Amori d’altri tempi.
Foto da web
Camera con vista
di Renzo Montagnoli
“Affittasi camera a
persona referenziata in casa del settecento con splendida vista su Piazza
Sordello”
Carlo trasalì: era
quello che cercava da tanto tempo. Ripose il giornale, poi telefonò.
- Sì, è una camera
ammobiliata con una vista splendida.
- Fa proprio al caso
mio; sono un ingegnere ormai in pensione che è stato tanto tempo lontano dalla
sua città e vorrebbe risentirne ogni giorno il profumo.
- Le do l’indirizzo;
venga pure a fare una visita quando vuole.
- Se non le spiace, sarò
da Lei fra una mezz’ora. Mi dica esattamente dov’è?
- In via Tazzoli, 10.
Carlo strinse ancor più
forte la pagina del locale quotidiano, perché meglio di così non poteva andare:
la via era quella giusta ed il numero 10 era proprio davanti al 23.
Rivide mentalmente il
vecchio portone, il cortiletto interno, le scale semibuie e l’appartamento al
secondo piano; fu un flash, un ricordo nitido e improvviso di un’immagine a lui
tanto familiare una trentina di anni prima.
Uscì dal bar e si
soffermò un momento a scrollarsi l’odore di fumo che gli si era appiccicato,
poi s’incamminò lentamente lungo via Trieste; giunto al ponte sul Rio, si fermò
a guardare l’acqua che scorreva in basso fra le vecchie case.
E cominciò a pensare;
era arrivato lì dopo un lungo viaggio, di diverse ore di aereo, dal Messico
dove aveva costruito il suo ultimo ponte, il più bello, il suo canto del cigno
e come un cigno si librava su una valle stretta, profonda; non sembrava neppure
l’opera di un uomo, ma una creazione della natura, che si elevava talmente in
alto da sembrare toccare il cielo.
Ora, che era arrivato
quasi al termine del viaggio, gli sembrava che l’arrivo fosse infinitamente
lontano, quella meta che nell’ultimo anno della sua attività lo aveva
continuamente assillato. Eppure mancava poco: duecento, trecento metri, una
distanza che ad ogni passo diventava insormontabile. Riprese il cammino,
imboccò via Pomponazzo, passò rasente Palazzo Sordi ed infine arrivò a Piazza
Arche. Un pezzo del lago Inferiore si lasciava intravedere alla sua destra, un
piccolo diadema verde a cingere vestigia del passato.
Gli tremarono le gambe
quando piegò per Via Tazzoli; la leggera salita del percorso che portava nella
splendida Piazza Sordello sembrò di una
difficoltà estrema. Si guardava intorno: non cercava il numero 10, ma il 23 e
quando lo vide le pulsazioni aumentarono a dismisura. Ecco là il vecchio
portone, immutato, con la vernice forse un po’ più scrostata. Si accostò quasi
tremante a osservare i nomi sui quattro campanelli e trasalì: c’era anche
quello, sì nulla era cambiato. Era ancora viva, quindi; fu tentato di
appoggiare il dito, ma all’ultimo momento si ritrasse.
Come uno squarcio di
luce nella nebbia riprese prepotente il tormento del ricordo.
“” Era una domenica e lui era andato a prendere Claretta, per la prima
uscita insieme.
Aveva suonato e gli era stato aperto; attraversato il cortiletto
interno, aveva salito ansioso le scale e…
- Si può entrare?
Una voce maschile aveva risposto affermativamente ed eccolo nel piccolo
salotto di fronte al Sig. Bartolomeo Damiani, a sua moglie ed alla figlia
Claretta, bella, sempre più bella, permeata di una grazia leggiadra. I genitori
stavano un po’ impettiti, ma gli occhi della fanciulla sprizzavano lampi di
gioia.
- Sig. Damiani, sono Carlo Baldi e…e…, insomma mi piacerebbe uscire oggi
con sua figlia.
- Giovanotto, spero che le sue intenzioni siano più che serie. Del resto
Claretta ci ha detto qualche cosa di lei.
E Claretta , mentre arrossiva, gli sorrise. - Io e mia moglie abbiamo
solo questa figlia, una gran brava ragazza, e viviamo solo per lei. Certo che
può uscire, ma non le manchi di rispetto: è come un fiore che sboccia e non
vorrei che dovesse subito appassire.
E così iniziò la storia, così bella nelle premesse e così triste nelle
conclusioni.””
Si scosse, attraversò la
strada e si trovò davanti all’ingresso del numero 10, che ricordava come una
fatiscente casa del 700, ma che ora si presentava restaurata, pur conservando i
tratti del fascino antico, come una vecchia nobile signora, dalle cui
rughe traspariva la bellezza di un’epoca
passata.
Salì lungo le scale e
bussò alla porta, che si aprì.
- Buon giorno, signora,
sono l’Ing. Carlo Baldi; le ho telefonato mezz’ora fa.
- Si accomodi, ingegnere.
Non sa quanto sia contenta che lei sia venuto; è un vero onore per me ospitare
l’artista dei ponti, l’uomo che ha tenuto alto il nome dell’Italia in tutto il
mondo.
- Non esageri, signora.
Ho fatto solo il mio lavoro - e osservò
con attenzione la figura esile che gli stava davanti, concludendo che doveva
avere più o meno la sua stessa età.
- La stanza in questione
dà proprio su via Tazzoli; in verità, per vedere un pezzo di Piazza Sordello,
bisogna sporgersi, ma ne vale la pena. Eccola, gliela mostro.
Arredata con vecchi
mobili di prima della guerra, era una camera accogliente, linda, luminosa.
Pochi gli arredamenti, limitati allo stretto necessario: il letto, un comodino,
l’armadio e una graziosa poltroncina di tessuto decorato con fiori di mimosa.
- Va benissimo; la
prendo, il prezzo non importa, faccia lei.
- Vanno bene 300 Euro al
mese?
- Benissimo.
- Per quanto tempo?
- Fino a quando questa
gentile signora padrona non mi caccerà.
Ci fu un risolino
soffocato, quasi a schermirsi, e la donna salutò a voce bassa, uscendo dalla
stanza.
Carlo non perse tempo;
prese la poltroncina e si sistemò davanti alla finestra. Non gli importava
della vista su Piazza Sordello, ma da lì, da quel davanzale poteva osservare
perfettamente il portone del n. 23, parte del cortiletto interno, e,
soprattutto, le due finestre di un certo appartamento del secondo piano.
La casa sembrava
disabitata: nessun rumore e tanto meno movimenti. Le finestre in questione poi
non lasciavano trasparire nulla dell’interno, coperte com’erano da pesanti
tendaggi scuri.
Fissò nuovamente il
portone.
“” E’ stata una bellissima giornata, Carlo; oggi Mantova mi è sembrata
diversa, le case, i monumenti brillavano di una nuova luce. Ritornerai anche
domenica?
- E me lo chiedi? Anche per me oggi è stato un giorno incredibilmente
stupendo e questo grazie a te.
Claretta non disse nulla, ma quando le loro labbra s’incontrarono fu
percorsa da un fremito che la fece sussurrare - Sei un sogno… Poi corse in
casa.””
Sorrise, ripensando a
quel giorno di tanti anni prima, all’atmosfera di sogno che da quel breve
contatto era nata così all’improvviso. E anche adesso stava sognando, perché
davanti a lui c’erano solo cose inanimate, veicoli di ricordi che emergevano
prepotenti dal momentaneo oblio del tempo trascorso.
Immerso nei suoi
pensieri non si accorse che si era fatto tardi e che già era abbondantemente
passata l’ora della cena. Poco male, sarebbe andato a letto subito, stanco
com’era per il lungo viaggio fra due continenti e fra il passato ed il
presente.
Già all’alba, ai primi
rumori della strada, era sveglio e si rimise al suo posto di osservazione.
“” - Ti voglio sposare, Claretta, non riesco a vivere senza di te.
- Sei un amore, Carlo, e Dio è stato buono con me permettendomi di
conoscerti.
- Domenica ne parlerò a tuo padre e spero proprio che non sia contrario.
- Stai tranquillo; ne sarà più che felice. Dove andiamo oggi?
- Una bella passeggiata nelle viuzze dietro il Duomo, un gelatino giusto
per rinfrescarci e poi.., e poi purtroppo verrà l’ora in cui dovrai tornare a
casa.
Fu una passeggiata tranquilla, durante la quale Carlo parlava e Claretta
ascoltava estasiata.
- Vedi, il lavoro che ho a Mantova è ben retribuito e ci consente di
vivere dignitosamente, ma non è quello che desidero; ho sempre sognato di
costruire ponti, uno più alto dell’altro, come cattedrali che svettano verso il
cielo. Ho ricevuto un’offerta estremamente interessante da una grossa azienda,
ma è evidente che in tal caso a Mantova non potremo più stare; saremo sempre in
giro per il mondo: paesi nuovi, gente diversa, dalle steppe dell’Asia alle
foreste del Brasile. Te la senti di fare una vita così?
- Per te e con te andrei perfino sulla luna; ti amo, Carlo, e sempre e
in ogni caso ti amerò.””
Osservò nuovamente il
portone che, in quel momento, si aprì, lasciando uscire un giovane sulla
trentina, alto, snello, che con passo deciso imboccò la via, probabilmente per
andare al lavoro. Sorrise, dicendo fra sé - Ecco, qualcuno che ha ancora tutto
il mondo davanti, che può creare o distruggere la propria vita.
Guardò l’orologio:
segnava le otto in punto. Si sistemò meglio e lancinante gli sovvenne il
ricordo di quanto accadde dopo quella promessa di matrimonio.
“”In una sola settimana la vita due esseri fu stravolta, il destino
implacabilmente li destò dal romantico sogno in cui erano immersi.
Il martedì, improvvisamente, venne a mancare, per un colpo apoplettico,
il Sig. Bartolomeo Damiani ed il venerdì, forse per il dolore, la vedova fu
colpita da un ictus che la paralizzò completamente.
E cominciò anche la sua tragedia.
- Claretta, appena possibile, anche per te, è meglio che ci sposiamo.
- Carlo, io devo rimanere accanto alla mamma, lo sai che non può stare
sola e non so se sei disposto ad un simile sacrificio.
- Pur di restare con te non andrò via da Mantova, non costruirò ponti…
- Ti amo e proprio per questo ti conosco; sono più che sicura che prima
o poi finiresti con il dichiararti insoddisfatto; tu mi ami, lo so, ma a
rinunciare alla tua passione non ti vedo
e non voglio sentirmi rinfacciare in seguito che ti ho condizionato la vita;
pensaci bene prima di fare un passo sbagliato.
E pensò, tentato da un lato dal sentimento per Claretta, che gli pareva
meno contraccambiato di prima per quella sua dedizione quasi ossessiva alla madre,
e dall’altro da quel desiderio innato, a stento soffocato, di concretizzare
quel talento che invadeva la sua mente.
Prese a incontrarsi meno con Claretta, anzi le occasioni d’incontro
divennero sporadiche, e alla fine lui decise.
Le scrisse una lunga lettera di commiato, temporaneo così diceva,
promettendole che non appena la situazione della madre avesse avuto una
positiva evoluzione, un eufemismo che sottintendeva la morte della donna,
sarebbe tornato a riprenderla per portarla via con sé.
Il distacco, già avvenuto gradualmente, non gli parve così doloroso e il
nuovo lavoro, di estremo interesse e gratificante, fecero sì che l’idea della
promessa restasse solo nelle righe dello scritto, anche se, a onor del vero,
ogni tanto, dai più disparati posti, le inviava delle lettere, rimaste tutte
senza risposta.””
- Posso?
Carlo si scosse
nell’udire la voce della padrona
- Prego.
- Ingegnere, non so se
posso, ma ieri nel pomeriggio, tornando da un giro in centro, l’ho vista alla
finestra e anche questa mattina è ancora lì; non sono affari miei, ma non è di
una persona come lei stare ore ed ore solo a guardare. Per caso, conosce
qualcuno che sta nella casa di fronte?
- Sì, una vecchia amica
che desidererei tanto rivedere. E la
voce quasi gli si strozzò in gola.
- Era anche mia amica
Claretta, perché la persona di cui parla è
Claretta Damiani, vero?
- Sì…
- Troppo tardi è
tornato; è morta due anni fa. Ha atteso il suo arrivo tanto e anche prima di
morire ha sperato; gli ultimi giorni ha voluto che il portone restasse sempre
aperto, per lei.
Carlo non riusciva a
trattenere le lacrime - Le ho scritto
diverse volte, ma non mi ha mai risposto; che cosa potevo fare? Come ho finito
il mio lavoro, sono tornato subito e se non ho suonato al suo campanello era solo
per la paura che lei si fosse sposata.
- No, non si è mai
voluta sposare; mi diceva che non rispondeva alle sue lettere perché non voleva
farle capire quanto l’amasse, inducendola così ad abbandonare quello che tanto
aveva desiderato fare. Però, se lei è sincero, mi confermerà che queste sue
lettere le ha spedite solo nel primo periodo, e non negli ultimi venti anni.
- Sì, è vero, ma poiché
non mi rispondeva ho temuto di non interessarle più.
- Ed allora perché
adesso è ritornato?
- E’ difficile
ammetterlo, ma ho trascorso la mia vita solo per il mio egoismo e quando ho
costruito l’ultimo ponte, il più alto del mondo, mi sono accorto di quanto
fossi in basso io, solo, senza affetti,
senza amore; mi sono detto: chissà, forse lei c’è ancora, forse non è sposata,
o lo è stata, o comunque adesso è libera; c’è ancora del tempo da vivere e il
passato può diventare anche un lontano ricordo. E invece…
- Lei non immagina
neppure quanto l’abbia amata; conservava tutti i ritagli dei giornali che
parlavano dei ponti che ha costruito; l’ha cercata in prossimità della morte,
ma, quando abbiamo saputo dov’era, Claretta già ci aveva lasciato.
- Saputo? Chi, oltre a
lei signora, mi ha cercato?
- Carlo Damiani, suo
figlio, vostro figlio.
- Ma come. Ho un figlio,
un figlio, e non l’ho mai saputo!
- E’ nato poco dopo che
lei ingegnere era partito per la sua avventura. Non ha voluto dirglielo, perché
sapeva che sarebbe tornato per sempre, suo malgrado.
- Dov’è, dov’è
quest’uomo?
- Abita lì, è alto come
lei, snello, un bel ragazzo, sa chi è suo padre, anche se non l’ha mai visto.
Strano che non l’abbia notato quando esce di casa ogni mattina alle 8.
E Carlo si sovvenne.
- Non sono tornato per niente, ho un figlio, a
cui attribuirò la paternità; sarò il suo mentore, sarò quel genitore che tanto
tempo fa avrei dovuto essere.
E il giorno dopo scese
di primo mattino in strada e si mise di fronte al portone. Alle 8 in punto questo si aprì e
uscì il giovane.
- Mi scusi, solo un
momento, due parole…
- Dica pure.
- Mi presento: sono
Carlo Baldi.
Il giovane non disse
nulla e nemmeno si mostrò sorpreso.
- Sono tuo papà e
desidero esserlo a tutti gli effetti.
- Signor Baldi, la posso
anche capire, ma non abbiamo niente da dirci. Io non ho più l’età per avere un
padre ora e neppure lei ha l’età per avere un figlio adesso. Mi scusi, ma vado
perché sono in ritardo.
- Aspetta, parliamone
ancora…
Ma il giovane affrettò
il passo e ben presto sparì alla sua vista.
Carlo si appoggiò al
portone; l’angoscia crebbe in lui non appena cominciò ad accorgersi che il
lungo viaggio era finito, anzi non era mai iniziato.