Memoria
di un Natale
di
Vincenzo D’Alessio
Il
Natale è la festività più calda dell’anno: fuori c’è freddo e
nelle case un tepore di festa che illumina le famiglie e i luoghi
dove vivono gli esseri umani.
A
squarciare il buio della notte che incombe sul genere umano c’è la
luce di una Cometa che attraversa i cieli e se non è una cometa è
la luce di tutte le stelle che brillano in questa particolare notte.
La
furia degli uomini si ferma dinanzi a questo evento facendo memoria
della Nascita di un Bambino e il ricordo della loro stessa nascita da
una madre.
Quanto
accadde nel Natale del 1943 è ancora memoria viva.
Raimondo
era un giovane prete, appena nominato parroco di una piccola comunità
delle province campane dove la povertà è radicata come l’ortica
delle siepi.
La
Seconda Guerra Mondiale grondava di lutti e ogni famiglia aveva
qualcuno da piangere o la speranza che il figlio tornasse dal fronte
sano e salvo.
La
neve quell’anno era caduta copiosa e solo il calore del focolare
riusciva a scaldare lo stomaco che brontolava di fronte al poco
mangiare delle giornate.
La
famiglia di don Raimondo abitava distante dal luogo dove il vescovo
aveva destinato il giovane parroco: la madre Maria Nicola era
operaia, il padre Francesco, reduce della Prima Guerra Mondiale,
lavorava anch’egli come operaio, essi sopravvivevano con le scarse
risorse che gli anziani di allora racimolavano senza pensione né
assistenza.
Giunse
la Vigilia di Natale nella casa del giovane sacerdote, i genitori
infreddoliti accanto al focolare aspettavano il ritorno del figlio
per trascorrere insieme la memorabile giornata.
L’unico
mezzo allora per spostarsi era il treno, la “littorina” così
chiamata per via del Fascio Littorio che svettava sul muso del
locomotore Breda, ma la paura dei bombardamenti alleati metteva a
dura prova l’esistenza di chi utilizzava questo mezzo.
Don
Raimondo, alto e snello, infoderato nella lunga tonaca scura bagnata
alla base sulle scarpe pesanti a causa della neve, con passo calmo si
avviava dalla stazione verso la casa paterna distante qualche
chilometro e portava sotto il braccio una scatola.
Il
vento si era calmato ma il cielo plumbeo e minaccioso non faceva
sperare nulla di buono in quella memorabile giornata di dicembre.
Lungo
il cammino che lo portava verso casa il sacerdote pensava al fratello
Aniello sul fronte russo, sentiva nel vento le voci dei soldati
desiderosi di tornarsene alle proprie case ad abbracciare le famiglie
lasciate nell’angoscia. Venne spontanea un’ Ave Maria e
l’invocazione del grande Poeta Dante: “ Vergine Madre, figlia del
tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso
d’etterno consiglio, / ”.
Il
rione natale gli apparve sotto il manto di neve e il leggero fumo dei
camini innalzato dai comignoli verso il cielo sempre più scuro.
La
Guerra, diceva fra sé, è la belva che divora tante giovani vite
senza alcuna pietà né memoria delle sofferenze passate e delle
catastrofi che ne segnano la fine: fame, miseria, orfani e vedove.
Dai
vetri appannati dal tepore della stanza la mamma scorse la sagoma
inconfondibile del figlio che avanzava sull’acciottolato del vicolo
come un raggio di sole in tutto quel candore: Francesco, sta tornando
Raimondo !
Il
padre si alzò e raggiunse la finestra liberandola con la mano dal
vapore: “ Ha un pacco sotto il braccio, finalmente riusciamo a
mangiare qualcosa! ”, disse alla moglie con un pizzico di gioia nel
cuore.
Finalmente
il sacerdote giunse a casa, chiuse il portone alle spalle ed entrò
in cucina disposta a piano terra dell’antica abitazione in via
Santa Caterina.
La
mamma lo aiutò a liberarsi del mantello umido che portava sulla
tonaca, la sciarpa di lana che aveva realizzato con le sue mani, le
scarpe completamente madide d’acqua: “ Raimò, prenderai un
malanno se non provvedi a comprarti un paio di scarponi più
resistenti!”
Il
sacerdote fece giungere alla mamma un sorriso, una carezza sul viso
rugoso, mentre le porgeva una tazza d’orzo caldo messa da parte per
il suo arrivo.
Il
papà, seduto accanto al fuoco disse alla moglie: “ Nicolì, apri
il pacco che ha portato Raimondo così cuoci qualcosa! ”.
La
donna sciolse lo spago che chiudeva ai quattro lati la robusta
scatola di cartone e aprì i lati togliendo la paglia che nascondeva
il contenuto.
Ai
suoi occhi apparvero i personaggi del Presepe, le casette di cartone
e gli altri componenti dell’evento: San Giuseppe, Maria e il
Bambinello.
“ Figlio
mio, hai pensato di fare il presepe qui a casa?, disse la madre al
sacerdote, noi speravamo che portassi qualcosa da mangiare perché
nella pentola ci sono solo i cavoli e qualche patata che tuo padre si
è procurato ieri. Non abbiamo neanche pane!”.
Francesco
con un sorriso riprese la moglie e disse: “ Sarebbe stato meglio
farne un bravo operaio, a quest’ora avrebbe portato a casa qualche
pezzo di pane! ”.
Al
giovane sacerdote le parole del padre, anche se dette col sorriso
sulle labbra, suonarono come un rimprovero.
Si
levò dalla sedia in silenzio, raggiunse la stanza al piano superiore
dove era rimasto il suo letto ancora intatto e cercò di
addormentarsi.
Passò
il tempo mentre il vento aveva ripreso a sbattere contro i vetri
della piccola finestra nella sua stanza.
Lo
svegliò sua madre.
Era
mezzanotte di una notte che avrebbe sparso sui tetti di quella
piccola casa e sull’opaco pianeta, afflitto dal male della Guerra,
la luce irraggiungibile del Natale, nascita e inizio di una calore
che colmava i crampi dolorosi della fame.
Da Racconti
di Provincia (Fara, 2018)
Con la lettura di questo bel racconto, nonostante le festività siano ancora lontane, si entra già nell'atmosfera suggestiva che preannuncia il Natale. Un Natale di povera gente, di un passato che incomincia a diventare lontano, ma in fondo molto simile a quello dei tanti poveri di oggi.
RispondiEliminaPiera