Mai visti sole e luna
di Ferdinando Camon
Postfazione di Giorgio
Bàrberi Squarotti
Garzanti Libri
Narrativa romanzo
Collana Gli elefanti
Narrativa
Pagg. 149
ISBN 9788811668534
Prezzo € 7,23
Mai dimenticare!
Devo ammettere che
la lettura dei libri di Ferdinando Camon riserva sempre grandi sorprese, e non
solo per quanto concerne il tema trattato, ma anche per come esso viene
esposto. Su quest’ultimo aspetto ritornerò in argomento approfonditamente più
avanti, perché credo che ben più importanti siano i contenuti, tali da scuotere
una naturale indolenza estiva che mi porta a cercare prose facili e meno
impegnative. No, con Mai visti sole e
luna, è d’obbligo leggere soffermandomi su svariati punti, lasciandomi
trascinare dalle apparenti digressioni di cui è infarcito il racconto e con le
quali l’autore conduce per mano a scoprire i reali e autentici significati di
questa sua fatica.
Ancora una volta lo
scenario è quello agreste, il mondo è quello contadino, lontano mille miglia
dalle visioni idilliache delle Bucoliche di Virgilio, una terra aspra su cui
spezzare le reni per trarre il necessario per il proprio sostentamento, una
civiltà sempre uguale nel tempo che l’industrialismo del dopo guerra ha
spazzato via. Uomini e natura, natura e uomini, quasi un’identità che non
lascia scampo: si viene al mondo sulla terra, alla terra si ritorna quando si
muore, in una vita già scolpita nella pietra del tempo, fatta di poche gioie e
di molti dolori. È un’esistenza dura e lo è ancora di più se si aggiungono alle
tante difficoltà e privazioni quotidiane una guerra (la seconda) e la feroce
occupazione tedesca. È il barbaro germanico che nell’assoluta condizione di
essere superiore schiaccia, tortura, uccide i contadini, visti non come uomini,
ma come paria, come individui inferiori, eguali ai loro animali. Mi sale un
brivido lungo la schiena nel ricordarmi di certe nefandezze raccontate nel
libro: sono massacri del tutto inconcepibili che non possono trovare
giustificazione e le cui vittime gridano ancora giustizia, senza essere
ascoltate. Anzi, il tempo smussa, sfuma, la resistenza nelle campagne diventa
un evento lontano, talmente lontano che i figli dei figli dei figli di quei
protagonisti ora possono perfino chiedersi se qualche cosa c’è stato, o ancor
peggio non chiedono nulla, non gli interessa, meglio ignorare il passato per
vivere sradicati senza uno scopo, succubi del presente.
E pur in questa
tragedia, che si rincorre di pagina in pagina, e nonostante l’esperienza
dell’autore, perché l’aspetto autobiografico non è per nulla secondario, le
capacità narrative sono sorprendenti, accompagnate da un velo d’ironia che nel
capitolo che dà il titolo all’intera opera (Mai
visti sole e luna) si trasforma nella satira dell’alfabetizzazione serale.
Però il sipario si
apre ogni volta sul mondo contadino e curiosa al riguardo è la parte della
contrapposizione fra campagna e città, quest’ultima fonte di tanti guai,
perfino della guerra, abitata da individui incapaci di integrarsi, a differenza
dei contadini, che vivono nella natura e secondo i ritmi della stessa.
Convengo però con
Giorgio Bàrberi Squarotti, autore della postfazione, che giustamente scrive che
leggere Mai visti sole e luna come
l’opera dell’estrema nostalgia
contadina, dell’ultima elegia di una cultura scomparsa, oppure come la
rinarrazione, a tanta distanza di decenni, della guerra e della resistenza e
anche degli anni che seguirono la guerra, significa ridurre alquanto il
significato di un’opera che porta invece in sé un messaggio di universale
portata. E quale è questo messaggio? La società moderna, in cui l’apparenza
vela qualsiasi realtà, in cui tutti sembrano felici senza esserlo, in cui la
ricchezza è la pietra di paragone per definire qualità che non sono tali,
impedisce di vedere – a differenza di una civiltà contadina in quel tempo, nuda
e scarna, che non impone visioni artefatte, ma si presenta tale e quale è - la
vera tragica condizione umana, immutabile da epoche immemorabili: si nasce per
poi morire e si paga il prezzo della morte vivendo.
Quindi, questo
libro porta diversi messaggi, anche se forse ce n’è uno che all’autore
interessa in modo particolare: l’importanza della memoria. E in questo senso
Ferdinando Camon ha ben presente il concetto che, senza memoria, un fatto, per
quanto aberrante e tragico, è come se non fosse mai accaduto. Non è quindi un
caso se nella dedica ha riportato a penna queste parole: non c’è giustizia dopo le grandi stragi. E’ vero, la storia ce lo
insegna, l’armadio della vergogna non è fantasia, ogni scusa è buona per seppellire
il passato, quando scomodo. E questo è un ulteriore messaggio: il perdono
interessato ai carnefici, senza pietà per le vittime, è un trionfo di
quell’animalità che è in noi e che puntualmente, qualora le circostanze lo
richiedano, si ripresenta.
E veniamo
all’esposizione, a un italiano parlato che ha il grande pregio di essere
corretto, bello ed efficace anche trascritto, con periodi lunghi che non
stancano, anzi incollano il lettore alla pagina, con il ricorso non
infrequente, ma esatto e insostituibile, al dialetto, in un contesto generale
che sembra porgere una realtà in palmo di mano.
Camon deve aver
voluto molto bene alla sua gente, a questi campagnoli, spesso ottusi e in lotta
perenne con una natura indomita, un mondo ormai scomparso, sostituito da
un’agricoltura industriale anonima, come anonimi sono gli attuali agricoltori,
così diversi da quei contadini che nella loro umiltà non si sono mai nascosti
il destino di ogni uomo.
Mai visti sole e luna è un romanzo
stupendo, un vero e proprio capolavoro.
Il suo sito è www.ferdinandocamon.it
Recensione
di Renzo Montagnoli
Mi hai convinto! Quando non so, ma lo leggerò.
RispondiEliminafranca