Bossico,
un balcone sul lago d'Iseo
di
Renzo Montagnoli
Sarà
perché io da molti anni vivo in un paese, ma sta di fatto che amo le
piccole realtà, che pur presentando qualche lato negativo, hanno il
pregio di rendere la vita più a misura d'uomo, lontano dalla
frenesia che contraddistingue i grandi agglomerati urbani. Per
fortuna l'Italia è caratterizzata da tanti piccoli borghi, spesso
posti in posizioni amene e ricchi di storia. Fra questi ce n'è uno
che nemmeno sospettavo che esistesse e di cui sono venuto a
conoscenza grazie a una lettrice di Arteinsieme che ha la
fortuna di abitarvi. Mi riferisco a Bossico, un paesino di
nemmeno 1000 abitanti, sito a 860 metri sul livello del mare in
provincia di Bergamo, con una splendida vista sul sottostante lago
d'Iseo. Proprio la vicinanza di questo ampio specchio
d'acqua contribuisce non poco a rendere il suo clima dolce che, unito
all'aria salubre, alle possibilità di effettuare numerose escursioni
e passeggiate, lo rende un piacevole luogo di villeggiatura e infatti
lì hanno casa numerosi bergamaschi, dimore ovviamente temporanee,
rifugi per fuggire dai ritmi frenetici della civiltà industriale, in
quella provincia particolarmente sviluppata. A Bossico si
va più piano, non si corre, si cammina, si ammirano i paesaggi e
l'ottima cucina fa conoscere i sani e saporiti piatti di una volta.
Il paese ha origini abbastanza lontane, anche se i documenti
ufficiali dell'archivio comunale sono piuttosto recenti, ma
spulciando nei registri della parrocchia si scopre che l'abitato già
esisteva nel XVI secolo e infatti, da alcuni rari reperti
archeologici, sembrerebbe che già addirittura in epoca romana
sorgesse un primo insediamento. Tuttavia, se si osservano i monumenti
esistenti, il più antico sarebbe la parrocchiale dedicata ai Santi
Pietro e Paolo, consacrata per la prima volta il 1° ottobre del
1573, un tempio semplice, ma non privo di raffinatezze, come la
copertura ad archi e colonne del portale d'ingresso, un vezzo
rinascimentale. Per quanto concerne il nome del paese sembrerebbe
nato dalla composizione di due vocaboli (Bos – egh) e
significherebbe villaggio delle pecore o delle capre. Se altre
strutture architettoniche antiche e di pregio non esistono, ci
sono tuttavia da evidenziare alcune ville ottocentesche,
tuttora abitate, in località Settecolli, in buona parte nel
territorio del confinante comune di Lovere. Di per sé
costituiscono un'attrattiva, benché non sorgano, nonostante il nome,
su sette colli. Allora perché questo nome? Questi edifici furono
fatti costruire da
borghesi o nobili liberali, garibaldini, antipapisti e favorevoli a
Roma capitale d'Italia. Per questo i proprietari diedero ad esse nomi
romani o nomi legati ai fatti risorgimentali. Le ville in generale
sono ricche di pregiato mobilio e adornate da bei quadri o
affreschi di rinomati pittori come Loverini,
Trussardi, Domenighini, Tallone, Diotti, Scuri
e Oprandi di Lovere. E i loro nomi sono per l'appunto
Campidoglio, Aventino, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e
Viminale. Non è improbabile che queste scelte siano state anche
dettate dalla volontà di dimostrare il desiderio che Roma
diventasse, come poi diventò, capitale d'Italia. Ma a Bossico ci
sono altre cose da vedere ben più interessanti, per quanto le ville
non siano solo motivo di curiosità. Mi riferisco alla natura e ai
panorami in particolare. Già il fatto che sia un balcone sul lago
d'iseo consente una veduta d'insieme di questo specchio d'acqua
veramente unica e affascinante. Sotto c'è l'industriosa Lovere,
più avanti Montisola, la grande isola, e se si guarda più
verso sud si riescono a scorgere le ultime acque che bagnano Iseo.
E
se già questo panorama costituisce un buon motivo per andare
a Bossico, aggiungo che ce ne sono altri, come per esempio il
sentiero che partendo dalla piazza del paese si inerpica fino sul
monte Colombina, dal quale è possibile avere una magnifica vista
d'insieme, o i numerosi percorsi per mountain-bike, assai apprezzati
dagli appassionati di questo sport. In ogni caso, date le quote non
particolarmente rilevanti delle montagne circostanti, le pendenze e
le difficoltà non proibitive, il luogo si presenta adatto a una
villeggiatura sia di bambini che di anziani. Del resto l'altezza di
860 metri, la vicinanza con il lago, su cui spirano diversi venti,
garantisce la possibilità di ristori durante le calde estati; e
anche in inverno si possono fare uscite sulla neve su percorsi ben
segnati. Quindi il paese è visitabile in ogni stagione e anzi vi si
può soggiornare, grazie anche all'adeguata ricettività alberghiera,
così come può costituire la meta di un solo giorno, data la buona
accessibilità dal sottostante lago d'Iseo. In ogni caso ce n'è per
tutti i gusti, ma soprattutto si respira sempre un'aria diversa, e
non solo quella più pulita della montagna, ma quella propria di un
tempo che, senza essersi fermato, non vuole correre più veloce delle
lancette dell'orologio e che consente al turista di giungere a uno
stato di serenità, sia che proceda sui sentieri, sia che si lasci
incantare dall'inimitabile panorama del lago d'Iseo.
Certo
non ci sono le bellezze architettoniche delle grandi città d'arte,
ma su questo piccolo altopiano procedere lentamente sui suoi prati,
osservare i modesti, ma variopinti fiori di campo, respirare l'aria
lieve che lo avvolge non è solo un'esperienza, ma è ritrovare un
senso della vita che l'odierna frenetica civiltà ci ha fatto
dimenticare, e quindi non è certamente poco ciò che Bossico è
in grado di offrire.
Come
arrivare
Da Milano-Bergamo:
- Seguire la SS671 per circa 10 km
- Prendere la SS42 per circa 27 km
- Proseguire sulla SP53 per 4 km
- Gira a destra sulla SP54
- Arrivo a Bossico dopo circa 6 km.
- Seguire la SS671 per circa 10 km
- Prendere la SS42 per circa 27 km
- Proseguire sulla SP53 per 4 km
- Gira a destra sulla SP54
- Arrivo a Bossico dopo circa 6 km.
Da Venezia-Brescia:
- Seguire la SS11 per circa 9 km
- Prendere la SS510 per circa 36 km
- Continuare sulla SS42 per 8 km
- Seguire la SS11 per circa 9 km
- Prendere la SS510 per circa 36 km
- Continuare sulla SS42 per 8 km
-
Gira sulla SP53 per circa 5 km
- Proseguire sulla SP54
- Arrivo a Bossico dopo circa 6 km.
- Proseguire sulla SP54
- Arrivo a Bossico dopo circa 6 km.
L'ignoto
Polesine
di
Grazia Giordani
Se
volessimo far conoscere il Polesine in maniera classica ed ovvia,
basterebbe sfogliare un testo storico-geografico e non ci sarebbe
bisogno del nostro intervento. Quello che ci prefiggiamo, non è di
percorrere un viaggio tradizionale, piuttosto è la voglia
di spilluzzicare qua e là notizie curiose ed inedite, inerenti
questa lingua di terra stretta e lunga, detta Piccola Mesopotamia, in
quanto compresa dal liquido abbraccio di Adige e Po.
Insisteremo
su Badia, punto di riferimento dell'Alto Polesine, perché chi vi sta
scrivendo abita qui e ne ha quindi colte le voci e l'atmosfera in
maniera più intima e personale, proprio perché anche le città
hanno un'anima. Ovvio sottolineare che il nome Badia (Abbadia) deriva
dalla millenaria Abbazia della Vangadizza, volutamente non ci
perderemo in date e riferimenti storici, regalando al fruitore uno
spicchio del fascino romantico che emana da questi storici ruderi,
dall'abside intatta, dal magnifico chiostro che ci fa sognare un
ellittico soffitto di cielo. Un monumento che andrebbe visitato con
due anime: quella di chi cerca la pura bellezza, contrapposta a
quella dello storico che qui di storia potrebbe farne una vera
scorpacciata. E la promessa curiosità? Inerisce le due arche, i due
sarcofagi esterni che dovrebbero, ma chissà se è vero, ancora
contenere i resti mortali di Azzo e Cunegonda d'Este
che – in quanto imparentati con la casa reale inglese -, per anni
hanno visto un messo inviato dalla Regina Elisabetta, portare un
mazzo di rose bianche, in memoria dell'antichissima cuginanza.
Proseguendo con le curiosità, nell'omonima via, potreste vedere
(solo vedere, perché è ormai cadente e in fase di eterno restauro)
il tardo quattrocentesco Palazzetto degli Estensi. Nelle notti di
tempesta, dicono si veda, attraverso le elegantissime trifore,
fluttuare il velo bianco di una dama d'Este. Gli scettici sostengono
si tratti solo di volgarissime tele di ragno. Chissà ?
Dulcis
in fundo una super chicca è il Teatro Sociale, ora intitolato
al badiese, celebre nel mondo del giornalismo, Eugenio Balzan.
Costruita nel 1812, questa bomboniera d'oro, è la prodigiosa
miniaturizzazione della Fenice di Venezia. E non ha subito incendi, a
differenza della sua celeberrima “madre” veneziana. In compenso,
ha subito un trentennio di restauro dei restauri. La mangeria
politica, in Italia, non fa più effetto a nessuno.
Anche
le “Torri Marchesane” sono un'altra curiosità. Semisepolte
nell'acqua vorticosa dell'Adige, sprofondano e riemergono in parte, a
seconda dei capricci del fiume, creando un effetto di fatamorgana.
Per non farsi mancare nulla, Badia non si contenta dell'Adige che ha
figliato l'Adigetto. E ha altri bellissimi
palazzi cinquecento-settecenteschi.
A
nove chilometri circa da Badia, incontriamo Lendinara – detta
l'Atene del Polesine – per la sua prestigiosa eleganza
architettonica, per l'atmosfera raffinata che si respira in questa
aristocratica mini città, dove i nobili veneziani soggiornavano
spesso negli anni antichi, lasciando in eredità agli abitanti la
mollezza della parlata veneta, quella elle francese che fa tanto
veneziano doc. A Lendinara c'è anche una Madonna nera, assicurano
assai miracolosa. E la curiosità ? La splendida Chiesa di Santa
Sofia vanta uno dei campanili più alti d'Europa, sormontato da uno
svettante angelo che – caduto a causa di un fortunale- fu rimesso
in sede da un elicottero americano.
Poco
distante c'è Fratta Polesine, patria di Giacomo Matteotti, gremita
di ville gentilizie di raro valore, fra cui brilla Villa Badoer,
detta la “Badoera”, stupefacente gioiello del Palladio. Qui non
ci sono curiosità, solo quintessenza di bellezza.
Rovigo,
il capoluogo, vanta una chiesa, “la Beata Vergine del Soccorso” –
edificata al cadere del Cinquecento – fra le più belle
d'Italia, detta “La Rotonda”, completamente pavesata all'interno
da pitture ad olio, come Palazzo Ducale a Venezia, arricchita da un
preziosissimo organo del Callido. E anch'essa ha la sua curiosità
che consiste nella caduta della cupola (evidentemente l'architetto
non aveva la perizia del Palladio). Ed è stato proprio questo
“difetto” a regalarle un tondeggiante charme.
Molti
altri luoghi andrebbero nominati, non ultima Adria che ha dato il
nome al mare Adriatico, minuscola Venezia in sordina, ma abbiamo
fretta di correre in Basso Polesine, più malioso della Camargue. Qui
una natura incontaminata ci ammalia per flora e fauna che danno il
benvenuto al delta del Po. Perché qui è il vero Delta, non a
Ferrara, come erroneamente i più credono.
Perché
il Polesine è così poco noto, quasi misconosciuto, a parte le
alluvioni di dolorosa memoria? I motivi potrebbero essere molteplici.
Quando Venezia era già la Serenissima, il Polesine era “pollicium”,
ossia terra paludosa, quindi è partito in ritardo nei confronti
delle regali consorelle, per cui basterebbe citare Verona e Vicenza,
per capire cosa intendiamo. Ma non è solo una questione di tempi
ritardati, il problema sta nel carattere un po' rinunciatario,
diffidente del “foresto”, complessato. Suvvia, polesani alzate
il mento che molta bellezza abita anche a casa vostra.
Cammina
con l’acqua: breve vacanza in Alta Val Seriana
di
Siti
“Terra,
che ‘l Serio bagna, e ‘l Brembo inonda,
che monti, e valli mostri all’una mano,
ed all’altra il tuo verde, e largo piano
or ampia, ed or sublime, ed or profonda;
perch’io cercassi pur di sponda in sponda
Nilo, Istro, Gange, o s’altro è più lontano,
o mar da terra chiuso, o l’Oceano
che d’ogni intorno lui cinge, e circonda;
riveder non potrei parte più cara,
e gradita di te, da cui mi venne
in riva al gran Tirren famoso Padre,
che fra l’arme cantò rime leggiadre,
benchè la fama tua pur si rischiara,
e si dispiega al Ciel con altre penne”.
che monti, e valli mostri all’una mano,
ed all’altra il tuo verde, e largo piano
or ampia, ed or sublime, ed or profonda;
perch’io cercassi pur di sponda in sponda
Nilo, Istro, Gange, o s’altro è più lontano,
o mar da terra chiuso, o l’Oceano
che d’ogni intorno lui cinge, e circonda;
riveder non potrei parte più cara,
e gradita di te, da cui mi venne
in riva al gran Tirren famoso Padre,
che fra l’arme cantò rime leggiadre,
benchè la fama tua pur si rischiara,
e si dispiega al Ciel con altre penne”.
Torquato
Tasso (1586), Rime,
Einaudi
L’Italia
offre al visitatore luoghi meravigliosi, da nord a sud, e una varietà
di paesaggi che nella loro specificità regalano a chi li frequenta
non solo stimoli visivi ma anche culturali.
Recentemente
sono stata in val Seriana, la culla del fiume Serio, nelle Prealpi
Orobie e vi ho scoperto dei luoghi meravigliosi. Invitata da un caro
amico, ho raggiunto Bergamo con la mia famiglia- marito e due bimbi
di sette e nove anni- sul finire di questo caldo luglio 2016. In
realtà Bergamo ci accolti con un temporale rinfrescante che ci ha
permesso di smaltire in breve i quaranta gradi della Sardegna, terra
dei miei natali.
Superato
il primo sconcerto e valutata la possibilità di salire comunque in
montagna, ci siamo diretti verso Valbondione, il comune più
settentrionale della provincia di Bergamo, per raggiungere a piedi il
rifugio Antonio Curò, meta e punto di appoggio per le successive
escursioni.
Il
comune è anche il più esteso fra quelli della provincia e annovera
tre vette che superano i tremila metri: Pizzo Coca, Pizzo Redorta e
Punta Scais. Il paese è bagnato dal fiume Serio che nasce alle
pendici del monte Torena presso l’omonimo passo del Serio e che,
nutrito da numerosi torrenti in uno splendido tripudio di acque,
arricchisce la principale valle, Bondione appunto, con il suo
spettacolare salto che dà origine alla cascata del Serio, un
triplice salto per complessivi 315 metri, il
più alto d'Italia e il secondo in Europa. Il
primo impatto visivo percorrendo il sentiero che conduce al rifugio è
proprio dato dalla cascata che, sebbene sia chiusa a causa
dell’invaso artificiale creato a monte nel 1931, riesce comunque a
suggerire la potenza della sua discesa e sfiata incessante i suoi
acquatici gorgoglii anche serrata. Attualmente un accordo tra l’Enel
e il comune garantisce l’apertura delle cascate secondo un
calendario che sposa l’alta stagione turistica e permette di godere
di questo spettacolo anche in notturna.
Noi non l’abbiamo potuto
ammirare ma ciò non è motivo di cruccio: il Serio è stato comunque
il protagonista indiscusso dei nostri itinerari. Ve ne offro un
percorso a ritroso, d’altronde l’etimologia della parola Serio ci
porterebbe, secondo alcune fonti, al significato di cammina con
l’acqua. E allora, avviamoci.
SENTIERO
305 – VALBONDIONE- RIFUGIO CURO’
Stimato
per un tempo di percorrenza di tre ore, il sentiero parte da quota
940 m, risale il fianco della valle lasciando in basso il corso del
fiume. Caratterizzato da un ampio sterrato nel tratto iniziale,
percorribile anche in jeep fino al punto di partenza della teleferica
che porta i viveri al rifugio, si trasforma in mulattiera che
dolcemente conduce a superare l’ampio dislivello che termina ai
1915m del Rifugio Curò, superato anche un suggestivo salto aereo
scavato sulla roccia del monte. Chi conosce il territorio, percorre
questo sentiero anche a sera inoltrata per poi ritornare con la sola
luce di una frontale, semplicemente per gustare i favolosi piatti del
cuoco e rifugista Angelo che insieme a Fabio e alle rispettive mogli
tiene in gestione il “Curò” da diversi anni con passione e
successo.
IL
VECCHIO RIFUGIO E IL MODERNO OSTELLO
Giunti
a monte ciò che colpisce è l’accostamento del vecchio col nuovo,
il moderno ostello precede il vecchio rifugio, ma salendo è lui che
vedi , è lui che agogni. Il design moderno dell’ostello più alto
d’Europa non ruba al cuore il desiderio del vecchio: è lì che
berrai una birra fresca, è lì che mangerai una squisita fetta
torta, è lì che cercherai compagnia anche se alloggerai in una
camera confortevole dotata di bagno privato. L’ostello, finanziato
in parte con i soldi dell’U.E. ha innescato vive polemiche
sull’opportunità stessa della sua esistenza in quanto, in parte,
tradisce lo spirito della montagna; personalmente penso che sia
un’opportunità in più di ricezione che poi ognuno è libero di
scegliere o meno. Abbandoniamo le polemiche e torniamo ai sentieri.
SENTIERO
308 RIFUGIO CURO’- RIFUGIO BARBELLINO
Il
rifugio Curò si affaccia su un invaso artificiale che dal 1931 fa
confluire, raccogliendole, le acque delle valli limitrofi: Trobio,
Cervera, Malgina. I torrenti Serio e Trobio sono i suoi immissari più
importanti mentre l’unico emissario è il Serio. È comunque un
paesaggio ameno quello che la mano dell’uomo ha così modificato
per scopi produttivi e l’impatto ambientale, al di là degli orridi
tralicci e dell’imponente costruzione della diga, non ne risente
più di tanto. Il visitatore curioso, aggirando il vecchio rifugio,
potrà avere occasione anche di un incontro ravvicinato e incredibile
con gli stambecchi. Essi, infatti si abbarbicano sulla ripidissima
parete dell’invaso per leccare il salnitro che vi si deposita e si
rimane semplicemente affascinati da questa visione che ha
dell’incredibile. Ho visto con i miei occhi gli agili animali
sfidare le leggi della gravità e spingersi ad altezze impossibili
vista la pendenza quasi al limite del percorribile per un quadrupede.
Il
sentiero 308, ottima la segnalazione dei percorsi a cura del CAI di
Bergamo, permette di raggiungere il vero, in quanto naturale, Lago
Barbellino dove si può essere accolti da un altrettanto grazioso
rifugio, il Barbellino appunto. Questa escursione è una vera e
propria passeggiata con lievi pendenze e ci permette di ammirare il
bacino artificiale in tutta la sua ampiezza, costeggiandolo . Nel
tratto iniziale, superata una cappella dedicata a Giulio Albini e una
suggestiva spada nella roccia, ci si ritrova a dedicare il pensiero
alle vittime della montagna: esistono infatti sul sentiero due
lapidi, la prima che ricorda quattro giovani sorpresi da una slavina
e una seconda che ricorda una giovane donna. Chi conosce bene quei
luoghi sa che la particolare conformazione delle valli rende il
territorio particolarmente esposta a valanghe e slavine. Il percorso
è un vero e proprio tripudio di acque, le si supera sui ciottoli, le
si lascia con un salto, le si affronta con l’aiuto di ponti
appositamente creati, la si beve per dissetarsi direttamente dalla
parete rocciosa. Il lago regala poi un'altra emozione: è di un blu
vivido e le sue acque sono gelate; qualche intrepido vi fa il bagno
comunque.
SENTIERO
RIFUGIO CURO’- PIZZO DEI TRE CONFINI
Il Pizzo
dei Tre
Confini (2.824m
) è situato lungo il crinale che collega il Monte Gleno al Pizzo
Recastello. Il
nome che porta questa montagna deriva dal fatto che sulla vetta
convergevano i confini dei tre comuni di Vilminore, Lizzola e
Bondione, questi ultimi due ora sono invece aggregati con Fiumenero a
costituire il Comune di Valbondione.
Sempre
costeggiando il lago artificiale, incontrata la prima cascata a
destra, si imbocca il sentiero naturalistico Antonio Curo’( primo
presidente del CAI di Bergamo), esso nacque per fini bellici ma non
fu mai utilizzato in questo senso. Il sentiero sale fino all’imbocco
della valle Cerviera e offre diverse varianti: si possono vedere i
laghi, incrociare gli alpinisti diretti al Pizzo Recastello oppure
approfittare dell’assenza di neve per provare l’emozione di
percorrere un breve tratto di cresta e superato l’ultimo
impegnativo dislivello giungere in vetta sperando di poter suonare la
campana. A noi non è successo: ci siamo arrivati- io con grande
fatica dovuta all’utilizzo di una calzatura non adeguata, i bambini
felici con l’appoggio di tre bravi escursionisti ( ma lo sono anche
loro) - ma la campana è stata tolta, spero non rubata!
La
faticosa e impegnativa salita è stata altamente ricompensata dalla
visione dei nevai, degli stambecchi, dall’aria già rarefatta per
una che vive a pochi metri sul livello del mare nella pianura più
pura. È stata la prima vetta da me conquistata con la sola forza
delle mie gambe e ne sono veramente contenta anche perché stiamo
parlando di un sentiero ai confini dell’alpinismo o perlomeno
impegnativo dal punto di vista escursionistico e io l’ho percorso ,
dopo il tradimento degli scarponi, con un sandalo da montagna. Nella
retina impressa l’istantanea del Gleno, mai così vicino:
indelebile. La vescica? E chi la ricorda più!
SENTIERO
308/310 RIFUGIO CURO’- LAGO DELLA MALGINA- LAGO GELT
Riprendendo
il sentiero che porta al lago Barbellino per poi abbandonarlo
impegnando la salita a sinistra (sentiero 310) è possibile scoprire
due perle di questo affascinante territorio e ancora sentire cantare
le acque. Mentre si salgono le ripide pietraie che conducono alla
riparata conca che ospita il lago, si odono e si vedono precipitare
le acque in infiniti salti, cascate, spruzzi, gorgoglii. Il lago
della Malgina, 2339, è quasi deprivato dei raggi del sole, se a
giugno è ancora ricoperto di neve a fine luglio ne rimane qualche
debole residuo nelle sponde meno esposte.
La
sua vista è pienamente godibile sia arrivando dal sentiero citato
sia risalendo il residuo tratto che porta al lago Gelt dove è
possibile a più riprese fotografare questa meraviglia dall’alto.
Il lago Gelt, a quota 2562, è invece noto per la sua caratteristica
forma di cuore e per il fatto che per buona parte dell’anno rimane
ghiacciato. Noi l’abbiamo visto allo stato liquido ma circondato
ancora da ghiaccio e neve. Purtroppo la sua caratteristica forma non
è percepibile se non dall’alto e a noi è stata ovviamente
preclusa la possibilità di proseguire oltre per una serie di fattori
che ho già evidenziato ( presenza di bambini, calzatura non
adeguata, preparazione fisica nel mio caso, e in ultimo cambio
repentino delle condizioni meteorologiche).
Le
nostre escursioni in alta Val Seriana si sono così concluse
lasciando un ricordo vivo e pungente come la nostalgia di un bel
luogo che si è vissuto, non solo visitato.
Auguro,
a chi interessato, la visita di questi luoghi, anche in famiglia: si
può fare!
Un
piacevole incontro in Trentino (Luserna e non solo)
di
Piera Maria Chessa
Poco
tempo fa, trovandomi in Trentino, ho incontrato la mia amica
Giovanna, che abita non lontano da Trento. Questi nostri incontri
sono diventati già da qualche tempo una piacevole consuetudine.
Essendo di casa, conosce bene la sua regione, e in modo particolare
il territorio in cui vive. Per questo motivo ogni volta, nella scelta
dei luoghi da visitare, ci affidiamo senza riserve a lei e a Bruno,
suo marito, con la certezza che si tratterà sempre di piacevoli
sorprese.
In questa circostanza ci hanno proposto di visitare innanzitutto Luserna, poi, alcune malghe, dove acquistare eventualmente prodotti tipici della zona, e in seguito, di andare ad ammirare i bei laghi di Caldonazzo e Levico, che noi già conosciamo ma che da tanto non vediamo.
Arriviamo nel primo pomeriggio, abbiamo un discreto numero di ore a disposizione e la giornata è bella. Loro ci fanno da guida e noi li seguiamo lungo la strada. Non ho mai visto la cittadina di Luserna, ma mi interessa molto la sua storia.
E’ un piccolo comune in provincia di Trento e il suo nome pare che derivi dalla parola cimbra Laas, che significava valico. Si trova vicino al Passo di Vezzena, Vesen, in cimbro, che collega la zona con l’altopiano di Lavarone. L’Alpe di Luserna è stata abitata fin dall’Età del Bronzo, ma i primi veri insediamenti ebbero luogo solo nel 1200. Erano popolazioni di origine tedesca, piccole comunità le cui risorse economiche venivano dal legname e dalla pastorizia. Questi lontani coloni, come spesso avviene, portarono con loro lingua e tradizioni, la lingua cimbra, storie e leggende, costumi e consuetudini, caratteristiche ancora ben vive a Luserna.
In questa circostanza ci hanno proposto di visitare innanzitutto Luserna, poi, alcune malghe, dove acquistare eventualmente prodotti tipici della zona, e in seguito, di andare ad ammirare i bei laghi di Caldonazzo e Levico, che noi già conosciamo ma che da tanto non vediamo.
Arriviamo nel primo pomeriggio, abbiamo un discreto numero di ore a disposizione e la giornata è bella. Loro ci fanno da guida e noi li seguiamo lungo la strada. Non ho mai visto la cittadina di Luserna, ma mi interessa molto la sua storia.
E’ un piccolo comune in provincia di Trento e il suo nome pare che derivi dalla parola cimbra Laas, che significava valico. Si trova vicino al Passo di Vezzena, Vesen, in cimbro, che collega la zona con l’altopiano di Lavarone. L’Alpe di Luserna è stata abitata fin dall’Età del Bronzo, ma i primi veri insediamenti ebbero luogo solo nel 1200. Erano popolazioni di origine tedesca, piccole comunità le cui risorse economiche venivano dal legname e dalla pastorizia. Questi lontani coloni, come spesso avviene, portarono con loro lingua e tradizioni, la lingua cimbra, storie e leggende, costumi e consuetudini, caratteristiche ancora ben vive a Luserna.
Lungo la strada ammiro i bei paesaggi montani,
mentre percorriamo un tratto dell’Altopiano della Vigolana e
successivamente quello di Vezzena.
Quando arriviamo a Luserna, ci fermiamo nei pressi di una chiesa il cui campanile riporta alla mente quelli tedeschi, è dedicata a Sant’Antonio da Padova. Andiamo a vederla, per fortuna la troviamo aperta. E’ piccola ma suggestiva, entrando ci si sente accolti, avvolti dal silenzio e da una piacevole solitudine.
Non troppo lontano intravediamo un edificio con la scritta Museo. Si tratta del “Centro Documentazione Lusérn”, è dedicato alla storia della cittadina e alle tradizioni cimbre, ma anche alla Grande Guerra e alla fauna presente nell’Alpe cimbra; una sezione è riservata ai forni fusori, risalenti all’Età del Bronzo.
Bruno, amante della storia, manifesta il piacere di visitarlo, ma poichè il tempo scorre veloce, lui asseconda il suo desiderio, mentre noi optiamo per una visita un po’ più approfondita della cittadina.
Ci colpiscono le case, la loro struttura, i colori, la cura dei fiori e delle piante nei giardini. Vaghiamo di qua e di là, contenti di esserci fermati. In un angolo sostiamo incuriositi davanti ad un recinto che racchiude una lunga distesa di grossi ciottoli levigati, indubbiamente provenienti da un fiume, considerando la forma. Parecchi sono dipinti, e ve ne sono alcuni molto interessanti, rappresentano paesaggi, animali, ma anche personaggi dei fumetti, cari ai piccoli. Nel mezzo, una scritta: “Si prega di non portar via i sassi”. Mi viene da pensare che “tutto il mondo è paese”.
Un po’ più avanti ci fermiamo davanti a un edificio che attira la nostra attenzione, ospita un altro museo; accanto all’ingresso vi è infatti un sagoma in metallo, rappresenta una donna che indica la porta al suo fianco, un chiaro invito per una visita.
E’ la Casa Museo “Haus Von Prukk”, un tempo, casa contadina cimbra, poi restaurata, in essa è racchiusa la memoria storica delle popolazioni cimbre. Sarebbe interessantissimo entrare, ma dobbiamo fare i conti col tempo a disposizione.
Andiamo oltre, tutto ci colpisce piacevolmente. Fiori anche sui balconi del Municipio, accanto alle immancabili bandiere.
A Luserna e dintorni sono tante le cose da vedere e da apprezzare. Vi è, per esempio, il Forte Lusérn, costruito, per il controllo del valico del Passo Vezzena, tra il 1908 e il 1912; vi è il Sentiero Cimbro dell’Immaginario, un interessante percorso a tema alla scoperta delle leggende cimbre, lungo i sentieri sculture in legno e illustrazioni.
Un’altra escursione consigliata è “Dalle storie alla storia. Percorso della Grande Guerra”. Nell’Alpe Cimbra sono numerose le testimonianze relative alla Prima Guerra Mondiale, e proprio Luserna, per via della sua posizione geografica, ebbe le prime vittime civili.
Arriva il momento di andar via. Ci incontriamo di nuovo con Bruno, anche lui visibilmente soddisfatto della visita al “Centro Documentazione Lusérn”; stavolta ha potuto ammirare anche una bella mostra sui lupi, oltre che l’area dedicata alla Prima Guerra Mondiale, avvenimenti che lo coinvolgono parecchio.
Lasciamo la cittadina e, seguendo il loro consiglio, andiamo per malghe ad acquistare alcuni prodotti tipici del luogo. Non troviamo quel che cerchiamo, ma nella seconda ci fermiamo ugualmente a bere qualcosa insieme e a chiacchierare tra di noi.
Qui abbiamo anche l’opportunità di osservare da vicino diversi animali. Vi sono caprette nane, mucche, cavalli e maiali; questi ultimi bisticciano rumorosamente tra di loro per via del cibo. Osservandoli mi viene da pensare che, come per noi umani, i più deboli hanno sempre la peggio. Il più vulnerabile infatti viene allontanato con violenza dai più forti, e va via lamentandosi.
Nel frattempo il clima va modificandosi, la bella giornata incomincia a trasformarsi e tutt’intorno la nebbia occupa ogni singolo spazio.
Quando arriviamo a Luserna, ci fermiamo nei pressi di una chiesa il cui campanile riporta alla mente quelli tedeschi, è dedicata a Sant’Antonio da Padova. Andiamo a vederla, per fortuna la troviamo aperta. E’ piccola ma suggestiva, entrando ci si sente accolti, avvolti dal silenzio e da una piacevole solitudine.
Non troppo lontano intravediamo un edificio con la scritta Museo. Si tratta del “Centro Documentazione Lusérn”, è dedicato alla storia della cittadina e alle tradizioni cimbre, ma anche alla Grande Guerra e alla fauna presente nell’Alpe cimbra; una sezione è riservata ai forni fusori, risalenti all’Età del Bronzo.
Bruno, amante della storia, manifesta il piacere di visitarlo, ma poichè il tempo scorre veloce, lui asseconda il suo desiderio, mentre noi optiamo per una visita un po’ più approfondita della cittadina.
Ci colpiscono le case, la loro struttura, i colori, la cura dei fiori e delle piante nei giardini. Vaghiamo di qua e di là, contenti di esserci fermati. In un angolo sostiamo incuriositi davanti ad un recinto che racchiude una lunga distesa di grossi ciottoli levigati, indubbiamente provenienti da un fiume, considerando la forma. Parecchi sono dipinti, e ve ne sono alcuni molto interessanti, rappresentano paesaggi, animali, ma anche personaggi dei fumetti, cari ai piccoli. Nel mezzo, una scritta: “Si prega di non portar via i sassi”. Mi viene da pensare che “tutto il mondo è paese”.
Un po’ più avanti ci fermiamo davanti a un edificio che attira la nostra attenzione, ospita un altro museo; accanto all’ingresso vi è infatti un sagoma in metallo, rappresenta una donna che indica la porta al suo fianco, un chiaro invito per una visita.
E’ la Casa Museo “Haus Von Prukk”, un tempo, casa contadina cimbra, poi restaurata, in essa è racchiusa la memoria storica delle popolazioni cimbre. Sarebbe interessantissimo entrare, ma dobbiamo fare i conti col tempo a disposizione.
Andiamo oltre, tutto ci colpisce piacevolmente. Fiori anche sui balconi del Municipio, accanto alle immancabili bandiere.
A Luserna e dintorni sono tante le cose da vedere e da apprezzare. Vi è, per esempio, il Forte Lusérn, costruito, per il controllo del valico del Passo Vezzena, tra il 1908 e il 1912; vi è il Sentiero Cimbro dell’Immaginario, un interessante percorso a tema alla scoperta delle leggende cimbre, lungo i sentieri sculture in legno e illustrazioni.
Un’altra escursione consigliata è “Dalle storie alla storia. Percorso della Grande Guerra”. Nell’Alpe Cimbra sono numerose le testimonianze relative alla Prima Guerra Mondiale, e proprio Luserna, per via della sua posizione geografica, ebbe le prime vittime civili.
Arriva il momento di andar via. Ci incontriamo di nuovo con Bruno, anche lui visibilmente soddisfatto della visita al “Centro Documentazione Lusérn”; stavolta ha potuto ammirare anche una bella mostra sui lupi, oltre che l’area dedicata alla Prima Guerra Mondiale, avvenimenti che lo coinvolgono parecchio.
Lasciamo la cittadina e, seguendo il loro consiglio, andiamo per malghe ad acquistare alcuni prodotti tipici del luogo. Non troviamo quel che cerchiamo, ma nella seconda ci fermiamo ugualmente a bere qualcosa insieme e a chiacchierare tra di noi.
Qui abbiamo anche l’opportunità di osservare da vicino diversi animali. Vi sono caprette nane, mucche, cavalli e maiali; questi ultimi bisticciano rumorosamente tra di loro per via del cibo. Osservandoli mi viene da pensare che, come per noi umani, i più deboli hanno sempre la peggio. Il più vulnerabile infatti viene allontanato con violenza dai più forti, e va via lamentandosi.
Nel frattempo il clima va modificandosi, la bella giornata incomincia a trasformarsi e tutt’intorno la nebbia occupa ogni singolo spazio.
Decidiamo di scendere più a valle, e poco dopo ci fermiamo in un belvedere. Sotto di noi, in lontananza, sebbene in buona parte coperte dalla foschia, vediamo ampie distese di orti e vigneti, e i due bei laghi di Levico, a destra, e Caldonazzo, a sinistra.
Giovanna è dispiaciuta e mi dice:”Peccato che ci sia la nebbia, con il sole , da quassù, è proprio un bel vedere!” Non fatico a immaginare la bellezza di questo luogo! Eppure a me piace anche così.
Proseguiamo la discesa. Percorriamo stavolta una strada piuttosto impegnativa, difficile camminare agevolmente in entrambe le direzioni. Per fortuna ogni tanto c’è uno slargo, si spera sempre di poter incrociare lì, eventualmente, un’altra auto. Su un lato ci sono dei dirupi, sull’altro, in alcuni punti, le pareti di roccia si protendono sulla strada.
Si sta facendo tardi, per fortuna scendendo la nebbia si è dissolta, è un vero peccato, per via del tempo, non poter più ammirare i due laghi da vicino!
Arriviamo non lontano da Caldonazzo, qui dobbiamo separarci. I nostri amici vanno verso casa, noi nella direzione opposta. Contiamo di rivederci presto. A loro, mio marito ed io, dobbiamo ancora una volta il piacere di una bella serata trascorsa insieme.
L’Alpe
di Siusi
di
Renzo Montagnoli
L’Alpe
di Siusi è stata per molti anni la mia meta preferita, prima
d’inverno per poter sciare sulle sue belle piste e poi anche
d’estate, grazie alla possibilità di fare escursioni adatte alle
capacità di ognuno.
Si
trova in provincia di Bolzano (il nome in tedesco è Seiser Alm) ed è
un altopiano situato nella parte occidentale delle Dolomiti, non
completamente piatto, tanto che la quota altimetrica varia da 1.680
m. s.l.m. a 2.351 m. s.l.m.; ha una superficie di 52 Kmq., delimitata
a Nord dal Val Gardena, a Nord-Est dal Gruppo del Sassolungo e a
Sud-Est dal massiccio, dalla sagoma inconfondibile, dello Sciliar.
Ai
piedi di questo piccolo acrocoro ci sono 4 paesi che costituiscono le
maggiori mete per i villeggianti, data la loro relativa altezza:
Tires al Catinaccio, Fiè allo Sciliar, Siusi e Castelrotto (in
quest’ultimo avevo il mio campo base). Prima di effettuare qualche
approfondimento su queste località, ritengo più opportuno parlare
proprio dell’Alpe di Siusi, a mio parere uno dei posti dolomitici
più belli. Ricordo, in particolare, un luglio di molti anni fa:
seduto su una panchina che si affacciava sul pendio degradante lo
sguardo spaziava dal cielo alle alte cime, per poi scendere sui
terrazzamenti naturali sottostanti dove, con alacrità, ma anche
senza particolare fretta, i contadini raccoglievano il fieno, un po’
più in là osservavano anche loro questa scena un gruppo di possenti
e placidi cavalli sarentinesi, lontano si udivano i suoni dei
campanacci delle vacche al pascolo e ancora più distante, portati da
un venticello lieve, appena si sentivano i rintocchi della campana di
una chiesetta. Il panorama, l’atmosfera idilliaca, la quiete di un
mondo che ancora non correva mi commossero e ricordo, come fosse ora,
che non riuscii a trattenere le lacrime, lacrime di una gioia intima
e intensa da cui mi feci piacevolmente travolgere. In inverno,
ovviamente, non è possibile assistere a uno spettacolo simile, ma il
piacere di percorrere i sentieri pedonali o le piste da fondo,
spostandosi da da una piccola trattoria a un altra, in cui sedersi
fuori sulle panche a crogiolarsi al sole, oppure fare uno spuntino a
base di pane e speck, magari accompagnato dal calice di uno dei tanti
buoni vini di cui la regione è ricca, consente di raggiungere
un’intima soddisfazione di altro genere, ma comunque sempre
corroborante. A proposito della stagione fredda sull’Alpe ci sono
piste da sci alpino per lo più facili, fatta eccezione per la
celebre discesa di Coppa del Mondo del Sasslong, e altre piste, per
il fondo, alcune facili, altre medie e solo una una indubbiamente
difficile. Per chi preferisce camminare non mancano i percorsi
battuti e ancora c’è un laghetto, ghiacciato, su cui si possono
praticare il pattinaggio e il curling.
In
estate permangono le passeggiate, senza rilevanti dislivelli, ma
anche le escursioni: allo Sciliar (faticoso, ma non richiede
conoscenze tecniche particolari); percorso circolare sotto il Sasso
Piatto e il Sassolungo, 17 km. circa per gente allenata e che non
soffra di vertigini; gita alla Forcella dei Denti di Terrarossa,
percorso non particolarmente impegnativo, ma che richiede una buona
tenuta atletica. Esistono, ovviamente, altre escursioni, ma mi sono
limitato a indicare quelle di cui ho avuto esperienza diretta
avendole effettuate.
Come
ho già accennato, benché sull’Alpe non manchino buoni alberghi,
per l’altezza molti preferiscono soggiornare nei paesi sottostanti,
raggiungendo poi l’altopiano ogni giorno. Tuttavia, esistono delle
limitazioni, nel senso che per accedere all’Alpe o si va con la
propria auto in modo da arrivarci entro le 9, con ripartenza dopo le
17 (in buona sostanza dalle 9 alle 17 il traffico privato è
vietato), o si ricorre agli autobus dell’Alpe di Siusi Express, con
percorso Siusi, Castelrotto, al prezzo di Euro 17,00 (andata e
ritorno), oppure c’è un impianto di risalita (cabinovia) che parte
dal Comune di Siusi e arriva sull’altopiano al prezzo (andata e
ritorno) sempre di Euro 17,00 (ci sono comunque riduzioni a seconda
dell’età, per famiglie, abbonamenti). Uno dei motivi per i quali
il traffico veicolare è fortemente ostacolato su all’Alpe è per
preservare il più possibile intatta la natura, tanto più che
l’altopiano è protetto grazie alla creazione del Parco Naturale
dello Sciliar.
Se
l’Alpe è stupenda i paesini che si trovano ai suoi piedi sono
degli autentici gioielli. Tires, sito a 700 m. s.l.m. è sovrastato
dall’imponente massiccio del Catinaccio ed è punto di partenza per
fantastiche escursioni e appaganti scalate. Fiè allo Sciliar, la
località in cui sono stati inventati i terapeutici bagni di fieno, è
sito a 880 m. s.l.m. ed ha un caratteristico laghetto, dall’acqua
pulitissima, in cui la balneazione è quasi un rito. Siusi allo
Sciliar è sempre stata forse la località di villeggiatura più
famosa dell’Alpe, ospitando anche personaggi celebri, fra cui
Federico III, ultimo re di Sassonia, e il ricercatore russo Aleksej
Bobrinskoj; frazione di Castelrotto, contende allo stesso il titolo
di meta preferita, anche se non ha un centro storico altrettanto
bello. Ed è proprio Castelrotto un unicum, uno dei più bei borghi
d’Italia; sito a 1.095 m. s.l.m., ha un centro storico dalla
bellezza mozzafiato, con diversi edifici dalle facciate affrescate,
una bella parrocchiale che ha sul retro un grazioso camposanto, il
tutto dominato da un colle, meta di una facile e suggestiva
passeggiata.
E’
appena il caso di ricordare che la bella Val Gardena è nelle
immediate vicinanze, raggiungibile con una comoda strada attraverso
il ripido Passo Pinei.
Non
aggiungo altro, perché credo che non ci sia nulla di meglio di
quello che potrete vedere con una vostra visita. A parte il consueto
corredo fotografico, reperito su internet e che non rende giustizia
alla bellezza di questi posti, mi limito a riportate i link per gli
alloggi, ricordando che gli alberghi sono eccellenti, come del resto
la cucina, un sapiente connubio fra quella austriaca e quella
italiana.