La
fontana magica
di
Renzo Montagnoli
Come
ogni favola che si rispetti è d’obbligo iniziare con C’era una
volta e infatti sarà così, ma, se leggerete con attenzione,
noterete che il tema trattato non ha tempo.
C’era
una volta, talmente tanto tempo fa che non è possibile ricordare
quando fu, un piccolo staterello, un borgo medioevale arroccato su
una collina con tanto di castello, di armigeri, di principi e
principesse.
All’intorno
digradavano i campi coltivati dai villici e quasi ai suoi confini,
dove la terra sembra toccare il cielo, un fitto bosco dava ospitalità
ad animali selvatici e anche a qualche brigante da strada.
Gli
unici a penetrarvi erano il signore del castello e la sua scorta,
nelle battute di caccia al cervo o al capriolo, ma, non del tutto
infrequente, nonostante i rischi se sorpresi, si aggiravano
improvvisati bracconieri, tesi ad integrare con un po’ di carne di
qualità lo scarso e povero cibo di ogni giorno.
E
uno di questi è proprio il personaggio di questa storia, un povero
servo della gleba; né brutto né bello, né alto né basso, Girolamo
– così si chiamava – era il settimo di una famiglia che non
riusciva a combinare il pranzo con la cena. Era giovane, e anche
abbastanza forte, e senza spirito di ribellione ogni tanto si
avventurava nel bosco a metter trappole per le lepri, che vi
abbondavano.
Un
giorno, mentre faceva il giro delle tagliole per vedere se qualche
bestiola vi era imprigionata, nel prendere per sbaglio un altro
sentiero, a lui sconosciuto, arrivò a una radura dove al centro
troneggiava una fontana di granito, come quella della piazza davanti
la chiesa, e, assetato, si accostò per bere. Fu allora, che fra i
cerchi mossi dall’acqua che cadeva, vide riflesso il suo viso, con
la barba tutta incolta e la pelle che già iniziava a raggrinzirsi,
nonostante la giovane età.
Rimase
triste a guardare l’immagine della sua modesta condizione, ripensò
alle ore di lavoro per il suo signore, al poco cibo con cui si
sostentava, ma, soprattutto, vide accanto a sé il volto stupendo,
dallo sguardo altero, della giovane principessa, un sogno del tutto
proibito per lui. Si prese la testa fra le mani e iniziò a piangere
e quando le lacrime, lasciando il suo viso, presero a cadere
nell’acqua della fontana, udì una voce:
-
Chiedi e sarai esaudito.
-
Chi parla?
-
Io.
Girolamo
si volse all’intorno impaurito e non vide nessuno.
-
Dai, non fare lo sciocco; sono io, la fontana.
-
La fontana che parla? Gesù, Maria, Santissimi Apostoli, o sono
pazzo, o c’è il diavolo.
-
Ma no, non temere. Ti ripeto: chiedi e sarai esaudito. Che cosa vuoi?
Ti piace la bella principessa, vero?
-
Sì, è vero, ma io sono povero e brutto.
-
Formula un desiderio alla volta, qualsiasi desiderio, e io lo
tramuterò in realtà.
-
Mi piacerebbe essere bello, almeno come lei.
-
Ecco fatto.
Girolamo
si specchiò nell’acqua e non si riconobbe: davanti a lui c’era
un giovanotto, alto, biondo, dagli occhi azzurri e con un volto dai
lineamenti regolari e delicati.
Grazie,
grazie – e corse via.
Quel
giorno iniziava il torneo dell’Immacolata e tutti si raccoglievano
intorno al campo di gara, plebei e signori.
Girolamo
si fece avanti con forza nella calca del settore dei servi, ma alla
fine si mise in prima fila, proprio davanti al palco dei principi e
la vide subito, splendente nella sua bellezza altera.
Si
agitò per farsi notare e infatti lei lo degnò di uno sguardo; fu
solo un attimo e poté leggere nei suoi occhi l’interesse
improvviso, ma altrettanto rapidamente subentrò un chiaro
atteggiamento di disprezzo.
Dire
che rimase deluso è dir poco, perchè si rese chiaramente conto che
la sua bellezza passava in secondo piano rispetto al suo stato
sociale.
In
preda allo sconforto, ma deciso di ritentare corse al bosco, si
affannò a cercare il sentiero per giungere alla fontana e quando il
sole già cominciava a calare lo trovò.
Arrivato
alla radura si accorse che già stava sorgendo la luna; stremato si
lasciò cadere e fu vinto dal sonno.
Fu
una notte di cui ebbe a lungo memoria, con sogni popolati da sabba di
streghe, da diavoli danzanti intorno a un fuoco, da lontani suoni di
cornamuse.
Il
primo sole lo svegliò e ancora con gli occhi piccini si appressò
alla fontana per tergersi il volto.
-
Sapevo che saresti tornato.
-
Sapevi?
-
Certo. Agli uomini non va mai bene niente.
-
Non ho avuto fortuna e, soprattutto, per lei non conta la bellezza,
ma la classe sociale.
-
Niente di nuovo sotto il sole; da quando esiste il mondo conta più
l’apparenza.
-
Fammi diventare nobile, trasformami in un cavaliere di alto lignaggio
che partecipa al torneo.
-
Nessun problema; per quanto ovvio, però, fisicamente ritorni quello
di prima. Per te è lo stesso?
-
Certamente.
-
Detto, fatto.
Girolamo
non ebbe nemmeno bisogno di specchiarsi, mentre si sentiva avvolgere
dall’armatura e prendeva le redini del bianco cavallo che uno
scudiero gli porgeva. Poi fu aiutato a issarsi sul destriero e
finalmente si incamminò verso il borgo.
All’arrivo
sulla piazza del torneo tutti si volsero ammirati nel vedere il nuovo
cavaliere, nella sua lucente armatura. Quando il maestro di cerimonia
gli chiese il nome gli venne spontaneo:
-
Sono Girolamo Barbarico da Cortona, duca di Forlimpopoli e visconte
di Castrocaro.
Sotto
la celata i suoi occhi corsero al palco, a cercare la principessa.
Lei era là, splendida come al solito, e lo guardava stupita.
Si
diede inizio alla tenzone, ma lui che non pensava ad altro, che non
vedeva che quella leggiadra figura femminile, al primo scontro fu
disarcionato e, quel che è peggio, un pezzo di legno della lancia
gli si conficcò nel costato.
Corse
subito il cerusico, ma lui, nonostante il dolore, era lei che cercava
e invece la bella principessa stava lanciando il suo guanto di
candida seta al cavaliere che lo aveva sconfitto.
Gli
si fecero intorno, lo sollevarono di modo che l’occhio clinico
constatasse la gravità della ferita e l’insigne e dotto medico si
limitò a scuotere il capo.
Con
il poco fiato che gli restava, Girolamo pregò gli astanti d’esser
messo sul suo cavallo, così da cercare di andar a morire a casa sua.
Fu
accontentato e allora incitò il cavallo a correr più veloce del
vento, a raggiungere il bosco in un baleno, ad accostarsi ancora una
volta alla fontana.
Così
fece la bestia e stramazzo affranta, disarcionando il suo cavaliere
che finì dentro la vasca d’acqua fresca.
-
Un po’ di educazione! Mi fai traboccare. Capisco, però, il motivo.
Hai un ultimo desiderio da esprimere.
-
Fammi ritornare me stesso.
-
Siete strani, voi umani. Cercate di essere sempre diversi per poi
alla fine desiderare che nulla sia cambiato. E va bene, non
preoccuparti. Sarai di nuovo tu e non morirai; però, resterai un
povero servo in un mondo che sarà sempre fatto di tanti servi e di
poche principesse.
Girolamo
si ritrovò nei vecchi panni, senza più ferite al costato; uscì
dalla vasca e prese la via del ritorno. Giunto al margine della
radura si volse un attimo a guardare la fontana da cui non usciva più
acqua.
Alzò
la mano in segno di saluto, poi corse alla sua capanna.
E' una bella storia, scrittura fluida e piacevole. Ogni cambiamento non può avvenire per magia, ma con sudore e fatica.
RispondiEliminagran bella favola... Esopo sarebbe invidioso...!
RispondiEliminaGirolomo da Cortona, l'incontrai anni fa alle Terme di Castrocaro. Mi parlò molto bene di te...! Ciao Ste.
Un racconto scritto bene e di grande saggezza.
RispondiEliminaLetto con piacere.
Piera
Bella fiaba, dalla morale incontestabile, a rimanere se stessi non si sbaglia mai!
RispondiEliminaGio