La
bella Rosina
Amore
e ragion di Stato in Casa Savoia
di
Roberto Gervaso
Bompiani
Editore
Storia
biografia
Pagg.
302
ISBN 9788845220524
Prezzo
€ 6,20
Una
bellissima storia d’amore
Se
si osserva con attenzione l’immagine della copertina, una
fotografia di Rosa Vercellana, meglio conosciuta in piemontese
come la
Bela Rosin,
non si può far a meno di rilevare la floridezza del personaggio,
bene in carne e nei punti giusti (fianchi e seno), con un bell’ovale
in cui spiccano gli occhi scuri, dolci, ma non succubi, insomma
quella tipologia femminile che tanto piaceva a Vittorio Enanuele II,
impenitente donnaiolo, padre
della patria e
di non pochi italiani bastardi. È anche vero, però, che oltre a
queste doti fisiche, la signora ne possedeva altre, tali da far
innamorare in modo duraturo il re d’Italia, uomo avvezzo a ad assai
frequenti incontri sessuali con qualunque femmina destasse il suo
interesse – e ce ne furono moltissime -, a cui si presentava senza
tanti preamboli per andare al sodo, in un’alcova che poteva essere
il grande letto di un palazzo, come una brandina da campo, o anche un
fienile e perfino sull’erba. Erano smanie di cui Vittorio Emanuele
era preda e che servivano a temperare per un po’ la sua esuberanza,
insomma si trattava di amore soltanto fisico, e non anche di affetto,
di quel sentimento che porta due persone a confidarsi, a parlare, a
sognare insieme, quello che invece ci fu anche e solo per la
Bela Rosin.
Di questo legame, durato una trentina d’anni, ci parla in questo
libro Roberto Gervaso, con la sua consueta ironia, non scevra di
simpatia per una donna capace, con le sue qualità, di accrescere i
pregi del monarca e di attenuarne i difetti, un porto sicuro a cui
rifugiarsi nei periodi bui o a cui approdare per condividere i pochi,
ma sostanziosi, momenti di felicità. Il re, come noto, era sposato
con Maria Adelaide d’Austria, un matrimonio combinato per cementare
alleanze e dunque non ravvivato dall’amore, il che non impedì
tuttavia a Vittorio Emanuele di adempiere ai suoi doveri di consorte,
come testimoniano le sette gravidanze della moglie, l’ultima delle
quali le fu fatale. Maria Adelaide era un tipo fine, riservato,
veramente innamorata di Vittorio e che aveva capito che con
quell’uomo non c’era nulla da fare, se non ignorare le sue
frequenti scappatelle; lui nutriva un certo affetto per lei e in
fondo era grato di avere una moglie che lo lasciava fare, come del
resto analogamente si comportava la Rosina. Questa, figlia di un
tambur maggiore, e quindi plebea, aveva solo quattordici anni quando
Vittorio, non ancora sovrano, le mise gli occhi addosso e fu un colpo
di fulmine, che durò fino alla scomparsa del re. Lei era
assai bella e aggraziata, lui non era brutto, ma aveva un che di
rozzo e un aspetto somatico che neula aveva in comune con i suoi
ascendenti (i Savoia per parte di padre e gli Asburgo per parte di
madre); anche il carattere era del tutto diverso, contrario a ogni
etichetta, forse credente, ma non certo bigotto come il padre e la
madre, andava più d’accordo con il popolino che con i nobili e per
l’insieme di queste cose correva la voce che non fosse un Savoia,
in quanto aveva preso il posto del legittimo erede, perito ancora in
culla in un incendio; le stesse voci asserivano che fosse figlio di
un macellaio fiorentino, ma secondo Gervaso tali notizie sarebbero da
considerarsi infondate, pur restando ancora da spiegare le differenze
fisiche e caratteriali.
La
relazione con Rosina, con cui fu prodigo di regali in denaro,
gioielli e proprietà, fu in realtà un matrimonio, anche se non
ufficiale, da cui nacquero tre figli, di cui uno morto subito e ai
superstiti (un maschio, chiamato Emanuele, e una femmina chiamata
Vittoria) il re volle particolarmente bene, preferendoli ai figli
legittimi avuti da Maria Adelaide. Questo menage era ben noto a tutti
e trovò la dura avversione di Cavour, che nel libro viene descritto
come un individuo della peggior specie, sempre in disaccordo con il
re. Ciò nonostante, Vittorio Emanuele, pur consapevole di non poter
prendere in sposa la Rosa (dopo la scomparsa della moglie) e di non
poter legittimare Emanuele e Vittoria, il tutto per questioni
dinastiche, prima investì del titolo di Contessa di Mirafiori la
Vercellana, poi arrivò all’unica soluzione possibile, una sorta di
compromesso, unendosi in matrimonio con lei morganaticamente. Gli
anni migliori furono forse quelli dopo il 1860, quando, senza
calmarsi nelle sue passioni (donne, guerra, caccia) il re, rimasto
vedovo nel 1855, poté stare più vicino alla Rosina. I due colombi
già cominciavano a pensare alla vecchiaia quando improvvisamente il
9 gennaio 1878 il re moriva per una broncopolmonite; la
Vercellana non era presente al trapasso perché malata e per lei fu
un gran colpo e un autentico dolore. La grande storia d’amore era
finita, o forse continuava nel ricordo; non trascorse molto tempo
dalla dipartita del re e anche la bella Rosina il 26 dicembre 1885
chiuse per sempre gli occhi.
Gervaso
è uno storico e biografo che ho avuto modo apprezzare per la
puntigliosità nella ricerca della verità e anche in questo libro
tali caratteristiche sono presenti; forse, per la prima volta, si
sbilancia, porta alla luce la sua simpatia per il personaggio, ma se
veramente le cose sono state così è impossibile non sentirsi
attratti da Rosa Vercellana, venuta dalla polvere e salita
sull’Olimpo, una donna che tuttavia riuscì sempre ad aver ben
chiare le sue origini, insomma non si montò la testa. Le notizie che
fornisce l’autore sono tante che è impossibile descriverle e come
suo solito all’inizio dedica un capitolo alla descrizione
dell’ambiente e del periodo storico, indispensabile per
proseguire la lettura avendo ben presente lo sfondo su cui si svolge
questa bellissima storia d’amore che dapprima ruota intorno a
Torino, capitale del Regno di Piemonte e poi, per un brevissimo
periodo, d’Italia. È una città di militari e di preti, nonché di
una massa di poveracci, quasi tutti analfabeti. Vittorio e Rosina
sapevano leggere e scrivere, ma non erano certo dei letterati e al
riguardo basta leggere i testi delle numerose lettere che Gervaso ha
scelto e che, pur negli errori di grammatica frequenti, evidenziano
tuttavia in modo chiaro l’intensità di un sentimento a cui pose
fine solo la morte.
La
lettura è senza dubbio consigliata.
Roberto Gervaso è
nato a Roma il 9 luglio 1937.
Ha
studiato in Italia e negli Stati Uniti e si è laureato in Lettere
moderne, con una tesi su Tommaso Campanella. Collabora a quotidiani e
periodici, alla radio e alla televisione, e da decenni si dedica alla
divulgazione storica. Con Indro Montanelli, per Rizzoli, ha firmato
sei volumi della "Storia d'Italia": L'Italia dei secoli
bui, 1965- LItalia dei
comuni, 1966 - L'Italia dei secoli d'oro, 1967 - L'Italia della
Controriforma, 1968 - L'Italia del Seicento, 1969 - L'Italia del
Settecento, 1970. Ha pubblicato: sette
biografie, Cagliostro (Rizzoli,
1972), Casanova (Rizzoli,
1974), I
Borgia (Rizzoli,
1976), Nerone (Rusconi,
1978), Claretta(Rizzoli,
1982), La
Monaca di Monza (Bompiani,
1984) e LaBellaRosina (Bompiani,
1991); un grande giallo storico, Scandalo
a corte (Bompiani,
1987); una storia della Massoneria, I
fratelli maledetti (Bompiani,
1996); due raccolte di grandi storie
d'amore, Appassionate (Mondadori,
2000) e Amanti(Mondadori,
2002); sei raccolte d'interviste, Il
dito nell'occhio(Rusconi,
1977), La
pulce nell'orecchio (Rusconi,
1979), La
mosca al naso (Rizzoli,
1980), Dente
per dente (Rizzoli,
1983),Sotto
a chi tocca (Bompiani,
1994) e Salute! (Mondadori,
2001); una raccolta d'interviste immaginarie, A
tu per tu con il passato (Bompiani,
1994); tre volumi di ritratti contemporanei,Spiedi
e spiedini (Rizzoli,
1981), I
Sinistri (Mondadori,
1997) e I
Destri (Mondadori,
1998); un pamphlet politico sull'Italia di oggi, Peste
e corna (Newton
Compton, 1996); tre raccolte di aforismi, Il
grillo parlante (Bompiani,
1983), La
volpe e l'uva(Bompiani,
1989) e Aforismi (Newton
Compton, 1994); un volume di confessioni, Di
me tutto. Lettera a mia madre(Rizzoli,
1985); uno di galateo erotico, Se
vuoi che t'ami...(Bompiani,
1986); uno sui sentimenti, Voglia
di cuore(Bompiani
1993). I suoi ultimi titoli sono: Italiani
pecore anarchiche (Mondadori,
2003), Qualcosa
non va (Mondadori,
2004), Ve
li racconto io (Mondadori,
2006) e Io
la penso così(Mondadori,
2009).
Ha
vinto numerosi premi, fra cui due Bancarella, con L'Italia
dei comuni (1967)
e Cagliostro (1973).
I suoi libri sono tradotti negli Stati Uniti, in Canada, in America
Latina, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Germania,
Giappone, Bulgaria, Polonia, Romania.
Renzo
Montagnoli