La letteratura di un paese in declino
di Renzo Montagnoli
Sul Corsera
del 9 marzo c’è un interessante articolo dal titolo “Dan Brown, Cohelo, Faletti: bestseller da non leggere”. In poche
parole, l’autore Piero Citati lamenta di quanto siano peggiorati i lettori
italiani negli ultimi trenta-quarant’anni, se trovano così appetibili narratori
come quelli sopra indicati. Per contro, i grandi classici sono spariti dalla
circolazione e, sovente, si ignorano i loro nomi.
Ora non so se le cose stiano proprio
così, però ciò che vedo mi induce a pensare che Citati non abbia torto e che
cioè, come c’è stato un imbarbarimento della lingua italiana, abbia preso anche
il sopravvento una pseudocultura, che definirei più esattamente “sottocultura”, che ha scacciato dal mercato
le letture buone a tutto vantaggio di quelle mediocri.
L’italiano, insomma, impazzisce per
Faletti, ma ignora Tolstoj, si entusiasma per le improbabili trame di Dan
Brown, ma nulla sa del Processo di Kafka, per non parlare poi dei grandi
classici ottocenteschi, fra i quali Stendhal, la cui pregevole Certosa di Parma
ha avuto di recente una riduzione televisiva che ne ha svilito completamente il
senso.
Insomma, tutto sta andando all’insegna
della mediocrità, le vecchie librerie, un tempo prodighe di consigli, sono
quasi sparite, sostituite dalla grande distribuzione, i cui commessi, per lo
più, non nascondono la loro trascurabile base culturale e ai quali è meglio non
rivolgersi per eventuali pareri, tranne che nel caso dei best seller di
giornata.
In questo panorama sempre Citati dice
che negli ultimi mesi le vendite dei libri sono calate del 12% rispetto agli
anni precedenti ed evidenzia la causa nella crisi economica, puntualizzando
però, giustamente, che nulla è meno costoso, e tanto indispensabile, come il
piacere della lettura.
Non so però se possa essere considerata
indispensabile la lettura di Appunti di
un venditore di donne di Faletti, e non invece di Cristo di è fermato a Eboli di Carlo Levi.
Fra i due c’è una differenza
sostanziale, e non tanto sotto l’aspetto del gradimento, bensì sotto quello dei
contenuti: modesto, scarso il primo, abbondante, notevole il secondo.
Eppure scommetterei che a scuola, fra i
banchi, ma anche con gli insegnanti, corre di più il nome di Faletti, mentre
quello di Levi appare casualmente in una noiosa lezione di italiano.
Perché abbondano i lavori letterari
modesti?
Semplice, perché è più difficile
scrivere quelli buoni, perché di autori come Carlo Levi non ne nascono a
centinaia, perché un romanzo dovrebbe essere un equilibrio ad elevati livelli
di trama, contenuti, stile e correttezza del mezzo di espressione.
A volte si trova la trama, ma spesso
sacrifica il contenuto, mentre lo stile è ben difficile che sia personale e
l’uso della lingua italiana evidenzia lacune anche notevoli.
Del resto, da uno scrittore che
pretende di essere tale ci si dovrebbe attendere almeno un italiano
ineccepibile, ma non è quasi mai così; il dramma è che i lettori non si
accorgono degli errori, sorvolano sulla scarsità del contenuto e applaudono,
forse perché ritrovano in quelle righe la loro pochezza.
Se il declino del paese appare
inesorabile, questo passa anche di qua, lascia una scia di pessimi libri, da
dimenticare, come li dimenticheranno anche i lettori entusiasti più degli
autori che dei testi.
Il risultato si somma così allo
squallore generale, frutto dell’orgia della mediocrità.
Se poi le cose vanno male, non
lamentiamoci, perché la colpa è anche nostra.
Concordo. Negli ultimi premi Strega ho trovato un uso improprio della lingua italiana, per non parlare del modesto livello artistico.
RispondiEliminaAgnese Addari
Condivido in pieno.
RispondiEliminaLa lingua e la creatività sono a livelli patetici.
cri
Senza dubbio una profonda e dovuta analisi, alla quale desidero aggiungere alcune mie riflessioni.
RispondiEliminaViviamo in una realtà dominata dalla quantità in ogni campo delle attivitá umane. Oggi si vende e si compra di tutto, più per soddisfare necessità sofisticate che reali.
La quantità da produrre va a scapito del contenuto, per il quale sarebbero necessarie riflessioni più profonde e svolte in un periodo di tempo più esteso di quello a disposizione.
MI sembra che il degrado della lingua madre sia, tra l’altro, causato dal disorientamento che il processo unificatore economico europeo sta creando nei popoli membri.
Di fatto, il problema riguarda non solo la lingua italiana, bensi anche la tedesca, fatto riscontrabile in Austria, dove io vivo da decenni, ma anche in Germania, per cui penso che la stessa situazione esista anche negli altri paesi europei.
Anche l’inglese sta subendo delle profonde modifiche sia grammaticali sia ortografiche sia di pronuncia, come accade negli USA..
Anche per motivi di equità d’apprendimento, mi auguro che i letterati e linguisti creino una nuova lingua, con regole rigide, comprensibili e facilmente applicabili, nelle quali i popoli si sentano uniti, perché rappresentati in un mondo che per necessità di sopravvivenza deve unificarsi.
I rapidi cambiamenti che accadono nel mondo lo richiedono, per cui non ha senso pretendere la tutela di una lingua, uguale quale sia, che é destinata a scomparire.
Questo lo si deve alle nuove generazioni,se non si vuole che il mondo ricada nei tragici conflitti nazionalistici del passato.
A parte di tutto questo, é necessario educare l’individuo al senso della responsabilità civile e sociale, perché altrimenti anche la nuova lingua verrebbe imbrattata e sfigurata del suo contenuto fondamentale.
Gli studiosi continuino pure a elaborare lingue ricche di regole ed eccezioni, come per dimostrare la creatività fantasiosa delle loro menti e il loro stimolo all’eccezionale, che poi il popolo comune non vorrà e potrà mai applicare.
Lorenzo
L'altra volta in televisione hanno intervistato una donna che rideva della cultura, io so soltanto che senza leggere non si vive e non ci si può accontentare. Certo il modo di scrivere è cambiato a tamburo battente, adesso niente ci impedisce la sintesi d'uso, ma non a scapito della grammatica e della sintassi. Le lungaggini dispiacciono anche a me, e non poco: già per mia natura andavo dritta al sodo ogni volta che svolgevo un tema, al liceo mi quotavano sette per la semplicità e la scioltezza, ma mettevano otto per una maggiore robustezza di forma alla mia "rivale" seduta dietro, eravamo le più quotate. Ed io, sempre per mia natura, volevo scrivere sempre meglio, leggevo famelicamente, studiavo, approfondivo oltre le richieste dei professori.
RispondiEliminaIo rimango sbalordita nel vedere che aspirano a pubblicare un libro persone che a malapena hanno iniziato a scrivere, ho fermato per miracolo una ragazza alla quale hanno fatto vincere un concorso e volevano più di ottocento euro per pubblicarle una quarantina di poesie, le hanno pure assicurato le necessarie correzioni (grammatica e ortografia). Ma scherziamo? Qua ci sono fior di scrittori che non si piegheranno mai a pagarsi da sè i propri libri per poi mendicare dagli amici in fuga che ne comprino uno, meglio regalarli, dopo avere fatto la scemenza. Dico che le falsità sono eccessive e inaccettabili, gli incompetenti primeggiano e gli scrittori fantasma, per fame, si piegano a farsi firmare i libri dai vip. Gli editori costruiscono a tavolino i libri che venderanno, ma non gli importa niente altro che del guadagno. E siccome non mi piego mi hanno anche detto che sono superba perché ho rifiutato la pubblicazione di un'opera in poesia dove volevano fare i ritocchi qua e là. Pazienza, sono superba e mi tengo come sono, ma le mie poesie non si toccano. E nemmeno la prosa.
Io credo onestamente che ognuno abbia il diritto di leggere quello che più gli aggrada senza sentirsi necessariamente "mediocre". La letteratura dovrebbe essere proprio questo: il piacere di conoscere una storia o l'emozione evocata da una bella poesia. Chi decide quindi cosa è giusto e cosa è "sottocultura"? I critici o gli addetti ai lavori? Io non credo. Credo che lo decidano i lettori, come lei ma anche come me....
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