Mese
di maggio 2018
S’inchiostra
un ghirigoro
di
Angela Caccia
Scende
in picchiata
dalla
grondaia al roseto
– areata
la sala cercherà
paglia
per ristrutturarla –
si
guarda attorno
quant’è
invitante il giorno…
s’accende
a neon come una volta
lento
e molle
passo
a passo l’alba s’è ritratta
guidata
sino la porta dal primo
abbozzo
di raggio.
Pista
libera
la
tentazione è grande
s’inchiostra
un suo ghirigoro
pastella
il cielo di maggio
vanesia
sa
che dai vetri la punto
il
volo libero
l’ampiezza
di quell’abbraccio
lo
segue la mia illusione
di
starle sul dorso.
Da Il
tocco abarico del dubbio (Fara, 2015)
Danza
di
Piera Maria Chessa
Vedo
le rondini
volare
sui tetti,
sento
il loro canto
vicino,
ne
seguo con lo sguardo
il
cammino.
Guizzano
leggere
nell'aria
riempiendo
di voci
il
cielo azzurro
di maggio.
Dietro
i vetri
una
nonna
osserva
incuriosita
la
loro danza.
Questa
fine di maggio
di
Maria Allo
Raggi
innaturali sfavillano sui tetti.
Non riconosco questo potere cieco
di aria inchiodata sulle tempie
che goccia a goccia pietrifica l’attesa.
Lo spazio risuona senza fiato
tangibile come l’urlo che mi tiene
ad ogni ora o la mia carne che brucia
ad ogni stagione.
Questa fine di maggio senza sole
come certe cose iniziano e non hanno fine
libere al vento è crollo di sogni
che nascono e si spengono tra le rovine.
Mi manca il mare e prendo atto
del tempo che mi resta da percorrere
nella vita che mi è data vivere.
Silenzio e perdita in questa primavera
abbandonata tra le tue braccia
che affiorano sulle mie spalle mute.
Non riconosco questo potere cieco
di aria inchiodata sulle tempie
che goccia a goccia pietrifica l’attesa.
Lo spazio risuona senza fiato
tangibile come l’urlo che mi tiene
ad ogni ora o la mia carne che brucia
ad ogni stagione.
Questa fine di maggio senza sole
come certe cose iniziano e non hanno fine
libere al vento è crollo di sogni
che nascono e si spengono tra le rovine.
Mi manca il mare e prendo atto
del tempo che mi resta da percorrere
nella vita che mi è data vivere.
Silenzio e perdita in questa primavera
abbandonata tra le tue braccia
che affiorano sulle mie spalle mute.
Sera
di maggio
di
Michael Santhers
Stanziale l'assiuolo
su rudere pagato a topi
e migrante atteso il cuculo
in lingue diverse
con tuniche di nera seta
si spartiscono alberi e presagi
e l'usignolo fa da interprete
-Giudice obeso la luna
appisolata sul campanile
russa rintocchi e biascica
e testimoni le stelle ravvivate
da numeri a some d'additi
inseguiti da nasi
e lo scoiattolo ruba calore alle tegole
giacigli di sogni a zonzo
mentre le rose si sfidano a profumi
e vince chi fa aprire più finestre
ma da quella al terzo piano che spero io
solo un lampo di luce dietro una tenda
a capelli alati restii al volo
e fredda pioggia mimata da un secchio
sul mio cuore
Da:Sorrisi Pignorati
Mese
di maggio
di
Renzo Montagnoli
Nei
giorni che il sole
più
incede nel suo cammino
e
nell’ora che lento s’accommiata
in
quella quiete d’aria
che
introduce alla sera
chiama
la campanella
per
le orazioni dedicate alla Madonna.
E
allora s’affrettano i fedeli
stringendo
il rosario in pugno.
c’è
chi da il via e a seguire tutti altri
mentre
le dita corrono sui grani
e
le labbra sommesse mormorano.
Un
volo d’airone taglia il cielo
le
rane gracidano nei fossi
la
luce si tinge di rosso
poi
incupisce
e
alla prima stella
che
timida s’affaccia
trovano
le dita l’ultimo grano.
La
preghiera è già finita.
Da Il
mio paese
La
Leggenda del Piave
di
E.A. Mario
Il
Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...
Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
«Non passa lo straniero!»
Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento...
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!
S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:
«Ritorna lo straniero!»
E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame...
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora...
«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti,
«Mai più il nemico faccia un passo avanti!»
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
«Indietro va', straniero!»
Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento...
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti...
Infranse, alfin, l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi... Libere le sponde...
E tacque il Piave: si placaron l'onde...
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...
Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
«Non passa lo straniero!»
Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento...
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!
S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:
«Ritorna lo straniero!»
E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame...
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora...
«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti,
«Mai più il nemico faccia un passo avanti!»
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
«Indietro va', straniero!»
Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento...
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti...
Infranse, alfin, l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi... Libere le sponde...
E tacque il Piave: si placaron l'onde...
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!
Sonetto
di maggio
di
Maria Teresa Santalucia Scibona
A
Renzo Montagnoli, amico
insostituibile
Quando
il sonno cala sull’umano
giaciglio, e
con lieti sogni riscatta
i
crucci del quotidiano,
la
luna assonnata sbadiglia.
La
rosa vermiglia,
per
il giorno sepolto,
invoca
sdegnosa, il chiarore
rosato
del mattino.
Gravita
nella notte fonda,
un
silenzio inafferrabile,
adamantino.
Tacciono
le dalie accasciate,
un
silente interludio aleggia
sovrano,
nel giardino.
Da Le
rotte del vento (Raffaelli, 2014)
Il
fiato di maggio
di
Aurelio Zucchi
Gradevole,
il tocco del tramonto
sul fianco spettinato di collina.
Pur assillante, il fiato di maggio
non ha scalfito l’attesa del rosso.
sul fianco spettinato di collina.
Pur assillante, il fiato di maggio
non ha scalfito l’attesa del rosso.
Ed
è solo vento, intrepida brezza,
questo fruscio che spagina l’aria,
dimena le gote e l’ora confonde
senza riuscire a minare il cuor.
questo fruscio che spagina l’aria,
dimena le gote e l’ora confonde
senza riuscire a minare il cuor.
Si
offendono le nuvole
di
Tinti Baldini
Si
offendono le nuvole
oggi di maggio
cupe sul promontorio
E Portofino bassa
s’inquadra
inalterata
di gabbiani di sempre
urlanti
come infanti
in vana attesa
di nanna
Il filo d’orizzonte
confuso
spinge
il poeta
a navigare
per lidi antichi
in speranza
Barche colorate
sanno di fango
alghe e mare
Gatti di Camogli
lasciano orme
sole
e reti lasciate
colgono sassi
oggi di maggio
cupe sul promontorio
E Portofino bassa
s’inquadra
inalterata
di gabbiani di sempre
urlanti
come infanti
in vana attesa
di nanna
Il filo d’orizzonte
confuso
spinge
il poeta
a navigare
per lidi antichi
in speranza
Barche colorate
sanno di fango
alghe e mare
Gatti di Camogli
lasciano orme
sole
e reti lasciate
colgono sassi
Viene
voglia
di indossare ombrello
e nuotare
nuotare
nuotare
di indossare ombrello
e nuotare
nuotare
nuotare
E
poi le rose
di Cristina
Bove
E
poi le rose
dai toni
più profondi a quelli chiari
rose nelle
spirali dei miei giorni
rose di
cui si veste il mio pensiero
e sulle
labbra petali vermigli
sangue che
scorre profumato e lento
per offrirsi
alla vita
tra le
spine
e tra
le spine il mio fiorire ancora
rosa d’inverno
che resiste al gelo
splendo di
nuovo a maggio
ancora vivo
in questa
sorprendente primavera.
Da Il
respiro della luna – Il Foglio, 2008
Villino
della flanella (maggio 1927)
di
Tiziana Monari
Tra
il glicine e la belladonna fiorita
vivo
di pietra e calcina
brillava
nel vento d’autunno il villino
lassù
dove si vendeva l’amore,dove la fiamma si perdeva nel buio
e
c’erano uomini col sigaro spento tra i denti
donne
con pelle di luna, il corpo offerto a lubriche voglie
salamandre
attardate in uno squarcio di sole
sirene
immolate ad un eterno canto d’Ulisse
si
faceva l’amore al villino
nell’aria
sgombra d’aprile, nelle burrasche di un ottobre inoltrato
si
assaporava l’acqua dolce del rivo, il languore dell’estate
randagia
il
caos inquieto di impotenze perdute.
E
nel buio Marì sognava l’infrazione del male
sognava
di fuggire sul carro del sole
e
nella dolcissima agonia di dicembre
vestiva
d’oro il suo corpo gemente nel commiato finale
ogni
giorno vedeva cadere la neve sui bisbigli dell’anima
sul
cuore diventato di pietra
e
di notte contava il ricordo di un amore lontano
di
un bacio rubato in un giardino di rose.
La
trovarono nel silenzio ondulato di maggio
le
briglie spezzate, un pugnale conficcato nel cuore
allungata
in un’ombra vestita di bianco
sul
comodino un fiore d’arancio
un
biglietto dove chiedeva perdono per essere stata una lucciola
per
aver brillato di una luce non sua
la
luna mandava bagliori d’argento sul suo corpo da sfinge
sugli
occhi che fissavano il vuoto
la
faccia cadente di un cielo lontano.
bello, questo mese di maggio.
RispondiEliminagrazie
cri
Una più bella dell'altra. Complimenti!
RispondiEliminaGio
Ed ora, dopo averle lette e gustate tutte, rimango in silenzio in compagnia dell'emozione che mi è rimasta addosso. Ogni testo mi ha donato qualcosa, ognuno con le sue peculiarità.Testi diversi tra loro ma con un unico denominatore comune.
RispondiEliminaGrazie, Renzo.
Piera