giovedì 6 aprile 2017

Dove porta la neve, di Matteo Righetto




Dove porta la neve


Dove porta la neve quasi una favola «firmata» Righetto


La trama si sviluppa sotto Natale fra dolore, amicizia e rinascita




Chi aveva letto con piacere il toccante romanzo «Apri gli occhi» di Matteo Righetto, nei prossimi giorni troverà in libreria «Dove porta la neve» (Tea, pp. 147, euro 13), per alcuni versi una favola di Natale. Gli appassionati del genere ricorderanno come da Ch. Dickens in poi, l’argomento sia stato variamente trattato. E in Righetto prende una allure tutta particolare, dove il binomio profondità e delicatezza percorre la pagina da cima a fondo.
È la vigilia di Natale e Padova sta per essere coperta da una nevicata memorabile, così realistica che ne sentiamo le falde cadere sui nostri ombrelli e sui nostri cappotti. Carlo, Down , ormai quarantottenne, come ogni mattina da parecchi mesi, va a trovare in clinica Nora, la madre, che sta morendo lentamente, logorroica  nella sua agonia, dove racconta agli altri – in particolare alla sensibile volontaria dll’AVO Bianca, ma soprattutto a se stessa -, la cascata dirompente dei suoi ricordi.
«La neve era la cosa che amavo di più al mondo – le dice – Ogni anno aspettavo con gioia la prima neve (…) la amavo. Quando avevo tre anni o forse quattro anni, mia madre m’insegnò che la neve non era tutta uguale. Per noi, lassù, c’erano tanti modi per chiamare la neve. C’era la nevera, come si chiamava una nevicata grande e copiosa, c’era la zijena, cioè la neve asciutta e farinosa, c’era la mola che era la neve bagnata e pesante dell’autunno . . .».
Carlo, il Down, affezionatissimo alla madre, descritto con pochi teneri tratti ( quel suo ripetere infantile le ultime parole di una frase, quel suo restar bambino, seppur autosufficiente, per forza di cose, orfano del padre), incontra in maniera fortuita e stravagante il settantaquattrenne Nicola, abbandonato dalla compagna, in possesso di un’auto antidiluviana per età, addolorato di aver perso l’ultimo lavoretto di Babbo Natale davanti ad un centro di vendite, dove avrebbe avuto il compito, non ottemperato, di attirare clientela di bambini ai fini commerciali.
Carlo crede, ingenuamente, a Babbo Natale e quindi spera che Nicola abbia il potere di far avverare il sogno di un vero regalo per la madre. Contagiato dal suo entusiasmo, Nicola organizza un breve viaggio per realizzare il sogno dell’uomo/bambino. La sua malandata Fiat 124 si allontana da Padova, sotto l’imperversare della tempesta di neve e, dentro il gelido abitacolo due uomini soli e abbastanza incoscienti riscoprono il valore sublime di un abbraccio.
«La gente dice sempre: “Un abbraccio, ti abbraccio”, ma poi nessuno si abbraccia mai per davvero . . . Io vorrei vivere abbracciato!».
E noi vorremmo più libri di questa finezza, capace di commuoverci, senza leziosità. In epoca in cui la letteratura è cupa, labirintica, alla ricerca di colpi di scena, il padovano Matteo Righetto, classe 1972 sa farci sognare con intelligente semplicità.
Il suo «La pelle dell’ orso» è diventato un film interpretato da Marco Paolini, per la regia di Marco Segato, ed è uscito nelle sale a novembre 2016. I suoi libri sono tradotti in inglese e francese. E siamo certi che una luminosa carriera lo attenda con un caldo abbraccio. 


Grazia Giordani




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