martedì 18 dicembre 2018

Festività



             A Voi tutti



Dies Natalis, di Adriana Pedicini





Dies Natalis
di Adriana Pedicini




Quando nasce la Vita come a Betlemme
palpita d’immenso il cuore
stupefatto di nuvole rosa
e di germogli di pesco
di luci di stelle e mormorio di vento.
Cadono d’un tratto le paure
e le angosce del limite estremo
e come pane di lievito il cuore si slarga
l’animo empie le gote di spirito sacro
e profumo di viole conduce alla stalla
a rimirare il miracolo antico che nuove
sparge speranze e virtù e ogni volta
il male purifica in bene a chi
a guisa di umile servo accoglie
del regale Bambino il segno del Tempo
nei fuggevoli tempi dell’uomo
nei giorni precari di vite consunte
in animi sordi alla buona novella.
L’Infinito è in un attimo
al santo vagìto ci guida
la stella cometa
da lontano nell’aria
suoni di cornamuse


Evento sacro, di Giovanna Giordani






Evento sacro
di Giovanna Giordani



Sfioriti i girasoli
le vermiglie bacche
rallegrano i cespugli

I rami degli alberi spogliati
levati al cielo
iniziano a pregare

Fra poco
sarà di nuovo Natale
evento sacro
di prodigiosa luce
invisibile agli occhi


Feste natalizie, di Michael Santhers







Feste natalizie
di Michael Santhers



Tacchi a spillo e minigonne
commesse modernizzano presepi
fotografati da luci nervose

Nei vicoli
alcuni pensieri caduti da scommesse
dribblati da piedi licenziati
incollano ritardi programmati

Vestiti da diavolo
con volti da angeli pensionati
rantolando a lumaca
effigi di carità a compleanni
intrappolano occhi smarriti di bimbi
e con mani allenate
porgono dubbi da scartare

Vestiti a vele bucate
musica di vento
e con cappello a vaso
piantano tintinnii
da sommare a dar voci
a campane orfane di batacchio

Vetrine imbiancate
di neve finta
rinnegano l’Egitto
per nordiche atmosfere
ma qualche depliant
offre sabbia e sole
e ombre di palme a riparo

Lontano come annuso timido ritratto
facce di cera si salutano
al gong di parole a liberarsi in sagome

Dai camini volano al cielo
agnelli e anguille
applauditi da rigurgiti vuoti

Arrestati da vetri gendarmi
voci di cantine si liberano in bicchieri
e augurano intenzioni
in anime da interpretare

Da:
Destini E Presagi


Il Natale ieri e oggi, di Renzo Montagnoli





Il Natale ieri e oggi
di Renzo Montagnoli




Profumo di neve,
melodie di zampogne,
presepi in ogni casa
così era il Natale.
Il tempo è passato
e poco a poco
l’abbiamo dimenticato.
Il clima è cambiato,
si son zittite le zampogne,
tanti festoni
la corsa ai doni
Il Natale non è più
una festa cristiana
è ormai una festa pagana.


Da Lungo il cammino


La vita è sempre...meraviglia, di Domenico Sergi





La vita è sempre...meraviglia
di Domenico Sergi




Bianca luna del cielo
rischiaraci la vista
mostraci nel grande oceano un appiglio
l’inizio nuovo di qualcosa
che sia la via del caos
l’estro, la scintilla
ridisegnando il corso
come se mai l'avessimo vissuta, questa vita...
Soffia per noi un vento nuovo
facci ricredere
dacci quell’occhio folle
che trovi sia il pagliaio… dentro l’ago !


E tu, non dar mai niente per scontato !
Passa di stella in stella in confidenza
parla di te a Dio con noncuranza
e spicca il volo dal tuo a un altro mondo
vedrai che se con Lui ti senti a casa
sarà tutto diverso, solo che tu lo voglia…
Lascia che ti si accenda la scintilla
vedrai farfalle provocar tempeste
sorgere il sole a mezzanotte, in qualche posto
e vivere d'assurdo, con gli occhi verdi di un bambino
calati giù nel rosso dei tuoi anni
e riscoprire, se ci fosse bisogno
che la vita può essere sempre...meraviglia.


Malinconia di Natale, di Adriana Pedicini






Malinconia di Natale
di Adriana Pedicini


Un alito di speranza
il fumo sottile del focolare
una spina di malinconia
un sussulto nel cuore
le mamme sole
tra i pianti di non graditi balocchi
ché in quelli non avuti
vive il desiderio
e il pungente profumo di visi
sbarbati e gelidi al calore
di tenera pudica carezza
in attesa di puntuali mense da re.
A sera un filo di strada alla grotta
e lacrime ghiacce di solitudine
deposte sul giaciglio a ghirlanda
del capo del divino bambino
incoronato di spine in futuro
nemmeno troppo lontano.


Passeggiando per Cavalese, di Piera Maria Chessa





Passeggiando per Cavalese
di Piera Maria Chessa




Si posa la neve
sugli alti abeti
mentre cammino
per le strade di Cavalese.


Il freddo intenso
penetra sotto gli abiti
ma la bellezza è tale
che non si avverte.


Dinanzi a me
la chiesa di San Sebastiano,
il suo magnifico campanile
in tutto simile
a una torre merlata.


Ovunque
luci suggestive
illuminano l'asfalto
e la neve sui lati.


Decorazioni natalizie
sugli alberi rivolti al cielo
in quest'ora della sera
che anticipa la notte.


Come tutti noi
anche Cavalese
si prepara al Natale.


Ricordo di Natale, di Graziella Cappelli





Ricordo di Natale

di Graziella Cappelli

Una ventata gelida
nell'aprirsi
dell'uscio
e un aroma pungente
si sprigionava
dal ramo del pino
che il babbo
portava in casa.


Una gioia bambina
mi crepitava
dentro
come ceppo
sul fuoco.
Adornavo
il mio albero
di Natale
con…
caramelle Negretta
mele cremisi
mandarini nella velina
ed alcuni… cavallucci.


Tomten, di Abraham Viktor Rydberg





Tomten
di Abraham Viktor Rydberg 




Avvinte nel freddo notturno glaciale
Le stelle scintillano e brillano.
Tutti dormono nella fattoria solitaria
sprofondata nella notte invernale.
La luna prosegue il suo percorso,
fa luccicare la neve su pini e abeti,
e splende bianca sui tetti. 

Solo 
Tomte veglia.


Sta lì, così grigio, vicino al basso fienile.
Grigio, contro il potere bianco.
E osserva, come i precedenti inverni,
sotto il freddo bagliore lunare.
Poi il suo sguardo si sposta
in direzione del bosco di abeti e pini.
Circonda la fattoria in una ruvida linea,
trattenendo, in modo implacabile
un enigma che non ha chiave.


Fa scorrere la mano tra capelli e barba,
scuote la testa e il berretto
"No, l'enigma è troppo difficile,
no, non lo comprendo".
Poi, scrollando in fretta la testa
caccia via i molesti pensieri
e torna al compito che gli compete.


Si dirige verso la fattoria
della quale conosce tutte le serrature.
Le mucche nella stalla,
nella fredda luce lunare, sognano l’estate.
Privo d’imbracatura, frusta e renne,
il vecchio pony ha ancora un sogno:
la mangiatoia piena di fragrante trifoglio. 
Va quindi alla recinzione delle pecore,
vede che, accucciate, dormono tranquille.
Va poi dai polli, dove il gallo si pavoneggia
orgoglioso della sua alta cresta,
sopra i nidi colmi di calda paglia fresca.
Il cane si sveglia muove la coda, come per dire:
"vecchio amico, compagno, siamo giunti alla fine".


Tomte gironzola per l'ultima volta
a osservare le persone della casa.
Ben conosce la grande stima
che le rende sicure della sua fedele cura.
Va a vegliare vicino ai letti dei bambini
e accarezza piano i loro capini.
Non ci si sbaglia a immaginare il suo piacere:
questi sono il suo tesoro più grande.
Li ha visti, da padre in figlio, in figlio,
per lunghe generazioni, dormire come fanciulli.


Ma da dove sono venuti? Sono arrivate famiglie,
e altre se ne sono andate, fiorite, invecchiate;
ma dove la vita è trascorsa? 
E per un attimo ancora, rimane senza risposta.
Lentamente si gira verso il soppalco:
lì ha vissuto, è la sua fortezza, e il suo riposo,
alto nel profumo del fieno, vicino al nido della rondine.
Ora quel nido è vuoto, ma in primavera,
quando tra foglie e fiori, gli uccellini torneranno a cantare,
probabilmente la rondine tornerà,
con il suo piccolo compagno. 
Poi racconterà del viaggio, cinguettando
a tutti coloro che la ascoltano
e torna così, di rimbalzo, la vecchia domanda,
che vaga inquieta nella mente di Tomte.
Attraverso le crepe nella parete del fienile
la luna illumina la sua barba, e Tomte continua a pensare.
Silenziosa è la foresta e tutta la terra
avvolta nel freddo invernale.
Solo la cascata lontana sussurra e sospira all’orecchio.
Tomte ascolta e, a metà del sogno, 
gli sembra di udire l’infinito flusso del tempo
e si chiede a cosa sia legato. Qual è la sua fonte?
Avvinte nel freddo notturno glaciale,
le stelle brillano e scintillano.
Tutti dormono in quella fattoria solitaria
mentre s’avvicina la nebbia del mattino.
La luna sta terminando il suo tranquillo vagare,
la neve imbianca il pino e l’abete,
brillando scintillante sui tetti. 

Solo 
Tomte veglia. 




Composta dallo scrittore e filosofo svedese nel 1881
Originariamente pubblicato nel New Illustrated Newspaper 1881.


Libera traduzione di Danila Oppio


sabato 8 dicembre 2018

La vita prende, la vita dona, di Piera Maria Chessa





La vita prende, la vita dona
di Piera Maria Chessa




Livia attraversava il parco quella sera di fine ottobre in compagnia di Scheggia, il suo cagnolino, come d’altronde faceva tutte le sere. Non c’era nessuno, soltanto il silenzio a farle compagnia. Erano le otto o poco più, il buio illuminato soltanto dai lampioni accesi. Il cagnolino le camminava al fianco tranquillo, ogni tanto si fermava per qualche istante ad odorare l’erba e la terra tra i cespugli. Lei ne seguiva lo sguardo, i movimenti, le intenzioni, e nello stesso momento assecondava i suoi pensieri. Mentre rifletteva, dal profondo silenzio che l’avvolgeva emerse una voce, un richiamo.
Buona sera, signora Livia. “. Guardò meglio, un po’ lontano da lei l’esile figura di un’ altra donna, e poco distante la sua cagnetta.
Buona sera, signora Margherita, non l’avevo vista, mi scusi”.
Si figuri, nonostante i lampioni il buio stasera è veramente fitto!”.
Si conoscevano da diverso tempo Livia e la signora Margherita, da quando avevano incominciato a frequentare quel piccolo parco dove entrambe si recavano con i loro cani, eppure, pur essendosi instaurato tra loro un rapporto amabile e talvolta anche confidenziale, continuavano a darsi del lei. Una cosa molto curiosa soprattutto per Livia, che non teneva affatto a mantenere le distanze. Lei se lo spiegava col fatto che la signora Margherita, pur essendo sempre gentile, rimaneva per carattere un po’ riservata, schiva nel manifestare i sentimenti, per questo non aveva mai pensato di proporle di darsi del tu.
Le andò incontro con piacere anche perchè non la incontrava da qualche giorno, intorno a lei giocava e scodinzolava Ambra, la sua amatissima cagnetta. Parlarono un poco.
Perchè non lo lascia libero, mi sembra che soffrano quando li teniamo al guinzaglio!”, disse la signora. “Ha ragione, ma ho paura che scappi, non sempre ubbidisce ai comandi, però voglio provare…”
Lo liberò con una certa titubanza dal guinzaglio e dalla pettorina, in un istante, con un balzo, Scheggia era già lontano. Era un piacere vederlo, la signora Margherita lo guardava incantata. “Sembra un proiettile!”, disse. “Sì, nonostante i suoi dieci anni…”, rispose lei. “Come è possibile, è veramente veloce!”, ripetè la signora, meravigliandosi non poco.
Nel frattempo camminavano tra le siepi cercando con fatica di seguire il percorso dei loro cani. Ambra ad un certo punto si fermò tra due alberi guardando con particolare attenzione verso la cima; osservava e contemporaneamente abbaiava, si fermava per un istante per poi ricominciare a girare intorno ai tronchi. A Livia e alla signora Margherita veniva da ridere, divertite nel vedere che cercava di salire, naturalmente senza riuscirvi. Capirono che sugli alberi aveva visto qualcosa. “Ci sono dei gatti, sono proprio in cima, si vedono a malapena con questo buio!”, disse infine la signora, Ambra, al contrario, vedeva bene, eccome! Riprese infatti ancora per un po’ con le sue piroette, mentre lei, non si sa neppure come, incominciò a parlare di suo marito, che purtroppo non c’era più.
Vado tre volte alla settimana a trovarlo in cimitero, mi manca molto, per fortuna un’amica, poco dopo la sua morte, mi ha regalato questa cagnetta. Io non la volevo, non mi sentivo di accudirla, ma lei ha insistito. E’ stato un bene. Ora, la sera, quando rientro dal lavoro, mi fa molta compagnia, si siede accanto a me e insieme guardiamo la televisione, poggia la testolina sulle mie ginocchia…” . “Ha fatto bene a prendersi cura di lei, signora, in questo modo allontana un po’ anche i pensieri malinconici”, aggiunse Livia.
Sì, però la nostalgia è tanta ed è difficile accettare quello che è successo…”.
Livia conosceva qualcosa della sua storia, non molto, in verità, solo qualche breve riferimento emerso durante le loro conversazioni. Margherita era una donna sulla sessantina, semplice nel modo di vestire ma non trascurata, non l’aveva mai vista truccata, non rinunciava tuttavia a un po’ di rossetto sulle labbra. Doveva essere stata una bella donna, e lo era ancora, nonostante il suo atteggiamento un po’ rassegnato, malinconico. Si illuminava invece accanto alla sua cagnolina, alla quale si dedicava totalmente. Aveva due figli, ma ormai adulti e con famiglia, che vivevano fuori, tutto il suo tempo libero era perciò per la sua adorata Ambra.
“…quello che è successo”, aveva detto, ma Livia non sapeva che cosa in realtà fosse accaduto.
La signor Margherita glielo raccontò in breve.
E’ stato un attimo, signora, stava bene, poi, in pochi istanti se n’è andato, lasciandomi soltanto un sorriso, il suo ultimo saluto.”
Livia non sapeva proprio che dire, non era preparata a confidenze così dolorose. Oltretutto non c’era tra loro una frequentazione assidua, per cui si meravigliò molto che la signora gliene avesse parlato. Avrebbe voluta aiutarla, trovare le parole giuste in quel momento, poche ma sincere. Non amava la retorica, le cose dette tanto per dire o per uscire da una situazione non semplice. Disse quello che pensava in quel preciso istante.
Signora Margherita, non mi riesce di dirle niente che possa esserle di aiuto, non voglio banalizzare questa sua difficile esperienza con parole che sarebbero comunque inappropriate, vorrei solo abbracciarla, posso farlo?”
La signora la guardò con uno sguardo lungo, riconoscente, troppo abituata ormai alle tante parole vuote, di cortesia e, quando andava bene, di pietà, che si esaurivano nel giro di pochi istanti, giusto il tempo di un frettoloso incontro per strada.
Certo che può, Livia, il suo abbraccio vale molto di più delle innumerevoli parole di circostanza, tutte quelle che mi è capitato di sentire in questi lunghi sei anni, giusto quelli della mia Ambra”, disse infatti, guardando la cagnetta che la osservava adorante. Poi aggiunse: “Che altro posso fare ormai se non dedicarmi a lei, ho quasi sessant’anni, i figli sono lontani, non ho nipoti…”.
Livia l’abbracciò comprensiva, come può fare una sorella o un’amica molto cara, poi le disse:
Mi scusi, se mi permetto, spero di non sembrarle invadente, certamente non si può dimenticare mai un marito o un compagno che è stato al nostro fianco per anni, col quale si sono condivisi i momenti più importanti, ma lei magari dovrebbe uscire un po’ di più, incominciare a frequentare amiche e nuovi amici, dedicarsi ad interessi che le riempiano la vita, che la gratifichino, mai dare nulla per scontato, è vero che la vita ci ruba tanto, ma qualche volta ci fa anche dei regali preziosi. Noi donne forse dovremmo incominciare a volerci più bene, iniziando dalle piccole cose e lasciando spazi aperti anche ad altre possibilità.”.
Poi aggiunse quasi pentita: ” Mi scusi, il dispiacere per ciò che mi ha confidato mi ha spinto forse troppo avanti, mi sono permessa di parlarle come potrei fare con una sorella, davvero mi perdoni”.
La signora stette un istante in silenzio, poi disse:
Lei, Livia, non deve scusarsi, sono io che la ringrazio per la spontaneità e la sincerità con la quale mi ha parlato, ampliando il mio sguardo su cose che finora avevo considerato ormai chiuse, fuori dalla mia vita odierna. In tutti questi anni ho solo pensato di vivere, di dover vivere esclusivamente nel ricordo di mio marito, della nostra vita insieme, una vita lunga, perché ci siamo incontrati quando eravamo due ragazzini. In questo momento, dopo aver parlato con lei, mi chiedo se davvero anche lui vorrebbe che io continuassi a vivere in questo modo, chiusa in me stessa, lasciando che la vita vada avanti così, spegnendomi ogni giorno un poco. Credo di trovare in me la sua risposta. Grazie dunque, spero di rivederla presto. Un’ultima cosa, posso darle del tu, possiamo darci del tu? Mi piacerebbe poterla considerare mia amica, non solo una buona conoscente.”
Livia, molto sorpresa, disse semplicemente: “Ne sarei felice, grazie, al prossimo incontro allora!”.


Passò novembre, si avvicinava il Natale, stranamente Livia non aveva più incontrato Margherita, inizialmente non vi aveva pensato coinvolta com’era nei suoi impegni quotidiani, poi improvvisamente si ricordò di non averla vista ormai da parecchio tempo, e si meravigliò. Avrebbe voluto telefonarle ma si rese conto che, dopo la lunga e confidenziale conversazione degli ultimi giorni di ottobre, nessuna delle due aveva pensato di scambiarsi il numero di telefono. Pensò però che presto si sarebbero incontrate nel piccolo parco vicino.
Fu invece qualche giorno dopo che, in giro per negozi alla ricerca di doni natalizi, si trovarono inaspettatamente l’una di fronte all’altra in pieno centro cittadino. E fu con grande gioia che Livia notò subito l’evidente trasformazione della sua amica. La guardò per un istante stupefatta, sembrava ringiovanita di parecchi anni, indossava abiti sobri ma eleganti, notò persino un leggero filo di trucco sugli occhi, oltre all’immancabile rossetto. I capelli, quasi sempre raccolti, ricadevano ora liberi ai lati del viso. Era la stessa Margherita che conosceva?
Prima ancora di parlarle l’abbracciò contenta, poi le chiese come mai da qualche tempo non si erano più incontrate. Margherita le spiegò che con un gruppo di amici era stata in vacanza in montagna, aggiungendo che si era trattato di una bellissima esperienza.
Livia, sempre più sorpresa, pensò che fino a poco tempo prima mai le era capitato di parlare con lei di viaggi, tanto meno di vacanze in montagna, ma solo di mare, di lunghe giornate trascorse sulla spiaggia. Disse solo: “Felice di vederti felice, non sapevo che amassi la montagna!”.
Margherita rise di gusto nel dire:” Non lo sapevo neppure io, l’ho scoperto decidendo, da un giorno all’altro, di fare un viaggio, e siccome sono praticamente sola ho optato per un viaggio organizzato. Così ho conosciuto diverse persone, sono stata molto bene, e al rientro, con alcune di loro ho stretto rapporti di vera amicizia. Ehi, non guardarmi così! Lo so, non uscivo quasi mai, me ne stavo rintanata in casa, chiusa al mondo e a tutto ciò che mi circondava, non avevo amici, in realtà perchè non ne volevo, non avevo capito l’importanza di stare con gli altri, l’avevo dimenticato, perché con Fabio, mio marito, amici ne avevamo diversi, eccome, poi…” . Si interruppe per qualche istante, quindi aggiunse:” Forse tu non te ne sei neppure resa conto, ma quella sera, nel parco, ricordi, c’era tanto silenzio e tanto buio, lo stesso buio e lo stesso silenzio che per anni mi hanno fatto compagnia, poi…le tue parole, dette con semplicità e amicizia, e tanta discrezione. Benedette quelle tue parole, erano quelle giuste in quel momento, in pochi istanti mi hai aperto una finestra sul mondo, mi hai fatto capire che non sempre tutto è finito, che ognuno di noi ha ancora diverse possibilità, e che non bisogna sprecarle, lasciarle andare. Io credo che anche mio marito sarebbe felice vedendo me felice. Voglio ricominciare a vivere, voglio rubare anch’io alla vita i miei momenti di serenità. Davvero grazie, Livia”.
Non c’era molto da aggiungere, Margherita, come un fiume in piena, aveva già detto tutto. Livia la salutò abbracciandola e dicendole: “Allora, ai tuoi nuovi amici, con i quali, immagino,organizzerai nuovi viaggi, escursioni e tanto altro, vuoi aggiungere anche me? Sappi che in queste cose io non mi tiro mai indietro!”.
Si salutarono scambiandosi i numeri di telefono.
Ed ora dedichiamoci al Natale”, pensò Livia andando via, “ai doni per gli amici, agli addobbi per il nuovo albero, all’acquisto di qualche nuova statuina per il presepe, e a qualche buona idea per la cena della vigilia. Benedetto il Natale, che porta sempre delle buone nuove. Viva Margherita e la sua nuova vita!”
Si sentiva felice per sè e la sua famiglia, ma forse ancora di più per l’amica che aveva capito quanto sia importante volersi bene.




Dalla raccolta inedita Sguardi di donne”