Il
seminarista
di Luisito Bianchi
Sironi Editore
Narrativa romanzo
Collana Indicativo presente
Pagg. 224
ISBN 978-88-518-0220-2
Prezzo € 16,00
La vocazione e la
Resistenza
“ La sofferenza del mondo stava
identificandosi con la sua sottana e la sua sottana con Dio e Dio con la
sofferenza del mondo. Il cerchio si chiudeva, senza possibilità di scappatoie.
Lui non sapeva chi era Dio ma non c’erano dubbi che Dio lo poteva trovare solo
nella sofferenza del mondo. Lui non sapeva che significasse farsi prete, ma era
altrettanto certo che, senza la sofferenza del mondo, non c’era nessuna ragione
per farsi prete.”
Scritto nella prima metà degli anni ’70, come testimoniano le
agende che riportano la prima stesura, e fino a poco tempo fa inedito, Il
seminarista è pubblicato, in accordo con il “Fondo Luisito Bianchi”
della Fondazione Dominato Leonense, dall’editore Sironi, senza che siano state
apportate modifiche, così com’è nell’ultima versione dattiloscritta e letta da
Luisito Bianchi, purtroppo scomparso agli inizi dello scorso anno.
Dall’autore di quel capolavoro che è La messa dell’uomo disarmato
non mi sarei aspettato un’opera di così elevato valore, proprio perché i
capolavori, in quanto tali, sono quasi sempre unici nella produzione letteraria
di un autore.
Pertanto, dubitare, prima di aprire il libro, della sua elevata
valenza mi era apparso quasi logico, addirittura scontato, perché mai e poi mai
avrei pensato che un romanzo antecedente a quello stupendo sulla Resistenza
potesse essere così bello, travalicando le normali attese per un testo che, dal
titolo, avrebbe potuto solo far pensare alla descrizione della vita in un
seminario.
Invece, per quanto l’ambientazione sia proprio in una scuola per
preti, si va ben oltre il significato di una semplice vocazione, si corre
incontro al dilemma che sorge nel protagonista dopo l’8 settembre del 1943 fra
la fedeltà a una chiamata spirituale e l’impellente necessità di essere
partecipi dell’evento storico e unico della Resistenza dalla parte di coloro
che lottano per alti ideali di giustizia.
Nel personaggio principale si colgono i riflessi dell’autore,
dell’esperienza maturata nel periodo, ma il romanzo non può essere considerato
autobiografico (il protagonista è di fantasia, il paese natale e di residenza
non è Vescovato, la vicenda stessa e la sua conclusione sono frutto di
creatività), bensì il risultato di una scelta travagliata che in coerenza a
essa segnerà il percorso terreno di Don Luisito Bianchi fino alla morte.
Vi può essere una giustizia divina, nel “dopo”, senza che esista
anche una giustizia terrena? Un sacerdote può conciliare la dedizione
spirituale, astraendosi dal mondo, come un pastore che non corre a difendere il
suo gregge quando questo viene assalito dal lupo?
E così un ingresso in seminario di un ragazzino, avvenuto senza
ponderazione, quasi per gioco, è l’occasione per la ricerca di un’autentica
vocazione costellata da dubbi, da ripensamenti, e questo in uno dei periodi più
tragici della nostra storia, quello che va dalla vigilia della seconda guerra
mondiale fino alla Liberazione.
La descrizione della vita in seminario è quella di una scuola
militare, dove la forma prevale sulla sostanza, ma l’ironia dell’autore tende a
smussare gli spigoli, a non rendere
monotematica e arida la narrazione, con una levità encomiabile. E ai tempi bui,
quali quelli della guerra, prima incombente e che poi esplode in tutta la sua
drammaticità, l’autore contrappone
splendide descrizioni della natura, con pagine di autentica elevata prosa
poetica. Non c’è un personaggio fuori posto e per tutti, nessuno escluso, si
respira una vena di commossa simpatia.
Non mancano i turbamenti dell’età adolescenziale, che appaiono del
tutto naturali come sono l’attrazione per il bianco collo delle ragazze, per i
capelli, per il loro modo di parlare, non molti accenni, ma tali da non passare
inosservati, pur se trattati in punta di penna.
Così, pagina dopo pagina, assistiamo alla maturazione del
protagonista, al suo atroce travaglio interiore fra dedicarsi solo a Dio o
imbracciare un’arma andando fra i partigiani, e come in una sinfonia, il
crescendo, soprattutto finale, rende in modo splendido la tensione che corre
sotto quella veste nera, fino a quando, più per reazione istintiva a un atto di
violenza gratuita che per completa convinzione, prenderà la decisione, e qui la
narrazione è così intensa e sublime che ho ultimato la lettura con le lacrime
agli occhi.
Non aggiungo altro, perché cosa si può dire ancora di un’opera d’arte
che parla di per se stessa, che scende poco a poco nell’animo e si trova un
angolino, piccolo, ma strategico, accanto al cuore?
Ci mancherà Luisito Bianchi, e a me mancherà moltissimo, ma resta
il ricordo e, soprattutto, oltre a un esempio di vita basata sulla gratuità,
rimarranno le pagine dei suoi libri, di cui questo è l’ultimo, ma solo in
ordine di tempo, perché quanto a qualità, a contenuti e a piacevolezza non è
certo inferiore a La messa dell’uomo
disarmato, e per chi ha apprezzato questo capolavoro dico solo che queste
due opere sono fra le poche, in ambito letterario, capaci di scuotere le
coscienze infondendo tuttavia un senso di profonda serenità.
Luisito Bianchi è nato a Vescovato (Cremona) nel 1927,
è stato ordinato sacerdote nel 1950 ed è morto nel 2012. Con Sironi ha
pubblicato il capolavoro La messa dell’uomo disarmato (2002), Come un atomo sulla bilancia (2005), I miei amici. Diari (2008), Le quattro stagioni di un vecchio lunario (2010).
Recensione
di Renzo Montagnoli
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