Il
sogno di Marina
di
Stefano Giannini
Come
tutti i bambini delle zone rurali di quei tempi nascevano in casa,
anche Marina nacque il 10 Maggio 1934 nella grande vecchia casa
padronale denominata “ Il Sasso” nella Parrocchia di Monte
Iottone .
La
levatrice ebbe il suo bel daffare per convincerla ad uscire
dall’utero per vedere la luce e i fiori. Forse non era molto
convinta che questo mondo facesse per lei.
Gli
Zani, famiglia tipicamente patriarcale, era composta da 16 persone :
i nonni, i genitori di Marina e suo zio, fratello del babbo, con la
moglie e figli. La famiglia era molto conosciuta e stimata in tutto
il circondario. Il papà di Marina era un proprietario terriero
onesto e benvoluto sia dalla gente che dagli stessi suoi mezzadri.
L’azdora
che conduceva con competenza e saggezza l’economia della grande
casa era Zia Vitalina, donna minuta ma dinamica, piacente e
simpatica.
Tutti
in famiglia erano credenti e praticanti, frequentavano assiduamente
la chiesa.
In
casa non fu mai pronunciata una parolaccia da alcuno e tanto meno
imprecazioni e bestemmie. Tutti i giorni dell’anno si recitava il
Rosario e non si iniziava mai il pranzo senza dire una preghiera. In
questo clima la piccola Marina cresceva sana nel corpo e nello
spirito.
Già
a 7-8 anni, oltre che non mancare mai alla Messa e alle lezioni di
dottrina in parrocchia, distante più di due chilometri, praticava i
primi nove venerdì del mese.
Era
anche devotissima alla Madonna. Andando e tornando da scuola si
fermava sempre a pregare davanti alla celletta dedicata a Maria che
si trovava al fianco della strada.
Mancavano
ormai pochi giorni al suo decimo compleanno, quando Marina fu
costretta a letto da improvvisa febbre e dolori addominali sempre più
acuti. Per i primi tre giorni, i genitori non si allarmarono più di
tanto, pensando ad una comune indigestione o piccola intossicazione.
Si dicevano: “saranno delle febbri intestinali, solite nei bambini
e presto passeranno”. Il quarto giorno, il babbo, preoccupato, si
recò col calesse a Mercato Saraceno a prendere il dottore per una
visita a domicilio.
Arrivato
a casa, la visitò e la sua diagnosi fu quella che si trattasse della
appendicite infiammata. “ Se
entro domani non le passa la febbre dovrete portarla in ospedale per
un probabile intervento,”
disse accomiatandosi.
Il
giorno seguente Marina si aggravò: il termometro arrivò a segnare i
42 gradi, non riusciva ad ingoiare né tisane ne liquidi in genere.
Sudava copiosamente. Tutto il suo corpo era come un braciere
incandescente.
I
genitori preoccupatissimi non sapevano che fare: portarla in ospedale
in quello stato era impensabile, troppo rischioso. Mentre Zia
Vitalina andava a chiamare il parroco, lo zio correva a prendere il
dottore.
Il
parroco arrivò per primo, le diede la Comunione, che ricevette con
gratitudine e commozione. Pur rendendosi conto della gravità dello
stato di Marina, il parroco non ritenne che fosse in imminente
pericolo di vita e si accomiatò.
Sarebbe
ritornato il giorno seguente.
Dopo
aver fatto la Comunione, Marina si assopì. Poco dopo, riaprì gli
occhi e, con il sorriso sulle labbra rivolta alla mamma chinata su di
lei a fianco del letto le sussurrò : “ sai
mamma è venuto un uomo luminoso e, sulle mie labbra, mi ha detto che
oggi morirò e andrò con lui ”.
Detto
questo entrò in agonia e dopo un’ora quel fiore fu reciso.
Era
il 10 maggio 1944, il giorno del suo decimo compleanno.
Mentre
Marina moriva, fuori c’era la guerra; si udivano le cannonate dei
carri armati americani che avanzavano sulla strada sparando contro le
ultime postazioni militari dei tedeschi in ritirata. La gente del
borgo, atterrita e sgomenta, rivolta al cielo, a mani giunte,
implorava pietà…!
Al
medico, giunto poco dopo, quando non c’era più niente da fare, non
restò che constatare la causa della morte per “ peritonite acuta”.
Al
funerale vi fu tanta gente, diverse centinaia, con tutti i bambini
della scuola elementare vestiti di bianco e con mazzetti di fiori in
mano. Io ero fra loro, avevo otto anni.
Era
una giornata primaverile splendida e quella cassa bianca coperta di
gigli, agli occhi degli astanti, rifletteva la luce del sole.
Rileggere, dopo tempo, questa storia ancora mi commuovo...!
RispondiEliminaGrazie Renzo...! Ste.
Un racconto che fa riflettere e pone non poche domande.
RispondiEliminaPiera
Purtroppo a quei tempi tanti bambini morivano così, come Marina. Le ultime parole dette dalla bimba, poi, dolorosissime per chi le ascolta, accendono tuttavia il mistero di una scintilla di speranza che di là ci sia davvero un mondo di luce e di pace per chi nella vita ha creduto nel bene...
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