Foto da web
Amado mio
di Milvia Comastri
Amado mio,
uno due tre quatto cinque.
Le cinque pastigliette sono rosa, di un rosa pallido opaco. Come i
muri che rinchiudevano il collegio, diritti e ostili alla vita che si srotolava
al di là di essi.
Sei sette otto.
Le suore non avevano volto. Erano amido e secchi fruscii,
bisbigli, negazioni di risate, passi ovattati perduti in lunghi corridoi. Erano
indici puntati, tempi imperativi, gomme che sfregavano ossessive su acerbe
emozioni.
Nove.
C’è una piccola pozza di latte, sul tavolo; gocce di sangue si
stingono nel bianco. Il latte versato distrattamente stamattina nella tazza blu
è fuoriuscito sul marmo grigio. Poi il tagliente coltello che mi è sfuggito di
mano, mentre affettavo il pane.
Dieci undici.
Quando il dottore mesi fa mi ha dato la ricetta ha detto mi
raccomando, non più di una e solamente prima di dormire.
Una soltanto. Solo una per cessare di mordere il cuscino, per non
tirarsi più il lenzuolo sulla faccia, per far riposare le palpebre, per
respirare senza macigni, per non allungare più il braccio nel letto ampio e
perdersi nell’assenza. Per adattarsi a una vita senza te.
Dodici.
Dodici anni: era apparso per la prima volta il sangue, e le senzavolto avevano sibilato con le
labbra tirate ora sei una donna, comportati come si deve. E avevano frantumato
le domande, le curiosità. Avevano schiacciato quel languore nuovo che cresceva
dentro, avevano dilatato la frustrazione per l’assenza di una madre che mai
c’era stata, da sempre sognata.
Era d’estate, le finestre spalancate, gli odori che andavano a
posarsi sui letti e si impossessavano delle narici, si accucciavano sotto la
pelle.
La musica entrava con il profumo dei fiori dell’acacia, con il
secco aroma dei prati, entrava dentro di me e mi riempiva. Era sempre la stessa
canzone; iniziava a sedurmi con le sue note nel primo pomeriggio, e andava
avanti per ore.
Amado mio, le uniche parole che capivo, e che
diventavano ogni giorno di più il mio mantra.
Tredici.
Ho freddo, avverto questo freddo che mi assale sempre.
E tu, amado mio, che sei sotto legno e terra e pietra, lo senti il
gelo?
Quattordici quindici.
C’era una donna nei pomeriggi bruciati di quell’estate. La canzone
si levava dal suo cortile di cemento, e l’unico movimento era il tendersi del
suo braccio che rimetteva la puntina del giradischi all’inizio del disco. Un
filo elettrico spariva nel buio del portoncino. Avrei voluto essere quel filo e
andare dalla fonte di musica alla casa e conoscerne gli interni.
Avevo eletto quella donna a madre. Non ne conoscevo altre di
donne: solo le suore, prive di sogni, di note musicali. Senza sesso.
Di lei, dalla finestra della camerata, vedevo il corpo
rannicchiato in una vecchia poltroncina di vimini, le braccia che stavano
serrate sul petto, metà volto su cui spiovevano il lunghi capelli neri, l’orlo
dei suoi abiti che sfiorava il cemento. Vestiva sempre solo due colori: tutto
bianco o tutto rosso. Non riuscivo mai a vederla bene in viso. Lo immaginavo.
Immaginavo un’espressione di attesa. Attesa della figlia perduta. La musica era
gravida, pesante, la cantante aveva una voce arrochita, come fumo di legna, si
insinuava nella mia testa, nella pancia, nel cuore.
Sedici.
In quella estate in cui era terminata la mia fanciullezza, quella
donna e quella canzone mi aiutarono a non morire, mi diedero gli strumenti per
resistere all’algida durezza delle suore; cominciai a sognare il futuro.
E più tardi mi portarono a te, amore mio, mi diedero la capacità
di amarti. Ecco perché sussurravo amado
mio, quando ero fra le tue braccia.
Diciassette diciotto diciannove.
Il sangue, nel latte, sta perdendo il suo colore.
Il tuo sangue impazzito, quattro mesi fa.
La sentenza, senza appello, irreversibile. E tu e io increduli, la
morte che credevamo un’invenzione, lì, sulla porta.
Venti.
Costruisco un perimetro quadrato sul tavolo. Cinque pastigliette
per ogni lato.
All’interno ci metto tutti i baci che non posso più darti, i
sorrisi che non fioriranno più, le carezze calde e segrete che mai più ci
faremo.
All’interno ci metto tutto il vuoto che ho dentro.
Ventuno ventidue ventitrè ventiquattro.
Quella donna nel cortile. Quella donna era forse il mio futuro
d’allora, questo mio presente saturo d’assenza. Sola con una canzone sensuale,
con le braccia che stringono soltanto il suo petto, con un volto incompleto,
dimezzato.
Venticinque.
Ho dovuto insistere, col farmacista. Gli ho detto che dovevo
partire, che me ne serviva una scorta; mi sono stampata in faccia il sorriso di
un tempo. Ho trattenuto il respiro fino a quando non ho avuto in mano le tre
scatolette. Confezione da dieci. Trenta pass per il nulla.
Ventisei.
Latte, sangue.
C’è latte, c’è sangue quando comincia una vita.
Le macchie umide all’altezza del petto, sulla mia camicia, si
stanno allargando.
Non ci riesco, amore mio, a stare senza di te.
Passo un dito sul seno destro, dove la macchia si sta espandendo,
e lo porto alla bocca.
E’ un sapore lievemente acidulo, gradevole.
Ventisette.
C’è sempre come un suono sottile, prima che inizi il suo pianto.
Lo avverto anche quando sto dormendo.
Il pianto è dapprima una domanda timida, poi esplode presto in una
richiesta urgente e rabbiosa.
Ti assomiglia, amore mio: ha gli occhi dal taglio allungato come i
tuoi, una minuscola fossetta nel mento, un piccolo neo sulla spalla sinistra,
come quello che ti baciavo.
Ventotto ventinove trenta.
Mi hai abbandonato, amado mio, come fece mia madre.
Madre.
Assenza di madre. Vuoto di madre. Figlia negata. Figlia svuotata.
Vedo una bambina che guarda una donna da una finestra. La donna è
triste, e sola. Ascolta una canzone, sempre quella.
La bambina alla finestra ha una fossetta sul mento e, guardando,
sogna di una madre perduta.
Madre.
Io sono la madre.
Resistere all’abbandono, resistere all’assenza, resistere al
desiderio disperato di morire.
Resistere al canto seduttivo del nulla.
Perché la storia non si ripeta.
Pulire il tavolo, sgombrarlo da tutto.
La sollevo dalla culla.
Nostra figlia è calda di sonno e pianto.
Sa di latte e di giorni ancora possibili.
bellissimo, struggente racconto!
RispondiEliminaciao
cri
Struggente racconto-poesia con finale aperto alla speranza.
RispondiEliminaDecisamente coinvolgente. Complimenti!
Giovanna Giordani
Ho provato anche ieri a lasciare un commento, senza riuscirci. Adesso riprovo, perchè ci terrei molto a ringraziare Renzo, per il suo regalo inaspettato e Cri e Giovanna per i commenti lusinghieri. Seleziono profilo e pubblico... Mah, speruma!!!
RispondiEliminaMilvia
Direi un racconto sconvolgente, così come puo' essere solo la vita.
RispondiEliminaChe cosa c'insegna questo racconto, se non che da tali situazioni si possa, anzi si debba uscire con i piú forti propositi di creare una propria vita migliore. La vita prende ma anche dà, quando si abbia compreso il suo svolgersi nel bene come nel male.
Lorenzo
Complimenti a Milvia Comastri , un racconto molto significativo che da un inizio triste e disperato diventa positivo per una nuova e più bella vita.
RispondiElimina♥ vany
Grazie di cuore a Lorenzo e a Vany!
RispondiEliminaMilvia
bellissimo e poetico!! bravissima la mia amica scrittrice Milvia.
RispondiEliminaGrazie anche a te, Maria cara. Che sorpresa trovarti qui!
EliminaMilvia
Milvia, ho letto ed ora sono in ascolto. Di sensazioni, di emozioni, di pensieri. Una storia bella, profonda, coinvolgente, la capacità di "trasferirti" nell'animo dei tuoi personaggi mi stupisce sempre e mi emoziona, così come mi piace molto il taglio che hai dato al racconto, una lentezza che non è lentezza ma "un passo dopo l'altro" che dalla scelta del "nulla" porterà ad una nuova consapevolezza.
RispondiEliminaGrazie a te e a Renzo che sceglie sempre così bene.
Piera
Cara Piera, una molto gratificante piccola recensione, la tua. Grazie, davvero.
EliminaMilvia
Gran bel racconto, cara Milvia. Trasuda sensibilità femminile e mi piace il taglio moderno: sintesi e illuminazioni sulla storia esterna/interna della protagonista. Applausi.
RispondiEliminafranca
E a me piace molto il tuo riferimento alla "sensibilità femminile". E sono felice per le tue parole di apprezzamento. Ti ringrazio di cuore.
EliminaMilvia