Il
sentiero dei nidi di ragno
di Italo
Calvino
Presentazione
dell'autore
Arnoldo
Mondadori Editore Spa
Collana
Oscar
Narrativa
romanzo
Pagg.
160
ISBN: 9788804375913
Prezzo:
€ 8,50
Il
sentiero dei nidi di ragno è
il primo romanzo di Italo Calvino, scritto nel 1947, cioè quando
l'autore aveva 24 anni e già collaborava con la casa
editrice Einaudi occupandosi dell'ufficio stampa e della pubblicità.
Chi
pensa di leggere una delle sue straordinarie storie fantastiche si
sbaglia, anche se, a tratti, emergono risvolti fiabeschi che
stemperano la cruda realtà della vicenda, una sorta di neorealismo
improntato tuttavia, pur con una sua autonomia, al verismo di Verga
de I
malavoglia.
La
guerra è finita da poco, con tutti i suoi lutti e la sola esperienza
positiva della resistenza, ma siamo in un'Italia che risorge dalle
ceneri alimentando speranze, già in parte deluse.
E'
il periodo in cui finita la sbornia per la ritrovata libertà ci si
interroga sul perché degli accadimenti passati, un percorso
indispensabile per acquisire coscienza di ciò che è effettivamente
accaduto e delle relative motivazioni.
In
questo senso Il
sentiero dei nidi di ragno è
una splendida metafora dei reali motivi che stanno alla base della
maggior parte di chi aderì alla resistenza, ma lo è anche per
coloro che invece osteggiarono questo straordinario moto popolare.
Il
personaggio principale è Pin, un bambino lasciato solo a se stesso,
in condizioni di abbrutimento più morale che fisico e che cerca di
essere prima del tempo adulto, non per una maturità raggiunta, ma
per il desiderio di evadere dal suo squallido mondo.
Cattivo
come può essere uno che non appartiene di fatto né
all'infanzia, né alla pubertà, si atteggia a grande, rimanendo con
l'esperienza di un bimbo.
In
un'epoca di furore, di sangue e di rivolta giocherà alla resistenza,
rimanendo sempre solo, senza veri amici, tranne uno, un adulto
con la mentalità di un bambino, e con lui che assai probabilmente
gli ha ucciso la sorella, meretrice collaborazionista dei tedeschi,
si allontanerà nella notte, nel buio di una vita di cui nessuno dei
due conosce ancora la strada.
E
le motivazioni allora quali sono? Le spiega Kim, un giovane
commissario politico: i partigiani combattono per un
riscatto dal mondo di miseria e di abbrutimento, lo stesso in cui si
trovano anche le camicie nere, ma mentre i primi lottano per spezzare
le catene, i secondi si oppongono per mantenerle strette.
Sì,
perché tutti i personaggi di questo bel romanzo, visti con
affettuosa pietà dall'autore, sono dei vinti, tranne forse Kim che,
a differenza degli altri, si pone tutti quei perché, le cui risposte
daranno coscienza alla sua e alla loro partecipazione.
Scritto
in modo scorrevole, dinamico, mai statico, ha già lo straordinario
pregio di introdurre gradualmente alla riflessione, che diventa parte
e scopo del testo, al punto che, se rimarranno indelebili nella
memoria le figure di Pin, di Lupo Rosso, di Cugino e molti altri,
finiremo con il porci anche noi le stesse domande e verremo
condotti inconsapevolmente per mano a conoscere le risposte.
E'
forse superfluo che aggiunga che ne raccomando vivamente la lettura.
Renzo
Montagnoli
L’alba
che aspettavamo.
Vita
quotidiana a Milano nei giorni di piazzale Loreto 23 – 30 aprile
1945
di
Edgarda Ferri
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Storia
Pagg.
249
ISBN 9788804539452
Prezzo
Euro 17,00
La
fine di una lunga notte
Siamo
alla fine dell’anno 2019 e quindi da quel 25 aprile del 1945,
giorno che viene commemorato come quello della liberazione
dell’Italia dal dominio nazi-fascista, sono trascorsi oltre 74 anni
e ormai sono pochi quelli che ricordano quelle giornate fatidiche,
pochi che hanno avuto coscienza di quello che accadde, il che vuol
dire che questi pochi all’epoca dovevano avere almeno una decina di
anni. Furono ore di trepidazione, di gente che sperava nell’arrivo
degli alleati, ma che temeva anche colpi di coda dei fascisti e dei
tedeschi, così come invece erano attanagliati dall’angoscia tutti
quelli compromessi con il regime, perfettamente consapevoli della sua
imminente fine e proprio per questo timorosi per la loro sorte. Dico
solo che furono giorni convulsi, con continui ammazzamenti, con
sentenze di morte pronunciate e subito eseguite da improvvisati
Tribunali del popolo, con vittime in diversi casi anche innocenti,
colpite da vendette o addirittura scambiate per altre persone, in un
caos in cui non raramente non si riusciva a capire se alcuni armati
fossero fascisti travestiti da partigiani o viceversa. Per chi a
quell’epoca era troppo piccolo per comprendere, per quelli nati
successivamente L’alba
che aspettavamo è
il libro che riesce a spiegare quel che accadde, sia pure
limitatamente a Milano, dove peraltro c’erano i centri nevralgici
degli opposti poteri. Edgarda Ferri, l’autore, allora era una
bambina essendo nata nel gennaio del 1934, ma è indubbio che visse
quei giorni, che fu testimone di fatti spesso sanguinosi e che,
soprattutto, potè memorizzare l’atmosfera di una guerra e di una
dittatura che, alimentata con il sangue, finiva nel sangue. Io non
c’ero e pertanto ho potuto apprezzare la cronaca di quegli otto
giorni (dal 23 al 30 aprile), quasi scandita ora per ora, una serie
di eventi incrociati, storie di personaggi famosi e altri senz’altro
non noti, gli antifascisti che venivano ancora catturati e ammazzati,
così come i membri delle varie soldataglie del Duce giustiziati
lungo le strade, l’incontro in arcivescovado del cardinale Schuster
con un Mussolini disperato, il contatto breve di questi con alcuni
dei rappresentanti del Comitato di Liberazione per trattare la resa,
una resa senza condizioni che il dittatore ormai detronizzato non
accetta e che lo induce a fuggire verso la Svizzera, non sa nemmeno
lui ancora se per tentare di rifugiarsi nel paese neutrale, oppure
per andare a sparare le ultime cartucce nel fantomatico ridotto della
Valtellina. Sappiamo come andò a finire, come sappiamo che Benito
Mussolini, Claretta Petacci e gli altri gerarchi fucilati a Dongo
furono appesi a un distributore in piazzale Loreto, lo stesso
piazzale dove il 10 agosto 1944 erano stati fucilati 15 partigiani, i
cui corpi furono tenuti ben in vista a lungo per un monito alla
popolazione, che ora invece accorreva in massa a sincerarsi della
morte di “mascellone”, esultando, infierendo sul cadavere, magari
la stessa folla che il 10 giugno 1940 si era entusiasmata per il
discorso del Duce con cui comunicava al paese l’avvenuto consegna
delle dichiarazioni di guerra alle ambasciate inglesi e
francesi. Edgarda Ferri si avvale di numerose testimonianze, di gente
dell’una e dell’altra parte che le ha raccontato l’esperienza
di quei giorni, ma contano anche le riflessioini dell’autore, molto
equilibrate, e anche sincere, perché fa solo un cenno, ma questo
basta e avanza per ricordare che già nei primi giorni di pace gli
stessi profittatori di prima continuarono a operare indisturbati, che
chi aveva potuto pagarsi la libertà era scampato al processo e che
chi era il padrone del vapore prima lo era anche a guerra finita.
Insomma, se c’era bisogno di un’ulteriore conferma, un
cambiamento epocale di sostanza non c’è stato; certo, la guerra
era finita, aveva vinto la democrazia, ma chi contava prima
continuava a contare.
Il
libro si legge veramente con grande piacere, grazie alla struttura
snella e alla capacità dell’autore di non far mai calare il ritmo,
sempre molto elevato.
L’interesse
dell’argomento è notevole, sia per quelli che all’epoca non
c’erano, o se c’erano erano troppo piccoli per capire, sia per
gli altri, per quelli ormai pochi che vissero consapevolmente quelle
giornate, il cui ricordo viene così a loro opportunamente
rinfrescato, perche gli italiani devono sapere quanto mostruoso sia
stato il fascismo e come sia finito ufficialmente nell’aprile del
1945, pur continuando a covare sotto la cenere.
Renzo
Montagnoli
La
Resistenza perfetta
di
Giovanni De Luna
Feltrinelli
Editore
Saggistica
storica
Pagg.
254
ISBN
9788807888519
Prezzo
Euro 9,50
Un
sogno fatto insieme
Il
rischio che prima o poi si presenta nel caso di un mito - e la
Resistenza può essere considerata un mito - è che nel trascorrere
nel tempo ci sia chi vuole sgretolarne le immagine, per non parlare
di molti più altri che, senza arrivare a ciò, pur tuttavia nutrono
dubbi su ciò che è accaduto e che viene tramandato. Senza tenere
conto dell’atteggiamento negazionista dei seguaci dei vinti di
quell’epoca il problema reale è che i più quasi sempre ignorano
che cosa sia stata la resistenza, oppure ne hanno una visione
ristretta di carattere politico. Credo che se uno vuole comprendere
il significato di quel grande movimento che interessò l’Italia più
o meno dal settembre del 1943 all’aprile del 1945 dovrebbe leggersi
questo interessante saggio di Giovanni De Luna, noto storico
salernitano. L’autore parte da un diario, quello di Leletta d’Isola
(1926 – 1993), figlia del barone Vittorio Oreglia d’Isola e della
contessa Caterina Malingri; la ragazza, con i genitori, altri,
parenti, amici e domestici viveva nel Palas avito a Vilar, una
frazione di Bagnolo Piemonte. Acuta osservatrice riportava su questo
testimone giornaliero le impressioni e le riflessioni che nascevano
in un periodo particolarmente travagliato per l’Italia, nato col
l’armistizio dell’8 settembre 1943, periodo complesso e confuso
tanto che la pagina del 30 settembre riporta questa dicitura: “Il
nucleo del chaos è l’Italia”. Nelle valli piemontesi la
resistenza sorse per prima per diversi motivi, ma soprattutto perché
lì era confluita dalla Francia un’intera armata e anche perché
meno difficile che in pianura si presentava una difesa dalle
incursioni delle truppe nazifasciste. Al Palas arrivarono così gli
embrioni di quello che diventerà la Resistenza e in particolare una
figura che poco a poco diventerà leggendaria, il comandante delle
Brigate Garibaldi Nicola Barbato, nome di battaglia, giacché in
effetti si chiamava Pompeo Colajanni. In quella dimora vennero a
trovarsi contemporaneamente monarchici, repubblicani del Partito
d’Azione, comunisti, cattolici, correnti che, pur ovviamente con
proprie idee, riuscirono a cementare un’unione volta al supremo
sforzo non solo di liberare l’Italia dal giogo nazista e dalla
dittatura fascista, ma vennero anche a gettare le basi ideali per un
Italia nuova, un accordo che sarebbe parso in altri momenti
impossibile. Come poté avvenire un tale miracolo? Accadde perché
quei combattenti per la libertà riuscirono a mettere da parte in
quei giorni gli anacronistici confini ideologici e di classe che li
dividevano, e ciò per un comune scopo; avevano capito che il male
era il passato, gli anni bui della dittatura e delle guerre, e il
male veniva perpetuato dai nazisti e dai fascisti, mentre il bene si
sarebbe trovato nel futuro da costruire insieme. Fu un sogno, quindi,
perché già dopo il 25 aprile, senza più il male in
contrapposizione venne a perdere evidenza e forza anche il bene.
La
Resistenza quindi fu per la prima e forse unica volta un sogno fatto
insieme, per cui si combatté e si morì anche, una magia oserei dire
di cui nel tempo si è perso il significato, lasciando anzi spazio a
pericolose e becere tendenze revisioniste. Certo, non furono tutte
rose e fiori, ci furono anche atti esecrabili, ma nel suo insieme la
Resistenza è quanto di meglio si sia fatto dopo l’Unità d’Italia.
Lo stile di De Luna è gradevole, senza inutili appesantimenti, e la
narrazione procede con linearità, poi però, verso la fine, l’autore
si lascia prendere dall’entusiasmo e s’incrina un po’
l’obiettività ammirata in precedenza; niente di grave, anche se si
avverte chiaramente che lo storico, pur basandosi su fatti e dati
concreti, si lascia prendere volentieri la mano.
Renzo
Montagnoli