Lucrezia Borgia
di Maria Bellonci
Introduzione di Alcide Paolini
In copertina: Bartolomeo Veneto, Flora (Part.)
Presunto
ritratto di Lucrezia Borgia, Francoforte Stadelsches
Kunstinstitut
Arnoldo Mondadori Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 625
ISBN 9788804451013
Prezzo € 11,00
Un
grandioso affresco rinascimentale
Corre l’anno 1939 quando esce in lingua italiana,
per i tipi della Mondadori e in lingua inglese per i tipi della Phoenix, Lucrezia
Borgia, un’ampia ed esauriente biografia che va dal 1492, allorché il
padre Rodrigo viene eletto pontefice, alla sua morte, avvenuta nel 1519,
probabilmente per setticemia. Si tratta di un’opera monumentale, frutto di un
lungo periodo di ricerche nei più svariati archivi, ed è la prima di Maria
Bellonci, un esordio clamoroso, visto il successo da subito incontrato, e che
fra l’altro le valse il Premio Viareggio, e la sua diffusione in moltissimi
paesi del globo. Già da allora si delineava chiaro lo stile di questa storica e
narratrice piemontese, uno stile che, pur non scostandosi dalle risultanze
emerse dai carteggi, non solo non è mai greve, ma addirittura avvincente, tanto
lega il lettore al filo del discorso con una continuità che non viene mai meno,
con un ritmo per lo più incalzante che lascia tuttavia lo spazio per ponderate
riflessioni e per pagine più quiete, in cui si sviluppa un linguaggio di
soffusa poeticità che dà respiro a un lavoro innegabilmente complesso. In buona
sostanza Maria Bellonci è in grado di narrare la storia, intessendo una trama
senza voli di fantasia, se non per le personali considerazioni in ordine ai
vari protagonisti. Che Lucrezia Borgia
di per sé sia un personaggio di estremo interesse è fuor di dubbio ed è stata
vista dagli storici via via come diabolica avvelenatrice, soprattutto per quelli
che all’epoca trovavano vantaggiosa questa definizione, oppure come fanciulla
infelice perché piegata alla ragion di stato, fondamentalmente innocente, ma
purtroppo succube del padre e del fratello Cesare. Al primo, come scrive Maria
Bellonci, somigliava nel suo modo gioioso
d’aver fede in tutte le promesse del futuro; ma si può anche aggiungere che
ne era la figlia anche per una innata carnalità, di cui tuttavia all’epoca
nessuno si meravigliava; abile nel condurre anche una signoria, differiva dal
genitore e dal fratello in quanto immune da una smania di grandezza volta a
costituire uno stato dominato dai Borgia, anche in danno della Chiesa stessa. E
per far questo, non esitavano a ricorrere alle arti diplomatiche per legare,
tramite uno sposalizio, questa o quella signoria, così come utilizzavano metodi
più spicci, come l’eliminazione fisica di un avversario, pratiche entrambe che,
tuttavia, erano in quel periodo storico assai diffuse. A questo punto è
indubbio doversi chiedere chi in realtà sia stata Lucrezia Borgia? Fra
accusatori e difensori dei Borgia Maria Bellonci si pone in una prospettiva
diversa, come appunto risulta da alcune righe di una Nota generale posta al
termine dell’opera. Scrive: Scrivendo
questa storia, ho inteso non tanto di rifare il secolare processo ai Borgia,
quanto di rappresentarli nel loro modo quotidiano, caldo e naturale di stare al
mondo, in una prospettiva umana di individui, non mostruosa di criminali. E
poiché ho preso a narrare particolarmente di Lucrezia Borgia, aggiungerò che
ella è stata di tutta la famiglia la più maltrattata, e dagli accusatori e dai
paladini: un vero destino da donna.
E’ così che, se Rodrigo e Cesare Borgia sono
particolarmente invisi – ma come ho scritto prima il loro comportamento era
diffuso all’epoca - , a Lucrezia per il solo fatto di essere donna e di quella
famiglia vengono da un lato attribuiti i più nefasti crimini e dall’altro
invece la si evidenzia come una succube, un essere privo di personalità,
appunto a conseguenza del suo essere femmina.
Non era né l’una, né l’altra, era invece un essere
pieno di vitalità che nella sua esistenza ebbe da scontare quella parentela che
tanto spaventava, perché le mire di Cesare, sostenute da suo padre, non erano
limitate territorialmente, ma abbracciavano idealmente l’intera Italia.
Maria Bellonci è riuscita in un difficile compito,
cioè rendere giustizia alla storia e allo stesso tempo alla dignità di una
donna che aveva l’unico torto di appartenere alla famiglia Borgia.
In una narrazione senza respiro, minuziosa nei
fatti come nelle descrizioni dei personaggi e
delle atmosfere, emerge la figura di una donna che in pratica ebbe a
conoscere un po’ di felicità solo dopo la scomparsa del padre ed il crollo dei
sogni di conquista del fratello. Lei che fu sposa, per breve tempo, di Giovanni
Sforza ( i due non si amavano) e poi del duca di Bisceglie, il suo primo
autentico amore, ucciso dai sicari di Cesare - il che potrebbe avvalorare le
voci di un loro rapporto incestuoso, ma sono solo mere supposizioni, perché di
certo non vi è nulla di concreto – troverà la pace e l’appagamento come
donna nel rustico, ma suo modo fascinoso
Alfonso d’Este. Ferrara diventerà per lei la seconda patria e piano piano
riuscirà, se non a farsi amare, almeno a farsi rispettare dai suoi cittadini.
Quanto alla tresca con il cognato Francesco Gonzaga
viene di molto ridimensionata, nel senso che se si trattò di vera attrazione
(lei bellissima, lui non bello, anzi bruttino, ma dotato di una particolare
personalità) il tutto si risolse in una schermaglia amorosa di tenore
platonico, all’epoca peraltro molto in voga.
Grazie alle ricerche e ai documenti reperiti negli
archivi, di Lucrezia si viene a sapere pressoché tutto: dei favolosi vestiti
che indossava, della sua preziosa collezione di monili d’oro e di pietre
preziose e perfino dei componenti la sua corte personale.
Fra guerre combattute e battaglie diplomatiche
emergono, escono dall’ombra, per poi infine ritornarvi, personaggi famosi, come
l’Ariosto, il Bembo, lo Strozzi, tutti letterati che le corti cercavano di
attrarre e che Lucrezia annoverò fra i suoi frequentatori.
Ebbe molti figli, fra cui l’erede al ducato, ma i
parti sfibrano, stancano una donna, la indeboliscono e così a 39 anni, alla sua
ottava gravidanza, ebbe un parto prematuro; la bimba sopravvisse, la madre penò
ancora due giorni fino a esalare l’ultimo respiro. E qui Maria Bellonci si
supera, con le ultime righe che raggiungono vertici sublimi. Lucrezia rivede la
sua vita, la sua partenza da Roma per Ferrara:
Forse a questo rombo che sembra
arrivare da un tempo remotissimo, da un’eternità umana, con una voce che ha
tanto di magia quanto di antica incuorante serenità, i terrori finivano di
sbandarsi per dar luogo ad una stanchezza lunga, filata, vicina alla pace. Era
venuto il momento di non aver più paura. Lucrezia guardava in viso suo padre
come al momento della loro separazione, quel nevoso mattino d’Epifania. E come
allora sospirò appena, quando qualcuno disse che bisognava partire.
Ecco, senza volerne fare un’eroina, non vorrei che
l’epitaffio dicesse Qui giace Lucrezia,
sposa e madre esemplare, ma semplicemente Qui giace Lucrezia, che amò la vita senza toglierla ad alcuno.
Il libro è sicuramente stupendo, un grandioso
affresco rinascimentale dipinto con mani sapienti ed equilibrate.
Maria Bellonci, di origini piemontesi, nacque a Roma nel 1902 ed
esordì nel 1939 con Lucrezia Borgia, che vinse il premio Viareggio.
Insieme al marito Goffredo diede vita nel 1947 al premio Strega. Tra i suoi
libri: Segreti dei Gonzaga, Pubblici segreti, Tu vipera
gentile, Marco Polo. Rinascimento privato esce nel 1985, l 'anno precedente la
morte dell'autrice.
Recensione
di Renzo Montagnoli
Molto bella questa tua recensione, e non lo dico per dire. Il libro non l'ho letto, ma tu come sempre, m'invogli.
RispondiEliminafranca