi soldi degli
illetterati pseudo-scrittori, una legge che obbligasse chi non paga gli autori
a fare il tipografo e solo il tipografo, ché questo in effetti gli editori a
proprie spese sono. Io inoltre stabilirei un approfondito e tosto esame di
cultura letteraria anche per chi volesse fare l'editore ''serio'' o volesse
lavorarci insieme, cosí sfoltiremmo anche lí tutti quei mezzemaniche di editor
irraggiungibili che si applicano solo ai testi di autori ben raccomandati dai
dirigenti o da chi per loro ''ai piani alti'' dei castelli grandeditoriali.
Fin qui sull'aspetto letterario della
faccenda ''mafia = assenza di merito nella vita italiana''. Ma il merito è
concetto ben piú esteso. Il merito è parte della nostra vita profonda,
ovverosia è l'aspetto piú importante del nostro esistere e relazionarci col
prossimo. Il merito combacia con l'onestà:
l'onestà di dare a chi sa fare le cose la giusta stima, l'adeguata remunerazione
ed anche il giusto successo, senza esagerazioni divistiche ma anche senza
sfruttamento.
Chi dà a qualcuno un posto di lavoro senza che questi abbia dei
meriti oggettivi è un irresponsabile totale e un affossatore dell'Italia quanto
chi si sposa senza amare il proprio coniuge è un affossatore della famiglia. E per farsi un idea della
scala valoriale necessaria ad elaborare una gerarchia di merito occorre avere
dei punti fermi sostanzialmente filosofici (e la filosofia in fondo è tutto:
filosofica è la vera letteratura, filosofico è il lavoro sociale, la politica,
l'azienda, l'amore, oppure tutto ciò, se non cade nella superficialità
egoistica, è religioso, e la religione è niente senza la filosofia come la
filosofia è niente senza la religione. Infine va detto che niente di tutto ciò
è qualcosa senza l'amore, che va oltre la filosofia e la religione ma non può
esistere compiutamente senza queste due).
Occorre amare e studiare, insomma, per
fare un'Italia onesta e nonviolenta, amorevole, giusta. Occorre essere amanti, filosofi e uomini di Dio... artisti... anzi
''artigiani artisti'' direi: l'artigianato di qualità (si parli di poesia o di
fabbricazione di ghisa è uguale) è ciò che salva un Paese dal tracollo, sia
economico che morale, sempre e dovunque. Occorre dunque creare un Paese che
sia una grande Tribú Nazionale dove tutti si conoscano e lavorino insieme
artigianalmente e con amore reciproco, una Tribú aperta e solidale ma salda nei
princípi e basata sulla nonviolenza e la legalità a tutti i costi; un Paese dove l'arte in genere sia una cosa
seria e non un circo di serie b, in cui emergono mostri, analfabeti schic e
incantatori da strada e dove la gente si ''conosce'' ormai solo via
Internet; dove lo Stato non sia piú
affidato a quattro eroi e mille furfanti vigliacchi superstipendiati che
superstipendiano consulenti esterni e manager pubblici impresentabili; dove
l'onestà sia criterio ben definito fondato sull'onore personale davanti alla
collettività nazionale; dove la
professionalità venga incoraggiata da coloro che possono decidere della
carriera altrui (i famigerati Presidentoni, Direttoroni e succedanei che
''non sono mai in ufficio'', e ''non devono render conto a nessuno'', anche se
siamo noi a pagarli lí sui loro disertati uffici, come sapete bene); dove i finanziamenti per la Cultura siano
il triplo dei ridicoli attuali (un quarto di quelli francesi, dicono i numeri);
dove la si pianti di parlare con slogan tipo ''potere ai giovani'' o ''fuori i
vecchi dai posti di responsabilità'' ma si
mettano al posto giusto le persone adatte, qualsiasi età abbiano; dove non
serva ostentare estraneità, costruito snobismo e sciocca superiorità per
sentirsi ''qualcuno'', ma si sia se stessi in modo semplice e profondo e si
stimi il prossimo come importante ''se stesso'' (magari spesso, anzi, migliore
di noi: di me e di te che stai leggendo queste parole).
In conclusione: se noi mettessimo in
pratica ogni giorno quanto detto, e molto altro che non posso ora dire per
evitare di occupare troppo spazio, ben presto vivremmo molto meglio in Italia,
e renderemmo veramente EUROPEO questo nostro Paese violento e ingiusto, questa
Nazione senza legge con migliaia di leggi, questo insieme di persone dalla
moralità indefinibile e sempre ritrattabile a seconda della convenienza
personale... in breve questo Paese mafioso dove il libero arbitrio e la forza
individuali o di gruppo (i partiti politici ne sono un esempio) sostituiscono
la moralità condivisa e annullano il concetto di cittadinanza.
Ma non definitela rivoluzione, per
favore: è solo il coraggio di migliorarsi. Il coraggio che non abbiamo e che
dovrebbe sostituire l'eroismo dei Falcone, dei Borsellino e dei tanti poliziotti
che si fanno trucidare per colpa nostra.