Colazione con i Modena City Ramblers
di Milvia Comastri
Historica Edizioni
Narrativa raccolta di racconti
Pagg. 102
ISBN 9788896656433
Prezzo € 12,00
Sensibilità
e delicatezza
“La canzone
cessò, lasciando echi di una dolcezza struggente.
Rimasero
ancora abbracciati, ondeggiando leggermente.
Il ragazzo
capì che era arrivato il momento di dirle della nave che fra poche ore lo
avrebbe riportato a casa.
La ragazza
si ricordò di una frase che le diceva sempre la nonna: che i sogni muoiono
all’alba.”
(dal racconto I’m in the mood of love)
I racconti non hanno un grande successo di vendite
nel nostro paese ed è un vero peccato, perché per loro natura (sono
notoriamente più brevi di un romanzo) si possono leggere velocemente, anche
nella pausa lavoro, e hanno il notevole pregio di portare una storia compiuta,
cioè che nasce, si sviluppa e finisce, il tutto in poche pagine. Come per la
narrativa più lunga se ne trovano di buoni e meno buoni, e fra i primi metterei
quelli di questa nuova raccolta di Milvia Comastri.
Sono dieci prose, alcune delle quali piuttosto
brevi, che, fra i tanti pregi, hanno anche quello di presentare storie non
campate in aria, ma assai plausibili. In ogni caso va dato l’ulteriore merito all’autrice di portare
alla ribalta personaggi non certo eroici, spesso umili, vittime sovente di una
condizione imposta da una società classista, quale la nostra. Il tutto viene
porto al lettore con delicatezza, senza imposizioni, e venato da un’accentuata
sensibilità che smorza i toni eccessivi, amplifica la bontà dei sentimenti,
lascia sempre uno spiraglio di speranza e, quando questo proprio non c’è, è
solo perché la vita ha delle ineluttabilità a cui è impossibile opporsi.
In queste storie si passa dall’infermiere del
reparto pediatrico-oncologico al giovane pescatore che, suo malgrado, va a
lavorare in terraferma, dal libraio che la grande distribuzione gli impedisce
di continuare a lavorare a un amore perso e poi ritrovato.
Si potrebbe dire che ce n’è per tutti i gusti e che
le trame sono così variegate che è impossibile che non riescano ad accontentare
tutti i lettori, perché c’è sempre la possibilità di imbattersi in qualcosa che
si gradisce meno, ma è compensata da ciò che piace di più.
Personalmente quelli che mi sono piaciuti
maggiormente, anzi che mi sono piaciuti tanto, sono Antonio e l’odore del mare e I’m
in the mood for love.
Nel primo c’è un ambiente che si trova
frequentemente negli scritti di Milvia Comastri, quel mare che è simbolo di
libertà, e come tale difficile da mantenere, spesso da conquistare. Antonio e l’odore del mare poi introduce
discorsi di ordine sociale, di disoccupazione, di lavoro ingrato, ma c’è anche
una speranza, con quella scena di Antonio e di Amid, un immigrato marocchino,
seduti all’ultimo piano dell’edificio in costruzione per la pausa pranzo e che
guardano lontano, un orizzonte in cui si indovina il mare, un mare
personalizzato per entrambi.
I’m in the
mood for love è il racconto breve,
semplice, ma struggente, di un breve incontro, di una parentesi d’amore che si
apre e si chiude quasi in un battito di ciglia, con i due protagonisti che
sanno che non potrà durare, ma che si abbandonano a un ultimo scambio di
affetto come solo due ragazzi, nel corso di una guerra, sanno fare, per vincere
la paura, per riprendere la speranza in un domani, anche se questo li vedrà
separati.
Vi assicuro che questo racconto è stupendo, con
un’atmosfera tenue ricreata in modo magistrale, poche pagine che da solo
valgono l’intero libro, tanto sanno farsi cogliere dal lettore.
In ogni caso, il mio consiglio è che acquistiate Colazione con i Modena City Ramblers,
perché merita, perché lì la banalità di non pochi autori moderni è bandita e
anche perché ritrovare i sentimenti più belli porta a un etereo senso di
serenità.
Bolognese, Milvia Comastri è autrice di “Donne,
ricette, ritorni e abbandoni” (Pendragon), una
raccolta di racconti che hanno vinto diversi concorsi letterari. Questo è il
suo secondo libro.
Intervista a Milvia Comastri, autrice
della raccolta di racconti Colazione con
i Modena City Ramblers, edito da Historica
Sono passati sette anni dall’uscita di Donne, ricette, ritorni e abbandoni,
un’altra raccolta di racconti edita da Pendragon, e che io ho avuto occasione
di leggere nella primavera del 2006, formulando un giudizio positivo,
estrinsecato nella recensione che è possibile leggere qui. In quella circostanza ebbi a evidenziare che si trattava
di vicende spesso semplici, narrate con garbata partecipazione, una
caratteristica dell’autrice che è possibile ritrovare anche in questo nuovo
libro. Insomma, non c’è bisogno di storie astruse, spesso tirate per i capelli,
per rendere gradevole e avvincente la lettura, perché quel che più conta è una
freschezza di stile che mai appesantisce, riuscendo anche a colpire con
immediatezza. Là mi aveva impressionato in particolar modo Il compleanno di Amalia Gargiulo; qua, invece, è un racconto
brevissimo che mi è rimasto dentro nonostante il titolo non proprio italiano: I’m in the mood for love. Belle anche
queste nuove prose, ma mi chiedo, o meglio ti chiedo: perché non scrivere un
romanzo, magari prendendo spunto da una di queste storie?
Già… sette anni. Un lungo intervallo di
tempo dalla prima pubblicazione. E dire che di cose, nel cassetto, ne ho. Molti
racconti, ma non solo. Ma rimangono lì, in attesa. Per ora, almeno.
Racconto storie semplici, dici. Credo
che tu abbia ragione: spunti di narrazione li colgo spesso da frammenti di
discorsi ascoltati sull’autobus, dall’espressione che mi pare di leggere in una
persona incontrata per caso, da spizzichi di conversazioni al cellulare, su un
treno. Attimi di vita di gente comune, di uomini e donne come me, insomma. E
dopo, parte l’immaginazione.
Credo anche che il racconto, proprio
per la sua forma breve, non possa addentrarsi in storie troppo complesse: una
storia complessa, mi vien da dire, si troverebbe a disagio, in un racconto,
come una balena stretta fra le rive di un fiume. Ma, forse, è questione di
capacità, e un bravo… allevatore di balene,
non avrebbe problemi a far vivere
felicemente il suo cetaceo anche in un piccolo fiume. Non so, può essere che
sia io, a non saper racchiudere una storia complessa in un racconto.
Chissà perché proprio quel brevissimo
I’m in the mood for love, ti è rimasto in testa? Noto, nonostante il tuo
apprezzamento per il testo, un lieve disappunto per la scelta del titolo, che è
in inglese: ed è il titolo, come sai, di una vecchia canzone. Perché, ora te lo
dico, fra le fonti di ispirazione che ho precedentemente citato, ce n’è anche
un’altra, ed è la musica. Avrai notato che in più di un racconto vengono citati
titoli o brani di testi di canzoni, e, d’altra parte, il titolo stesso della
raccolta propone il nome di un gruppo musicale che, fra l’altro, è uno dei miei
preferiti nel panorama musicale italiano. Così, un giorno, ascoltando I’m in
the mood for love, ho immaginato un ragazzo e una ragazza mentre stavano
ballando. Ecco tutto.
Ho scritto, prima, che ho molte cose,
rinchiuse in un cassetto. Molti racconti, è vero. Ma anche un romanzo. E così
rispondo alla tua domanda. Sì, il romanzo c’è. Incompleto, per ora, e mi
vergogno un po’ per non averlo ancora finito, visto che l’ho iniziato nel 2005.
Però, dopo un lungo periodo di stasi, ora, pian piano, sta andando avanti. Ha
anche un titolo: Isole, si chiama. E la storia, questa volta, non è semplice: è
una saga famigliare, tre generazioni di donne, ognuna con il proprio segreto,
ognuna chiusa nel proprio isolamento. Queste donne io le amo, anche se nessuna
di loro mi assomiglia. O forse, no, forse, qualcosa di me lo hanno tutte. Devo
proprio finirlo, questo romanzo.
Non è solo questione d’ispirazione, ma
di trovare il giusto tempo per mettere nero su bianco quello che aleggia nella
mente. Ti capisco, perché capita anche a me, che in questo periodo ho tante
idee, ma riesco a concretizzare ben poco. Quando parlo di storie semplici non
intendo dire che possano apparire banali; al riguardo di banalità ce n’è anche
troppa in giro e ad opera anche di autori di una certa caratura. Osservare la
vita, le persone aiuta a mettere a fuoco atteggiamenti, anche comuni, ma che
assumono di volta in volta le caratteristiche di ogni individuo e per questo mi
piacciono le tue storie, così normali e al tempo stesso così originali, e poi
il tutto sta nel come vengono raccontate, nei punti che si intendono
evidenziare e in quelli che si vogliono sfumare. E’ una questione di equilibri
e nel libro ci sono.
Ricorrono alcuni sfondi fondamentali,
quali la musica e anche il mare, e questi sono peculiari dell’autrice.
L’inserimento di alcuni versi di canzoni, secondo me, non ha solo la funzione
di un motivo di supporto al discorso, ma credo che il ricordo della relativa
musica sia un valido aiuto nello svolgimento del tema, insomma una fonte,
mediata, d’ispirazione. E’ così?
Lo so che con “semplice”, non intendi
banale. Una delle mie paure, quando scrivo, è proprio di scivolare nella banalità
(e anche di essere patetica).
Sono contenta, poi, che tu trovi
equilibrata la struttura dei miei racconti. Evidenziare e sfumare non è facile,
e si rischia, se non si usano le giuste dosi, di rendere incomprensibile al
lettore la narrazione (come accade per una ricetta, la giusta dose dei
componenti è indispensabile). E anche non raggiungere un giusto equilibrio è
una delle mie paure, quando scrivo (e anche quando cucino…)
Hai perfettamente ragione quando dici
che la musica, nei miei racconti, non è un supporto alla scena. Non è, infatti,
una semplice colonna sonora della storia. Direi che, quasi sempre, è il
contrario. La musica, che amo in quasi tutte le sue espressioni, mi evoca
immagini, ricordi personali, emozioni. Certa musica, certe canzoni, mi rendono,
come dire… creativa. E così, come è accaduto con I’m in the mood for love, è
dalla musica che nasce il racconto. Anche se poi, il racconto, non ha niente a
che fare con il testo della canzone.
Guarda, io non potrei stare senza
leggere, leggo libri da quando avevo sei anni, e da allora non è mai
praticamente trascorso un solo giorno senza che abbia letto almeno qualche
pagina di un libro. Però, sai, se dovessi scegliere fra non poter più leggere,
o non poter più ascoltare musica… mah, non sarebbe una scelta facile. Sarebbe
difficilissima, in verità. Ma spero proprio di non dovermi mai trovare davanti
a una simile scelta.
Un altro sfondo è costituito dal mare,
che probabilmente è visto come infinito spazio di libertà. Lo è per Antonio e
lo è per Davide, protagonista di Libri
sull’acqua, il racconto più lungo della raccolta. Ma sarebbe troppo
semplice definirlo così e allora ti chiedo che cos’è per te il mare?
“Il mare, è la voce del mio cuore…”
cantava, in un vecchio Festival di San Remo, il mio concittadino Giorgio
Consolini, recentemente scomparso. Non so se davvero il mare sia la voce del
mio cuore. Il mio cuore ha molteplici voci, vibra per diversi elementi legati
alla natura. Ma, in due cittadine di mare, ho trascorso più della metà della
mia vita: a Fano, nella primissima infanzia, e a Igea Marina, per trentaquattro
anni della mia vita da adulta. “E qualcosa rimane, fra le pagine chiare e le
pagine scure…” (altra citazione canora, da me molto più amata della precedente)
del tempo. Rimane, come tu dici, l’idea di infinito spazio di libertà, rimane
l’odore, rimangono i colori che mutano in sintonia con il cambiamento del
colore del cielo. Per anni ho pensato che mi sarebbe piaciuto vivere su una
barca (“e navigando con le vele tese, io sempre cercherò il mio orizzonte”:
autocitazione, questa). Oggi non so. Oggi, che ho ripreso a vivere in città, ho
scoperto come può essere pacificatore e terapeutico sedersi sulla riva di un
fiume, o camminare in un bosco. Forse, oggi, il mare, è qualcosa di troppo immenso,
per me.
Sì, forse spazi più raccolti, quando
siano pressoché incontaminati, hanno il pregio di isolare dal mondo e di
nutrire l’anima, in una sorta di simbiosi con la natura che ci circonda e di
cui – non dimentichiamolo – siamo parte spesso prepotente e irrispettosa.
Ho notato una frequente tematica
relativa a donne vessate, e nella migliore delle ipotesi trascurate dagli
uomini, donne che poi riescono a dare una svolta alla loro vita ribellandosi e
troncando un rapporto turbolento, oppure asfittico. Non è per difendere la mia
categoria, ma mi sembra che non siano infrequenti i casi contrari, cioè di
uomini tormentati dalle compagne.
Mi piacerebbe che una volta tanto ci
fosse un racconto in tal senso, se non altro - per dirla con una locuzione
latina oggi tanto di moda – per par
condicio. Non trovi che in questo XXI secolo, pur in presenza di retaggi
maschilisti del precedente, ci possano essere situazioni come quelle da me
sopra auspicate? E in ogni caso, perché la vittima dovrebbe sempre essere solo
la donna?
Domanda interessante, che richiederebbe
una risposta molto lunga e articolata. Ma mi sforzerò di stare in limiti
accettabili.
Solitamente, giudico le persone non
tanto per il genere sessuale di appartenenza, ma, appunto, come persone. Non mi
piacciono troppo le contrapposizioni, gli schieramenti che mettono da una parte
tutti i buoni e dall’altra tutti i cattivi. Ma una considerazione la devo fare:
se è vero che ci sono uomini vessati dalle donne, la loro percentuale è di gran
lunga inferiore a quella delle donne tormentate dagli uomini. Non lo dice solo
la mia esperienza basata su racconti di altre donne, ma lo dicono le
statistiche, quelle che riguardano il femminicidio, per esempio. Penso che tu
sappia che, dall’inizio dell’anno, le vittime accertate di questo crimine
orrendo, sono 56. Donne uccise da uomini, nella maggior parte dai loro compagni
o ex compagni.
I retaggi maschilisti dello scorso
secolo esistono ancora: “o mia, o di nessun altro” è ancora, nel XXI secolo,
una folle concezione su cui molti, troppi uomini, basano il rapporto di coppia.
Poi ci sono le donne vittime di violenze sessuali… E, drammi meno cruenti, ma
sempre drammi, ci sono le donne che più facilmente degli uomini, in questo
periodo di crisi, perdono il lavoro.
E all’elenco di vessazioni nei confronti delle donne, se ne potrebbero aggiungere molte altre.
E all’elenco di vessazioni nei confronti delle donne, se ne potrebbero aggiungere molte altre.
Per fortuna esistono, e spero non siano
pochi, anche uomini splendidi, che le donne le rispettano e non le valutano
come oggetto di appartenenza.
E, certo, esistono donne (la minoranza,
io credo) che gli uomini li tormentano e li vessano. Raramente, però, li
uccidono. E, forse, un giorno scriverò un racconto proprio su di loro. Non
tanto per par condicio, ma per narrare una realtà diversa.
Sì, effettivamente è raro il caso di
donne che uccidono uomini, mentre il contrario è imparagonabile. Io sono sempre
dell’idea che queste prevaricazioni degli uomini sulle donne, frutto di una
mentalità distorta, abbiano origine nella famiglia e in particolare nel ruolo
della madre che, spesso inconsciamente, tende a privilegiare il ruolo del
maschio.
Altro argomento che ti è caro è quello
letterario e un classico esempio è portato da uno dei racconti, Libri sull’acqua, in cui il
protagonista, che fa tanto tenerezza, è un uomo. Potevi mettere una donna, ma
hai messo un uomo, forse uno di quei maschi splendidi di cui accenni nella
precedente risposta.
Al di là di festival letterari e di
fiere del libro, resta un fatto incontrovertibile: si vendono sempre meno
libri. E imputarne la causa alla crisi economica è secondo me molto riduttivo.
I motivi di questo calo, a mio avviso, vanno ricondotti alle famiglie, che
sempre meno inculcano ai figli il piacere e l’utilità della lettura, alla
scuola che presenta gravi lacune, accentuate dalle recenti riforme, e anche a
una progressiva disaffezione, soprattutto dei giovani, per la cultura (è di
questi giorni la notizia che è in diminuzione il numero dei laureati).
Qual’é la tua opinione al riguardo?
Mi fa piacere che tu citi Davide, il
libraio protagonista di Libri sull’acqua, perché è un personaggio che amo
particolarmente.
Così come la famiglia è fondamentale nell’educazione sentimentale e civile di un figlio (ed è purtroppo vero che alcune madri, con il loro privilegiare il figlio maschio producono danni ingentissimi, ma anche i padri, però, non sono da meno, privilegiando le figlie femmine), così ha un ruolo molto rilevante nell’inculcare ai propri figli l’amore per la lettura. Io mi ritengo molto fortunata: se la lettura è diventata, per me, una sorta di fame, e se, anche attraverso la lettura, ho cominciato a scrivere, lo devo a mia madre, che, pur non avendo un alto titolo di studio, leggendomi ad alta voce i suoi autori preferiti, regalandomi qualche giocattolo, sì, ma anche tanti libri, mi ha fatto innamorare del mondo della letteratura (ma anche della musica, e del teatro..).
Così come la famiglia è fondamentale nell’educazione sentimentale e civile di un figlio (ed è purtroppo vero che alcune madri, con il loro privilegiare il figlio maschio producono danni ingentissimi, ma anche i padri, però, non sono da meno, privilegiando le figlie femmine), così ha un ruolo molto rilevante nell’inculcare ai propri figli l’amore per la lettura. Io mi ritengo molto fortunata: se la lettura è diventata, per me, una sorta di fame, e se, anche attraverso la lettura, ho cominciato a scrivere, lo devo a mia madre, che, pur non avendo un alto titolo di studio, leggendomi ad alta voce i suoi autori preferiti, regalandomi qualche giocattolo, sì, ma anche tanti libri, mi ha fatto innamorare del mondo della letteratura (ma anche della musica, e del teatro..).
Però è anche vero che non tutte le
famiglie sono in grado di trasmettere questo amore, e non si può
colpevolizzarle, per questo. Il discorso qui, si farebbe molto lungo, dovrei
parlare del rapporto TV/famiglie, dei tempi ristretti che i membri della
famiglia hanno a disposizione per comunicare fra loro, e altro ancora. Ma non è
questo il luogo.
Pur non sottovalutando il ruolo della
famiglia, credo che debba essere principalmente la scuola a far… come dire… da
Cupido. Non è che a scuola non si legga e non si parli di libri. Ma come lo si
fa? Nella maggior parte dei casi lo si fa male, l’approccio è solo accademico e
noioso, gli autori degli ultimi cinquant’anni sono pressoché ignorati. Tanto è
vero che i libri fatti leggere dagli insegnanti vengono odiati dai ragazzi, che
poi, magari da adulti, se capita loro di riprenderli in mano, ne scoprono
stupiti la bellezza. Si possono forse condannare, questi ragazzi? Non credo proprio.
Non puoi far leggere un libro a un ragazzino e poi obbligarlo a scriverne il
riassunto, o un piccolo saggio. Che poi si sa come vanno a finire queste cose:
una volta lo studente copiava da una enciclopedia cartacea, ora copia e incolla
da Wikipedia… Meglio sarebbe, secondo me, leggere ad alta voce il libro in
classe e poi aprire un dibattito cui, collettivamente, possano partecipare
tutti gli allievi, ma senza obbligo. Leggere insieme un libro avvincente, e,
perché no, interrompere la lettura in classe in un punto particolarmente
interessante, potrebbe indurre i ragazzi a continuare la lettura per conto
loro, non più per dovere, ma per piacere. E potrebbero scoprire quanto è bello
leggere. Mi sto dilungando troppo, ma l’argomento è veramente ricco di
suggestioni.
Forse, comunque, la crisi un poco
c’entra, con il calo di vendita della librerie… I libri costano davvero tanto.
Per il calo del numero dei laureati,
che dire? O un ragazzo si laurea per puro amore del sapere (ammesso che le
Università siano culle del sapere), oppure che spinta può avere a conseguire la
sua laurea? Quella di andare a lavorare in un call center? Son tempi duri,
durissimi. E per i giovani, soprattutto. Che non sono così superficiali e…
fannulloni come li si descrive. La maggior parte ha perduto i propri sogni, e
di questo siamo tutti responsabili.
Io non me la sento di dare la colpa
all’attuale generazione; la vita è un susseguirsi di eventi che finiscono
inevitabilmente per ricollegarsi. Noi siamo i figli di chi, terminata la
guerra, si è rimboccato le maniche e, fra mille difficoltà, è riuscito a
portarci un po’ di benessere, sul quale ci siamo adagiati, e, senza che
portassimo ai nostri figli insegnamenti negativi, non siamo riusciti a far
comprendere loro che questa seppur modesta agiatezza era il frutto di sacrifici
e che nella vita il denaro è sì importante, ma non è il fine della stessa. La
scuola ha una responsabilità relativa, perché gli insegnati attuali sono
cresciuti in quell’assenza di valori che impedisce di far comprendere agli
allievi che la cultura è soprattutto libertà. Come vedi la situazione attuale
trova spiegazioni nel passato, come sempre.
Non è un caso, quindi, se fra i
racconti c’è E una sera se n’è andata,
perché di personaggi così opachi e vegetali se ne incontrano sempre di più. Gli
ideali sono spariti e senza questi non è possibile vivere, se non alla
giornata.
Ma veniamo alle domande
dell’intervista.
Mi sono chiesto - e penso che la stessa
domanda potresti rivolgerla a me – perché mi abbia così colpito un racconto dal
titolo in inglese. La lingua non c’entra niente, anzi nel caso specifico è
necessaria. Ho pensato a lungo e ho concluso che nella sua disarmante
semplicità questo racconto descrive in modo ineccepibile un breve incontro, una
storia del cui esito i protagonisti sono consapevoli fin dall’inizio; eppure ci
credono, si illudono, intendono dare un significato al loro rapporto che va
oltre l’aspetto affettivo, vogliono creare una parentesi di umanità negli
orrori di una guerra, desiderano fortemente che nasca una speranza d’avvenire.
Accettano l’effimero tempo di questa unione come ineluttabile, ma il loro è un carpe diem che li fa tornare alla vita.
Ecco, non so se la mia interpretazione
sia esatta ed è appunto questa la domanda: ho colto nel segno?
Ma neppure io mi sento di dar la colpa
alle nuove generazioni! Ci mancherebbe… Forse qualcosa nella mia precedente
risposta ti aveva fatto pensare che io le condannassi? Se è così, significa
solo che non sono stata chiara.
Sul tuo drastico giudizio sulla scuola
e sugli insegnanti non sono completamente d’accordo. Non tutti gli insegnanti
sono cresciuti con un’educazione priva di valori: credo che molti di loro,
nonostante tutto, facciano il possibile per trasmettere agli allievi le regole
basilari del vivere civile. Purtroppo non è facile, troppi ostacoli da
superare, sul loro percorso.
Ma torniamo ai racconti. Trovo
singolare la tua analisi di “E una sera se n’è andata”. Non credevo di aver
raccontato una storia che fosse, in un certo senso, uno specchio dei tempi:
così, come l’ho visto io, è un rapporto fra coniugi come poteva esistere anche
cento anni fa, con la sola differenza che, cento, ma anche trenta, quarant’anni
fa la donna sarebbe rimasta accanto a quel marito così poco sensibile alle sue esigenze.
Ma mi piace la tua interpretazione, anche se è diversa dalla mia, perché amo
pensare che, una volta che il mio libro passa nelle mani del lettore, non mi
appartenga più, e ognuno ci possa vedere, dentro, quello che più gli aggrada.
Siamo invece in sintonia
sull’interpretazione dell’altro racconto, “I’m in the mood for love”. Hai colto nel segno, parola per parola. Non
ho vissuto quegli anni (non son mica così vecchia…), però, forse attraverso
letture e film ambientati in quegli anni, credo di averne introiettato
l’atmosfera. Credo, almeno.
Non ti sei spiegata male, il mio è un
giudizio in sintonia con il tuo sulle assenze di colpa per l’attuale
generazione. Per quanto riguarda la scuola gli insegnanti di cui accenni ci
sono indubbiamente, ma non sono la norma, bensì quasi delle mosche bianche. Per
rendere partecipi gli allievi occorre passione, capacità di stimolare, di
proporre, coinvolgendo, la materia, e ciò spesso manca. In relazione alla mia
interpretazione di E una sera se n’è
andata non dobbiamo dimenticare che siamo nel XXI secolo e che molte cose,
alcune in bene, altre in male, sono cambiate. C’è stato un progressivo
svilimento del concetto di famiglia, circostanza che, dopo una primavera al
riguardo avutasi nel dopoguerra, incide sul rapporto di coppia e che tende a
chiudere, soprattutto dalla parte maschile, un dialogo affettivo relegando la
convivenza a quella ripetitività alienante di cui proprio spesso la donna è più
vittima.
Io ho espresso le mie preferenze per i
racconti, ma vorrei chiedere a te che li hai scritti quale é quello a cui sei
più affezionata e per quale motivo?
Prima di rispondere alla tua domanda,
vorrei soffermarmi brevemente sul concetto di famiglia. Non sono sicura che ci
sia stato uno svilimento di questo concetto. Forse c’è stata una
trasformazione, un ampliamento: la famiglia, nel senso di coppia, oggi, non
deve essere necessariamente sancita da certificati o da cerimonie siano esse
civili o religiose, né deve essere, necessariamente, composta da un uomo e da
una donna. Lo svilimento, forse, è più dei sentimenti. Ma non ne sono molto
sicura. Le coppie “e vissero per sempre felici e contenti” erano rare anche un
tempo. Ma una volta non c’era il divorzio, e quel “per sempre” era, spesso, una
condanna.
Come ti ho già detto, un personaggio
che amo è Davide, il protagonista di “Libri sull’acqua”. Ma il mio racconto
preferito è “Angelo dei bambini”. Anche se non amo scrivere storie
autobiografiche, in molti miei racconti ci sono frammenti di esperienze
personali. In “Angelo dei bambini” di questi frammenti ce ne sono diversi. Anni
fa assistetti per una settimana una mia carissima amica ricoverata all’Istituto
dei tumori di Milano, nel reparto riservato al trapianto delle cellule
staminali. Quel piccolo reparto si trovava proprio accanto a pediatria. Il
racconto è nato da quella esperienza dolorosa: quel bimbo che cammina lungo il
corridoio portandosi appresso il trespolo della flebo l’ho conosciuto, e ho
conosciuto la disperazione aggressiva di sua madre, e i parenti della ragazzina
che veniva dal sud, e il padre smarrito, nella sua tenerezza verso il
figlioletto neonato. E di angeli, sì, di angeli dei bambini, ce n’erano tanti,
fra il personale paramedico. Ho sentito l’esigenza di raccontare di loro, forse
per stemperare il dolore e il senso di impotenza che ho provato in quei lontani
giorni milanesi.
La famiglia è l’unione di più persone
sostenuta dal reciproco affetto, e non importa che esista un vincolo
matrimoniale, bensì quel che conta è che i suoi componenti si sentano parte
attiva, non solo rispettandosi reciprocamente, ma anche donandosi l’un l’altro.
Non conosco altri significati, se non quelli giuridici, che ovviamente
prescindono dal legame affettivo. Anche un tempo di coppie felici ce n’erano
poche, ma la differenza sostanziale è che ora la maggior parte dei componenti
della famiglia, a partire dal marito e dalla moglie, sono già infelici per
conto loro; insoddisfatti uniscono le loro piccole tragedie personali e
frequentemente quel sottile filo invisibile che li legava finisce con lo
spezzarsi. E in questi casi o si procede come estranei sotto lo stesso tetto, o
ci si lascia; esiste un’incomunicabilità che il mettersi insieme non può sanare
e quindi l’istituto familiare si svilisce in una sorta di banco di prova che
solo raramente dà buoni frutti.
Penso che si possa passare all’ultima
domanda, quella che è quasi d’obbligo: e ora che farai? Che progetti,
ovviamente letterari, sono in corso, oppure solo in nuce?
Senza dubbio questi sono anni di
depressione e di infelicità. Ma, anche se io stessa ho ricevuto schiaffi, o
meglio pugni, dalla vita, continuo ad avere speranza, continuo a credere nella,
a volte… insostenibile, bellezza della vita, della natura, e anche
nell’altrettanto insostenibile, a volte, gioia che l’amore ti procura.
Di un mio progetto letterario ho già
detto nella prima risposta. Quel romanzo, “Isole”, in attesa di essere
concluso. Celeste, Assunta, Nadia e Mira, le quattro protagoniste, ogni tanto
mi si presentano davanti, si piazzano le mani sui fianchi e: “Allora?” mi
chiedono, “Dobbiamo aspettare ancora molto?”. Un po’ di pazienza, care amiche…
L’attesa sarà breve, care le mie donne. Ve lo… quasi prometto. E poi, sorpresa
sorpresa, ho già una mezza ideuzza per un sequel. Si sa mai…
Ho poi molti racconti, alcuni già
pronti per una raccolta, altri legati da un filo, direi, noir, che, forse,
potrebbero interessare qualche editore. E poi… E poi chissà. Che la vita è
sempre piena di sorprese.
Grazie, Renzo, per il tempo che mi hai
dedicato e per le tue intelligenti domande, che mi hanno anche portato a fare
riflessioni su di me e sulla mia scrittura.
Sono io a ringraziare te per la
piacevole conversazione e, nell’accomiatarmi, ti auguro che questo libro ti dia
le soddisfazioni che senz’altro meriti.
Recensione
e intervista a cura di Renzo Montagnoli
Credo mi possa piacere. Si trova facilmente in libreria? Io abito a La Spezia.
RispondiEliminaAgnese Addari
Grazie ancora di cuore, caro Renzo!
RispondiEliminaPer Agnese (spero che Renzo mi perdonerà se rispondo io alla tua domanda): puoi sempre provare a ordinarlo in libreria, anche se le piccole case editrici hanno difficoltà ad avere una distribuzione che copra l'intero territorio nazionale. Se vuoi, però, puoi acquistarlo in via telematica presso IBS, BOL e Libreria Universitaria. Oppure scrivere direttamente all'editore (info@historicaweb.com) o telefonare alla casa editrice (347 6708013). Grazie anche a te per l'interessamento, Agnese, e... nel caso che tu lo acquisti: buona lettura!
Milvia
Cara Milvia e caro Renzo, ho appena concluso la lettura della recensione e l'intervista, che dirvi così a caldo? Sento ancora dentro di me le vostre parole, le riflessioni, le domande e le risposte. Mi piace questo dialogo così libero, questa autenticità nel chiedere e nel rispondere con franchezza, anche nel dissentire su alcune parti proponendo una propria lettura. Domande chiare e profonde, risposte precise ed esaurienti.
RispondiEliminaNon ho ancora acquistato il libro ma lo farò presto, mi incuriosiva già, ora ancora di più. Incomincio ad immaginare i personaggi e le loro storie. Mi incuriosisce molto anche il romanzo di cui parli, Milvia, ne avevo letto alcune parti, tempo fa, sul tuo blog, mi aveva colpito molto il personaggio di Celeste, la sua personalità, la complessità della sua esistenza. Aspettiamo anche quello.
Grazie, Renzo, grazie, Milvia, e buona scrittura ad entrambi, sempre.
Piera
Dalla recensione sembrerebbe un libro meritevole di lettura e l'intervista, molto bella, incisiva ed esauriente, ne fornisce la conferma.
RispondiEliminaMelchiorre Gioia
Grazie Renzo e Milvia per l'esauriente e interessante recensione, dalla quale emerge che i tempi mutano, e non solo per circostanze costrittive esterne bensì anche perché voluto o semplicemente tollerato dalla società occidentale, ma, a mio parere, non mutano gli uomini.
RispondiEliminaTemo, di fatto, che la libertà individuale, di poter mutare facilmente una condizione personale diventata sfavorevole, venga sfruttata per appagare stimoli personali diventati egoistici proprio a causa della libertà concessa senza il necessario controllo introspettivo, cioè senza lo stimolo di usarla per migliorarsi interiormente. Mi sembra che l'attuale situazione sociale rifletta fin troppo chiaramente i fini dell'imperante sistema economico del profitto, che gli sia addirittura sottomessa, usata per i suoi scopi.
Al superamento delle ingiuste e opprimenti costrizioni sociali del passato non è subentrato una visione di vita capace di sostenere il giovane, ma anche gli adulti sviati sul loro percorso, nei continui confronti che la vita presenta e per i quali è necessaria una formazione seria e forte.
Oggi si riscontra una società latente e smarrita per la mancanza di ideali e concetti sani di vita. La vita non è più considerata un processo di maturità per ottenerne il senso di volerla vivere e di amarla proprio nel momento del superamento delle difficoltà che presenta, ma un qualcosa che va goduto, uguale come poi finirà.
Da qui alla caduta morale e spirituale non ci manca molto, e la fine arriverà come un incubo
insuperabile.
Lorenzo