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Il ladro di fiori
di Renzo Montagnoli
- Che gli
venga un accidente! Giuro che se lo prendo gli faccio rimpiangere d’esser nato.
- Anche
questa volta? – fu il commento unanime degli altri dell’osteria.
- Anche
questa volta! Eh sì che sono rimasto di guardia fino a dopo la mezzanotte, ma
questa mattina presto quando sono ritornato sul cimitero del bel mazzo di dieci
gladioli ne erano rimasti cinque, tale e quale lo scorso anno, e l’altro
ancora.
Il Guercio
guardò Soldino che, dopo la sfuriata iniziale pareva ora più calmo, anche se
visibilmente sconsolato, e gli disse – Ti giuro che il 7 agosto del prossimo
anno saremo lì a darti una mano, organizzeremo dei turni di guardia e lo
prenderemo questo lurido ladro di fiori.
La vicenda
di Soldino, al secolo Carlo Gentilini, ma così chiamato da prima della guerra
per la tirchieria che lo connotava, aveva dell’incredibile.
Il 26 aprile
del 1945, mentre tutti festeggiavano la fine del conflitto con canti e balli,
un aereo americano aveva sorvolato il paese e, invece di lanciare zollette di
cioccolato, come facevano quel giorno altri piloti, aveva scodellato una bomba
da un quintale che aveva sfracellato la casa del Gentilini, in quel momento al
lavoro nei campi, seppellendo le poche suppellettili e, soprattutto, l’Adalgisa,
consorte di Soldino.
E’ possibile
immaginare il dolore di quest’uomo che, in un attimo, si era ritrovato senza
casa e senza moglie, completamente solo, poiché dalla loro unione non erano
nati figli.
Per
l’Adalgisa, con cui aveva vissuto per quasi quarantanni, nutriva un affetto
profondo, frutto di un legame sincero che si era cementato con il tempo.
Si era così
ritrovato a quasi settantanni allo sbando sulla strada, con poco denaro per
vivere e, soprattutto, senza il conforto della persona amata.
Il Guercio,
segretario della locale sezione del Partito Comunista, gli aveva trovato un
modestissimo alloggio e ogni tanto gli faceva arrivare qualche piccolo aiuto
economico, per integrare l’insufficiente pensione con cui doveva fare i conti
per mangiare, poco, il mezzogiorno e la sera.
Nonostante
le ristrettezze e privandosi di tutto il superfluo riusciva ogni anno a mettere
da parte la somma necessaria per acquistare dieci bei gladioli da portare il 7
agosto sulla tomba della moglie, ricorrendo in quella data l’anniversario delle
nozze.
Era quindi
più che comprensibile l’animosità che lo coglieva accorgendosi che il giorno
dopo il mazzo risultava puntualmente dimezzato; si era arrovellato, pensando a
uno sgarbo nei suoi confronti, visto che era l’unico furto che avveniva sul
cimitero, ma aveva trovato presto il motivo della preferenza del ladro,
guardando le altre tombe, disadorne o al più ornate da modesti fiori di campo.
Aveva anche pensato di adeguarsi allo stile comune, ma proprio non gli andava
giù di dover rendere omaggio alla defunta con dei papaveri o delle margherite
selvatiche, quando lei in vita aveva amato tanto i gladioli.
Anche quel 7
agosto del 1947 la cosa finì lì; in paese ne parlarono tutto il giorno,
qualcuno fece trapelare dei sospetti, senza nessun fondamento, ma poi il giorno
appresso la vicenda risultò completamente dimenticata.
Tuttavia, a
parte Soldino, c’era chi aveva la memoria lunga e infatti il Guercio il 7
agosto del 1948, così come aveva promesso, organizzò le ronde, ognuna composta
da due uomini. Era una giornata calda, con un’afa opprimente, quando il vedovo
portò i fiori sul cimitero, li aggiustò nel vaso quasi con tenerezza, mormorò a
bassa voce alcune parole, quasi si fosse messo a conversare con la defunta, poi
recitata una preghiera, ritornò a casa, come gli aveva detto di fare il
Guercio. La sua, più che una raccomandazione, fu un ordine – Te ne torni a casa
subito e fai le solite cose; non azzardarti a tornare là; vai a letto e domani
mattina, quando ti svegli, vai all’osteria, dove ci troverai con il ladro ad
aspettarti.
E così fece;
dopo una lunga notte insonne, un incubo dietro l’altro, arrivò finalmente
l’alba. Attese un po’, nel timore che all’osteria non avrebbe trovato nessuno,
poi, quando suonò la campana della prima messa, decise di andare. Si sentiva
strano, avvertiva un’ansia corrosiva che lo spingeva a coprir di botte il
furfante e, quando gli venne il desiderio di ammazzarlo, si rifugiò in chiesa.
Restò poco, in un angolo, a contemplare il crocefisso con quel povero Cristo in
legno rosicchiato dai tarli che faceva più pena di lui, vestito sempre allo
stesso modo, con la camicia vecchia di dieci anni, come i pantaloni, tutti
rattoppati, per non parlare delle scarpe, con i buchi delle suole rattoppati
con il cartone che si scioglieva alla prima pioggia.
- Gesù, fa
che non commetta un atto più odioso di quello che ha commesso lui. In questo
mondo di miserie la sua forse è più grande della mia. Lo denuncerò, questo sì,
ma non voglio mettergli le mani addosso.
Si segnò,
uscì dalla chiesa e si affrettò verso l’osteria. Appena entrato, vide un
crocchio di gente al centro della sala e udì subito la voce forte del Guercio –
Oh, Soldino, è da un po’ che ti aspettiamo; proprio questa notte ti è venuto
così sonno? L’abbiamo preso, colto, si suol dire, con le mani nel sacco, anzi
nei fiori. Già gli abbiamo fatto capire l’errore che ha fatto; se vuoi
favorire?
Il crocchio
si aprì e poté vedere un uomo legato a una sedia, con il volto tumefatto, gli
occhi pesti e un labbro spaccato. Soldino restò come paralizzato: quell’uomo
davanti a lui, che non conosceva, era il
ritratto della sofferenza in persona.
Si rivolse
al Guercio – Ti prego, non toccatelo più; portate qualche benda, un po’ acqua,
cerchiamo di rimediare un po’ al danno.
- Se vuoi tu
così, provvediamo subito, anche se a malincuore.
Soldino si
accostò al prigioniero, gli sciolse i nodi, passo una mano fra i suoi capelli
bianchi e gli mormorò – Perché l’hai fatto? Perché mi rubi sempre la metà dei
gladioli? E chi sei e dove abiti?
L’uomo, con
voce tremante, lo guardò in viso e prese a parlare – Mi chiamo Franco
Rigattieri e abito a Pieve, a nemmeno cinque chilometri da questo paese. Ho
sessantacinque anni e vivo, se si può dire vita, della mia modestissima
pensione, insieme con mia figlia di quarantanni, nata prematura e non a posto
con la testa. Mia moglie è morta il 7 agosto 1945, di stenti, di mancanza di
medicinali, una vittima della guerra, anche se deceduta pochi mesi dopo che era
finita. Lei deperiva ogni giorno e non riuscivo a capire il perché; certo da
mangiare non ce n’era quasi, ma mai più potevo sospettare che quando rientravo
dai lavori saltuari che facevo in campagna e lei mi diceva di aver già
mangiato, non era per niente vero; quel poco che c’era di commestibile lo
lasciava per me e per mia figlia. Quando me ne sono accorto era troppo tardi e
in pochi giorni mi ha lasciato. Aveva deciso di fare finita così quella vita
senza avvenire, con la figlia cresciuta solo per affetto materno, ma senza
speranze, se non la certezza che la miseria genera solo miseria. L’amavo tanto
e non avevo nemmeno i soldi per un po’ di fiori; così quel giorno ho cercato di
procurarmi quei gladioli che tanto le piacevano in un altro modo. Nel cimitero
del mio paese non c’erano, ma ho saputo che da voi li avrei trovati; ho avuto
vergogna, mi sono quasi scusato con la morta, e ne ho preso la metà, in modo da
rendere meno grave l’offesa.
Il Guercio
lo squadrò – Ma risparmiare come Soldino, no eh?
-
Risparmiare è una parola che ignoro, quando se mangi, poco, a mezzogiorno non
ti resta nulla per la sera. Ho pensato perfino di chiedere la carità, ma a chi,
se tutti, anche se meno di me, sono poveri?
- E chi mi
dice che tu racconti la verità? Adesso verifichiamo.
Il Guercio
chiamò uno dei suoi compagni, parlottò brevemente con lui e questi uscì subito.
Soldino,
intanto, gli faceva degli impacchi con un po’ d’acqua e piano piano le
tumefazioni presero a ridursi.
Il tempo
passava e, quando la pendola dell’osteria segno le undici, arrivò il tirapiedi
del Guercio.
Entrò,
abbassò gli occhi e disse – E’ tutto vero; ho chiesto in paese, sono andato a
casa sua, due camere ricavate in una stalla; c’era la figlia che mi ha guardato
in modo strano e si è messa a ridere come una pazza. Ho guardato nella credenza,
dappertutto, e di mangiabile ho trovato solo un pezzo di formaggio ammuffito e
un filone di pane comune.
Il Guercio
si mise le mani nei capelli, tirò un calcio a una sedia, cominciò a
bestemmiare, contro la guerra, contro il fascismo, contro il governo e contro i
preti, poi fece una cosa che in vita sua non aveva mai fatto: chiese perdono e
pretese che lo chiedessero anche gli altri.
Si rivolse
poi a Soldino – Chi l’avrebbe mai detto? Che facciamo ora?
Rigattieri
disse solo – Se mi accompagnate a casa, magari con un carretto, mi fareste un
grande piacere, perché ho le gambe che mi fanno male.
- Certo,
provvediamo subito. – disse il Guercio, poi parlottò con i suoi uomini.
Trovarono il
carretto, ci caricarono il Rigattieri e un sacco con un po’ di pane, del
formaggio, un salame e delle albicocche, e lo riportarono a casa.
Da allora,
il Guercio inserì nella lista dei suoi assistiti quel poveraccio e ogni tanto,
quando gli era possibile, gli faceva avere qualche cosa, in particolare ogni 7
agosto, quando Soldino toglieva cinque gladioli dai dieci che grazie alla sua
parsimonia riusciva ad acquistare.
Da Storie di paese