sabato 16 giugno 2012

John e Milena, di massimolegnani

                                                                      Foto da web


John e Milena

di massimolegnani





Dopo appena sei giorni il silenzio fra loro divenne la regola. Regola e necessità di trovare un’altra via di comprensione, perché a parole Milena e quell’omone che un pomeriggio aveva suonato alla sua porta proprio non si capivano. Chi fosse le era apparso subito evidente, cappellaccio, scarponi e fango, bastone e zaino zeppo, doveva essere un camminatore, quasi certamente impegnato nel percorso della via francigena che passava lì vicino, come pure non aveva avuto bisogno di chiedergli che cosa volesse, ovvia la doccia, impellente un letto per la notte. In periodo di bassa stagione Il Glicine, bed&breakfast inaugurato di recente, era privo di ospiti per cui lei lo aveva accolto con particolare entusiasmo.

Quella sera non c’erano stati problemi di comunicazione, l’uomo stravolto dalla fatica aveva consegnato il passaporto e, ritirata la chiave, era subito salito alla sua stanza. Probabilmente si era addormentato senza nemmeno cenare.

La donna, compilando la scheda con i dati del cliente, John McCullough, 45 anni, australiano di Crane, località imprecisata del Queensland, era stata presa da una sottile eccitazione, finalmente avrebbe collaudato con uno straniero madre-lingua il proprio inglese, frutto recente di un corso full-immersion, immersione per altro assai salata. Purtroppo al mattino era riuscita a scambiare solo pochi convenevoli, intuendo più che capendo le risposte dell’ospite. Poi l’uomo aveva saldato il conto ed era ripartito. Lei aveva provato un vago rammarico mentre lo guardava allontanarsi appesantito sotto il carico; la sua mole già spossata alla partenza ispirava tenerezza, qualche parola in più con lui l’avrebbe detta volentieri.

Grande lo stupore quando il turista era riapparso alla sua porta poco prima del tramonto.

- La credevo ormai lontano, a scalar le mura di Monteriggioni se non a Siena a riposare all’ombra della Torre - gli aveva detto a mo’ di saluto in un inglese che le era sembrato impeccabile.

John l’aveva guardata strizzando gli occhi come si stesse sforzando di capire, poi aveva scosso il capoccione e allargando le braccia aveva iniziato un lungo discorso di cui Milena comprese solo sorry e poco più. Sembrava che l’uomo volesse giustificare la propria ricomparsa o forse cercava di spiegare qualcos’altro, il tono era impacciato e docile, la voce piacevolmente cavernosa, ma le parole erano un alternarsi di suoni duri e altri strascicati che poco assomigliavano alla lingua imparata da Milena.

La stessa scena, con piccole varianti, era stata replicata nei giorni a seguire.

L’australiano partiva al primo sole con il suo passo barcollante, dopo aver pagato il dovuto per la notte e averla salutata con calore, anche abbracciandola come non dovesse rivederla più, ma nel tardo pomeriggio era di nuovo lì a chiedere una camera con l’imbarazzo di un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. E invece nelle mani stringeva qualche fiordaliso o pochi papaveri sgualciti da offrire alla donna che non cessava meraviglia.

Lei aveva presto imparato a non chiedere il motivo di quella bizzarria, gioiva ad ogni suo ritorno e sorrideva porgendogli sempre la stessa chiave.

“Florence” le aveva detto lui una delle prime sere, ma Firenze giorno dopo giorno era apparsa sempre più distante, sembrava che John non riuscisse a staccarsi da quel luogo, un’attrazione più forte dei propositi. A Milena, osservando la sua imponenza in controluce e il tenue smarrimento che conservava negli occhi anche se rideva, era venuta in mente l’immagine di una balena spiaggiata. Contravvenendo all’etichetta della brava proprietaria, aveva preso l’abitudine di cucinare per entrambi, non tollerava l’idea che lui si nutrisse a scatolette nella solitudine della stanza. Cene consumate con naturalezza in cucina accanto alla stufa accesa, John divorava ogni novità, lei si deliziava alla sua fame. Solo le parole erano ancora faticose come il primo giorno.

Una sera l’uomo aveva cercato di spiegare, scandendo ogni sillaba: - Nel bush parliamo un inglese storpiato che nessun cittadino britannico sarebbe in grado di capire.-

Lei aveva annuito come avesse ben compreso, poi in un moto di sincerità aveva chiesto: - Bus? What a bus?

ripetendo la domanda a mezza voce anche in italiano,

- Quale autobus?

come tentasse di trovare da sola il bandolo del discorso.

Un breve imbarazzo quindi avevano riso all’unisono. L’unica certezza tra loro era l’incomprensione della lingua. Così, senza nemmeno stabilirlo avevano deciso il silenzio.

Accantonate le parole come un libro fascinoso ma difficile, quella sera non fecero altro che tacere.

Qualche sorriso da una poltrona all’altra, la musica soffusa, il Morellino sorseggiato con lentezza, gli sguardi che s’incrociavano tranquilli, l’ostinazione della pendola che restava inascoltata.

Milena fissò le mani forti e inoperose dell’uomo, ne immaginò il tocco sulla pelle, quasi lo sentì, incredibilmente delicato. John andò fantasticando sui paesaggi appena attraversati e si sorprese a confondere le ondulazioni delle terre di Siena con le forme morbide di lei, convinto di saperle senza approssimazioni.

Una piccola felicità era lì a portata di silenzio.


4 commenti:

  1. E' un racconto dalle tinte pastello, delicato che mi è piaciuto leggere. Chissà perché ho immaginato i personaggi in un casolare tra Pienza e Bagno Vignoni, nel cuore della mia amata Val d'Orcia.

    franca

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  2. Bello, così autentico e pulito, nella forma, nella proposta, nella riflessione che sottende. Non c'è enfasi, non una parola in più rispetto all'essenziale, davvero una bella scrittura.
    Grazie all'autore e a Renzo. Buona giornata.

    Piera

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  3. grazie a voi per la lettura e le parole. l'ambiente è quello di una Toscana minore ma non meno affascinante: qualche pietra antica, una collina, sentieri tra vigne e rovi, un casolare, ovunque trovi un motivo per modificare il viaggio, sostare. ml

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  4. bello.
    c'è erotimo soffuso.
    chiusa giusta.
    I'm nobody

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