mercoledì 28 maggio 2014

Sentieri di guerra, di Renzo Montagnoli



Foto da web



                                                               
Sentieri di guerra
di Renzo Montagnoli


L'auto si fermò dove terminava la strada militare e iniziava una pietraia scoscesa.
Ne scesero quattro uomini; tre si guardarono all'intorno, mentre il quarto rimase con gli occhi abbassati.
- Signori, siamo arrivati; da qui in avanti vedremo solo trincee, scavate a forza di mani nella roccia carsica, a volte abbastanza profonde, ma altre niente più che dei modesti avvallamenti dove era necessario restare sempre sdraiati. Vi faccio strada.
- Grazie, vada pure avanti lei colonnello; io, il dottore e il mio povero fratello le verremo dietro, ma mi raccomando di procedere piano. Non alza mai gli occhi, ma chissà che con il ricordo di questi luoghi di dolore non possa rinsavire.
Si incamminarono su per l'erta, lungo una traccia di sentiero che procedeva tutto a curve brevi e secche, in un paesaggio quasi lunare e totalmente arido, senza nemmeno il più piccolo filo d'erba.
Arrivarono così a un  rialzo di modesta altezza e dimensione, ma pianeggiante.
- Ecco, vedete dove siamo ora c'era il posto di pronto soccorso, una cosa alla buona, niente più di una baracca, dove il chirurgo e i suoi assistenti prestavano le prime cure; per i feriti lievi non c'era nessun problema, perché bastava un leggero bendaggio e poivenivano rispediti in prima linea. Per gli altri le cose erano diverse: se c'erano speranze di sopravvivenza, venivano un po' rattoppati e successivamente inviati all'ospedale vero e proprio nelle retrovie; se invece erano spacciati, venivano sistemati fuori, distesi sulla barella, insieme agli altri che attendevano la diagnosi del medico, e lì…lì morivano.
- Posso immaginarmi, colonnello, le scene di dolore e di disperazione, a cui avrà forse assistito anche mio  fratello.
- No, signor Fabbri, per quanto si possa sforzare non potrà mai farsi un'idea esatta di quello che era e pure io che combattevo un po' più in là non ho potuto provare l'angoscia della disperazione nell'attesa del verdetto come quando mi ci sono ritrovato con il mio braccio sinistro maciullato, con il sangue che usciva a fiotti dalla ferita e si mischiava a quello degli altri che erano distesi vicino a me. In quei momenti si è fortunati se si è in stato di incoscienza, altrimenti, in mezzo ai pensieri più cupi, si avverte chiaro il gelido respiro della morte, un soffio lieve, ma costante, che passa su quei poveri diavoli per fermarsi sui prescelti.
- Mi vengono i brividi a sentirla dire queste cose e non vorrei mai essere venuto se non fosse per quel tentativo che il Dr. Marra vuol fare per far tornare in sé mio fratello. A proposito, dottore, lei che è esperto e che conosce già il problema per averlo in cura da tanto tempo, si è accorto se ha avuto qualche reazione? 
Il Dr. Marra, luminare di psichiatria dell'Università di Padova, un uomo che aveva evitato la tragedia della guerra perché avanti con gli anni, si limitò a scuotere la testa.
- Andiamo avanti, verso le trincee vere e proprie che disteranno non più di una cinquantina di metri, subito dietro quello sperone roccioso.
Ripresero il cammino e in effetti, dopo nemmeno una decina di minuti, arrivarono a superare il costone di roccia e lì si aprì alla vista uno scenario apocalittico. La guerra era finita da appena un anno e tutto era rimasto come prima, con l'unica differenza che non c'erano soldati, ma i reticolati, in più punti divelti, i cavalli di frisia più avanti se ne stavano ancora là, come un sinistro arredo a dimostrare che i solchi nel terreno erano stati l'opera di centinaia di uomini, che le voragini che si aprivano ovunque erano il risultato dell'impatto dei proiettili d'artiglieria, che le migliaia di bossoli sparsi ovunque costituivano la prova degli altrettanti colpi sparati.
- Queste sono le nostre trincee, poi c'è un tratto semipianeggiante di un centinaio di metri e in fondo ci sono quelle del nemico, talmente vicine dal poter udire a volte il parlottare dei soldati austriaci, ma talmente lontane da raggiungere quando si andava all'attacco che si aveva l'impressione di correre fino in capo al mondo.
Il colonnello si fermò un attimo, guardò meglio il paesaggio come a farsi tornare in mente quel che una volta c'era e ora non esisteva più, poi riprese – Proprio alla vostra destra c'era la compagnia mitragliatrici. Ricorderò sempre quella notte del settembre del1917 quando fu spazzata via in un sol colpo da un proiettile di bombarda: uno solo, senza nessun preavviso, e quelli che stavano là non si risvegliarono più e nemmeno riuscimmo a trovarli. Erano come svaniti nel nulla, scavammo, ma senza risultato: di cinquanta uomini l'unico segno che rimase fu uno scarpone insanguinato. Per ironia della sorte ci fu un superstite, che si era da poco allontanato per raggiungermi al comando, ma che fu ugualmente investito dallo spostamento d'aria, sbattuto di qua e di là, ma senza danni apparentemente gravi: il tenente Mario Fabbri.
Si fermò e guardò l'uomo dagli occhi bassi – Sì, sei stato l'unico superstite, ma da allora non sei più stato tu. Ricordi, Mario?
Non rispose, sempre chiuso in se stesso, ma si poté scorgere chiaramente un battito di ciglia, come se all'improvviso qualche cosa fosse apparso nella sua mente, per poi scomparire pressoché immediatamente.
- Del problema se ne sono subito accorti i medici dell'ospedale militare che l'hanno mandato per le cure del caso alla clinica di Padova, dove appunto lei Dr. Marra l'ha preso in consegna. Non ci sono stati cambiamenti nel suo stato?
- No, mai. Sempre apatico, insensibile al suono delle voci, alle carezze di una mano amica.
Il colonnello si riavviò e, sempre seguito dagli altri, superò la trincea e cominciò a procedere in quella che, in gergo militare, viene chiamata la terra di nessuno.
- La chiamano la terra di nessuno, ma non è così: è la terra dei tanti che l'hanno calpestata, che, dall'una e dall'altra parte, hanno cercato di farla propria, dissodandola con i proiettili di cannone, bagnandola con il loro sangue, seminandola con i loro corpi.
Si gridava “Avanti, Savoia!” e si correva come impazziti, con l'angoscia che ormai aveva vinto ogni umana resistenza e con l'unico scopo di vincere la morte. Qua e là, in questa terra martoriata, affioravano putridi i corpi dei caduti, mani scheletriche uscivano dal suolo quasi a volerci ghermire.
- Mi meraviglio di sentire un militare del suo grado parlare in questo modo e con questi toni.
- Ha ragione, signor Fabbri, perché un soldato di professione deve essere abituato alla guerra e alla morte, ma sotto la divisa c'è sempre un essere umano, con le sue contraddizioni, con le speranze, con le paure, che lo differenziano dalla bestia.
All'improvviso si udì la voce del Dr. Marra – Fermatevi! Mario si è chinato e ha trovato qualche cosa.
Il fratello e il colonnello corsero subito: Mario era in ginocchio, stringeva nella mano qualche cosa e singhiozzava.
- Buon segno - disse il Dr. Marra – Vediamo che cosa ha trovato.
Gli prese la mano e con non poca fatica riuscì ad aprirla, scoprendo una targhetta metallica arrugginita, ma non tanto da non poter leggere quello che vi era impresso:Albert Kaufmann 01256344.
Il colonnello spiegò il significato di quell'oggetto: - E' una piastrina militare di un soldato austriaco; serve a identificare meglio la vittima.
Mario rinserrò il pugno e si asciugò il volto con il bordo della manica, si alzò e sempre a occhi bassi, senza profferir parola, si avviò lunga il percorso donde erano venuti. Superò la trincea, il posto di pronto soccorso, arrivò all'auto e vi salì.
Gli altri, mentre lo seguivano, si interrogavano sul suo comportamento.
Il fratello, in particolare, chiese al Dr. Marra se c'era stato l'auspicato ritorno della coscienza.
- E' troppo presto per dirlo, ma nutro dei dubbi. Almeno avesse parlato, avesse spiegato l'importanza per lui di quella piastrina, si fosse messo a cercare… E invece si è girato ed è quasi corso all'auto. Signor Fabbri, temo che Mario non ritornerà più in sé.
Il colonnello decise di intervenire – Io non mi intendo di queste cose, ma penso che il nostro disgraziato amico abbia ormai lasciato qui da tempo il suo cuore e la sua mente e che quell'oggetto di uno sconosciuto, ma che ha combattuto dove c'era anche lui, rappresenti il legame materiale con questo luogo. Posso sbagliarmi, ma invece è un inizio, è la prova tangibile del ritrovamento della memoria. Certo che lei dottore dovrà lavorare molto e, soprattutto, dovrà esser per lui ciò che da quella notte gli è mancato: la fiducia nel futuro.
- Può essere, colonnello, e se sarà così faremo il possibile per farlo tornare a vivere, lavorando sulla sua memoria e facendogli accettare una realtà che è già passata, un brutto sogno da cui dovremo risvegliarlo.
Arrivarono all'auto e vi salirono, il signor Fabbri e il colonnello davanti, il Dr. Marra dietro accanto a Mario.
L'auto ripartì, sobbalzando sull'acciottolato, in una nube di polvere impalpabile.
Mario, sempre stringendo la piastrina, appoggiò il capo sulla spalla del medico e singhiozzando mormorò – Mai più guerre.
            


Amore lontano, di Sebastiano Vassalli



Amore lontano
di Sebastiano Vassalli
Edizioni Einaudi
Saggistica letteraria
Pagg. 192
ISBN 9788806171322
Prezzo € 16,50


Ti amo, o poesia


"La poesia è vita che rimane impigliata in una trama di parole. Vita che vive al di fuori di un corpo e quindi anche al di fuori del tempo. Vita che si paga con la vita: le storie dei poeti che ho raccontato in questo libro stanno a dimostrarlo."

Che cosa accomuna personaggi come Omero, Qohélet, Virgilio, Jaufré Rudel, Villon, Leopardi, Rimbaud, vissuti in epoche diverse e molto lontane fra di loro?
Li accomuna la poesia, poiché si tratta di sette poeti di cui Sebastiano Vassalli traccia una biografia sostanziale che li coglie soprattutto negli ultimi periodi della loro esistenza, fuochi che si spengono lasciando tuttavia un’indelebile traccia nella letteratura, artisti che per la loro genialità hanno saputo dare all’umanità assai di più di ciò che hanno ricevuto dalla stessa. Sono, a loro modo, dei miti e qualcuno lo è più degli altri, come Omero, di cui abbiano notizie talmente limitate che ci dicono solo che era cieco e che perciò poteva vedere più di ogni altro uomo, grazie alla capacità di andare oltre la realtà tangibile; Virgilio, il più grande poeta latino, stretto negli abiti di artista di stato, visto che sia le Georgiche che l’Eneide gli furono commissionate, libero di scrivere solo in gioventù, quando compose quel sommo capolavoro che sono le Bucoliche;  Rudel, il cavaliere provenzale, che tanto aveva cantato dell’amore lontano; Villon, ladro, scapestrato, irriverente, di cui si perderà ogni traccia con l’esilio; Leopardi, la cui salute tanto influì sulla sua produzione poetica, in un ritratto che ce lo descrive talmente bene che sembra di essere lì con lui, e infine il decadente Rimbaud, sempre controcorrente, compagno per un certo periodo e in tutti i sensi di Verlaine,  che bruciò tutto il suo genio in età giovanile, per poi ritirarsi a fare il mercante e a morire ancora nel fiore degli anni.
Sono sette, se includiamo anche l’ebreo Qohélet, sette, come i magnifici dell’omonimo film, e questi sono veramente magnifici, anzi sono unici e pietre miliari nella storia del genere umano.
Vassalli ama la poesia, la considera come un qualche cosa di immenso a cui tendere senza poterla mai completamente raggiungere, e così essa rappresenta per lui un amore lontano, un sogno che porta al tormento e all’estasi, una condizione che è unica ed è possibile ritrovare solo agli inizi di un forte innamoramento, quando la passione travalica ogni forma di ragionamento.
Con questo libro, parlando di poeti, finisce con l’illuminarci sulla poesia, che cosa essa sia veramente e come possa essere considerata che  più si approssima alla parola di Dio.
Credo che la lettura sia raccomandata anche a chi non si interessa normalmente di poesia, perché il testo, più che di carattere tecnico, è veramente impregnato di un’alta spiritualità.

Sebastiano Vassalli è nato a Genova e vive in provincia di Novara. Presso Einaudi, dopo le prime prove sperimentali, ha pubblicato La notte della cometa, Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo, La chimera, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012, Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del presente, Dux, Stella avvelenata,Amore lontano, La morte di Marx e altri racconti, L'Italiano, Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni, Le due chiese e Comprare il sole.


Recensione di Renzo Montagnoli

MondoBlog del 28 maggio 2014

MondoBlog

Le segnalazioni odierne:




mercoledì 21 maggio 2014

Andar per colli, di Renzo Montagnoli

Andar per colli
di Renzo Montagnoli


Quando s’apre la bella stagione e la primavera irradia di luce cristallina tutta la natura sorge spontaneo il desiderio di fare una gita fuori porta. Per i mantovani una meta quasi obbligata, anche per la vicinanza, è costituita dalle colline moreniche del Garda, una serie di rilievi, per lo più modesti, frutto del lavoro di erosione del ghiacciaio che milioni di anni fa occupava quello che attualmente è senza ombra di dubbio uno dei più bei laghi del mondo. L’importante è non avere una meta precisa e procedere sorretti dal piacere di riscoprire il risveglio della natura, di ammirare il nuovo verde che ricopre i declivi, di respirare l’aria fresca, ma pura che scende dal non lontano Monte Baldo. E quindi questo andar per colli diventa il varo di una nuova stagione, l’avvio di un percorso di altre gite sia primaverili che estive. Si può andare in auto, ma anche in bicicletta, benché le distanze e le pendenze, pur non essendo proibitive, richiedano un preventivo allenamento che l’inverno ha di fatto reso impossibile.
Raggiunto Goito, l’ultimo paese in pianura, attraversato dalle acque veloci del Mincio e impreziosito da Villa Giraffa, una delle residenze gonzaghesche, si procede verso Volta Mantovana. Il borgo é incastonato in cima a una collina, a cui si giunge con una comoda strada che tuttavia è caratterizzata da un paio di tornanti. Da lassù la vista sulla fertile pianura mantovana che si va risvegliano dal torpore dell’inverno è di sicuro effetto, ma c’è altro da vedere in questo luogo: il palazzo Gonxaga-Guerrieri, fatto erigere alla metà del XV secolo dal Marchese Ludovico III Gonzaga e l’antico castello, risalente all’XIsecolo, voluto assai probabilmente dalla famosa Matilde di Canossa.
Si procede verso Nord e si arriva a Ca’ Piccard, dove all’incrocio si gira a destra per scendere a Borghetto sul Mincio, il più bel borgo d’Italia, risalendo poi a Valeggio sul Mincio, dove, avendo tempo a disposizione, si può visitare lo splendido Parco Sigurtà. Lasciato alle spalle il Castello Scaligero del XIII secolo, ci si dirige verso Custoza, a cui si arriva attraversando dei vigneti, da cui si ricava il pregiato vino bianco di Custoza. Li è quasi d’obbligo fare una visita all’ossario eretto nel 1879 e che raccoglie le spoglie dei soldati piemontesi e austriaci caduti durante due grandi battaglie: quella del 25 luglio 1848 in cui Radetzky sconfisse l’esercito di Carlo Alberto e quella del 24 giugno 1866 che si concluse ancora con la sconfitta degli italiani guidati dal Generale La Marmora, mentre gli avversari erano condotti dall’arciduca Alberto d’Austria. Fra tutte quelle povere ossa non si può fare a meno di pensare quanto la guerra sia terribile, oltre che inutile.
Poi si torna indietro, fino a Valeggio, per portarsi, con una strada che costeggia il Mincio, a Monzambano, caratterizzato dal bel Castello fatto erigere nell’XI secolo da Matilde di Canossa. Da lì, si piega verso ovest e lungo belle stradine, in continui saliscendi, si entra nel cuore delle colline moreniche. Mete irrinunciabili sono Castellaro Lagusello, uno dei più bei borghi italiani, ma anche altre testimonianze delle nostre guerre di indipendenza, fra le quali San Martino della Battaglia (da visitare la sua celebre torre inaugurata nel 1893 ed eretta in memoria vi Vittorio Emanuele II  e di tutti quelli che hanno combattuto nelle guerre che hanno portato all’unità d’Italia), Cavriana, dal bel castello dell’XI secolo e Solferino, su cui ritengo sia necessario soffermarsi un po’.  Ivi sorge una rocca alta 22 metri, eretta nel 1022 e obiettivo della più importante battaglia della II Guerra d’Indipendenza. Il 24 giugno 1959, infatti, sulle colline di Solferino i franco-piemontesi si scontrarono con gli austriaci, in tutto 230.000 uomini; il combattimento si concluse con la vittoria dei primi, ma con perdite enormi, superiori a quelle della ben più nota battaglia di Waterloo.  Al termine di 14 ore di scontro rimasero a terra, cadaveri, ben 29.000 soldati. Se questa battaglia significò di fatto la fine della II Guerra d’indipendenza, con l’annessione al Piemonte della Lombardia, ad eccezione di Mantova, fu anche l’occasione per un altro evento straordinario: la nascita della Croce Rossa. Infatti, era presente lo svizzero Henry Dunant, che lì accorse richiamato dalle voci della carneficina; nell’organizzare un minimo di soccorsi alle migliaia di feriti gli venne l’idea di fondare questa meritoria istituzione, tesa a soccorrere tutti, indipendentemente dalla divisa. A Dunant nel 1901 fu conferito il Nobel per la pace.
Siamo al termine di questo viaggio storico-geografico, un itinerario fra i più  belli nell’Italia settentrionale, su queste colline un tempo insanguinate e su cui ora si sviluppano vigneti che danno vini di elevata qualità, fra i migliori al mondo, bianchi, rossi e rosati, fermi e mossi, in una varietà notevole, pur a fronte di produzioni di modeste quantità.
Qui, dove si avviò l’unità d’Italia e tanti giovani conclusero sanguinosamente la loro esistenza, si compie di fatto un vero pellegrinaggio, un ritorno al passato che testimonia le origini del nostro presente.   Vorrei ricordare questi caduti e queste colline con una mia poesia, che credo possa concludere nel migliore dei modi questo articolo.

Colline risorgimentali

Qui, colline ridenti dai ricchi vigneti,
campi ordinati di bionde messi,
l’aria del lago a mitigare l’arsura estiva,
a lenire il freddo nebbioso dell’inverno.

In altri tempi clamori d’arme,
cozzi di cavalli nell’impeto dello scontro,
sudore misto a sangue profuso a volontà,
in nome di un’Italia che ora queta riposa.

San Martino, Solferino, Custoza,
nomi che s’imparano a scuola,
ricordi di risorgimentali battaglie,
francesi, austriaci e piemontesi
a scannarsi per l’altrui gloria.

Il rosso dei campi è ora solo quello dei papaveri,
gli unici suoni sono quelli dei trattori,
o le voci di teneri innamorati
che camminano pensando solo al futuro,
senza memoria di un passato lontano,
di un tempo finito.

Maestose steli sui colli ricordano
morti senza nome,
ossa senza nazionalità,
poveri teschi dalle occhiaie vuote,
un monito per chi ancora non sa vedere
l’inutilità e la bestialità di una guerra.

E nelle notti d’estate la brezza del Garda
sembra portare voci sommesse di un coro,
un sussurro,
un anelito di vita,
il rimpianto di chi qui ha lasciato
per sempre la speranza nel futuro.









Le foto di questo articolo, tutte reperite su Internet,
sono relative alle località visitate e per la precisione,
nell’ordine dall’alto in basso, Goito, Volta Mantovana,
Custoza, Monzambano, San Martino della Battaglia,
Cavriana e Solferino.


La mia casa, di Gabriele Oselini



La mia casa
di Gabriele Oselini
Prefazione di Gino Ruozzi
Fara Editore
Poesia
Collana Sia cosa che
Pagg. 64
ISBN 978 88 97441 43 4
Prezzo € 11,00


Amarcord


Di Gabriele Oselini avevo già letto Piove, una silloge che mi aveva positivamente impressionato per il languore che lentamente mi avvolgeva nello scorrere quei versi che così efficacemente descrivevano un paesaggio, quello padano, da cui, pur essendo abituato, mi è ancor oggi impossibile non restare attratto.
Questa nuova raccolta, dall’emblematico titolo La mia casa, mi fa sprofondare nell’essenza di una natura e di un modo di vita che va scomparendo, in una sorta di Amarcord che dolce scende dal cervello al cuore. Più che una riscoperta, più che una poesia del ricordo, mi sembra di essere presente al canto di una civiltà che mi ha cullato e che ora vuole abbandonarmi, anche se non è così, perché l’abbandono è solo, pur inconsciamente nostro.
Sono visioni che si ripetono di una tradizione agreste, di un’epoca in cui la famiglia aveva un diverso significato, in cui le ricorrenze assumevano quasi una sacralità che assai presto non potremo che rimpiangere (  da Gnolini: sulla bianca tovaglia / in fila / sinfonia / di forme rotonde / giallo caldo / pieno /…). Sembra di vedere questi agnolotti appena creati dalle abili mani della massaia, ben allineati, in modo da non incollarsi, dalle forme, dal colore e dal profumo invitante, in tacita attesa del brodo in cui andranno a cuocere per la delizia del palato.
Ma é tutta un’atmosfera che si viene a ricreare, quella di un mondo che assai probabilmente i prossimi nati non conosceranno, mentre gli altri, quelli già con un po’ di anni sulle spalle, hanno inconsciamente disconosciuto, schiavi dell’avidità per un denaro che non basta mai e continuamente desiderosi di un effimero nuovo (da Donna dei ricami: quale sia / il tuo pensiero / seduta / sulla sedia di paglia /vicino ai girasoli / assetati d’agosto / non so / donna dei ricami /…). È un’immagine ieratica, di un tempo lento, mai fuggente, una perfetta integrazione di un essere umano con la natura, una visione che ormai non è che un ricordo.
Mi permetto di evidenziare come questi versi non siano aulici, ma nello loro scarna brevità riescono a coinvolgere il lettore, immergendolo in un’atmosfera accogliente e rarefatta. Il prefatore addirittura fa un richiamo a Ungaretti per questa concreta capacità espressiva, non disconoscendo tuttavia che un po’ d’influsso del Pascoli è presente, e in effetti è così. L’abilità di Oselini è stata quella di amalgamare in pressoché perfetto equilibrio la capacità di sintesi del padre dell’ermetismo con la malinconica dolcezza del decadente Giovanni Pascoli, e questo è indubbiamente un merito e fa di questa raccolta un qualche cosa di nuovo nel panorama letterario italiano, ed é quindi anche per questo meritevole della massima considerazione. E’ inutile che dica che in questo mondo mi piace ritrovarmi, amo riassaporare i gusti di un tempo che è stato, riandare a semplicità di vita ormai sconosciute, e in questo avverto anche lo spirito di un grande poeta, per non dire grandissimo, mantovano come il sottoscritto e come l’autore, quel Publio Virgilio Marone che nelle sue esemplari Bucoliche seppe così bene parlarci di una realtà, in cui uomo e natura si integravano alla perfezione, ideale e perfetto rifugio dagli sconvolgimenti, anche drammatici, di cui gli umili, unici autentici validi rappresentanti del genere umano, sono spesso vittime incolpevoli.
E La mia casa, che dona il titolo all’intera raccolta, bene rappresenta, nel suo esemplare equilibrio formale, fatti ormai irripetibili (…/ e cancelli aperti / su filari / di mele cotogne / pesche / e ciliegie / per il rito / sacro a mia madre / della mostarda / di Natale).
La mia casa è una gran bella raccolta, di rara elevata qualità.    

Nato a Viadana in Provincia di Mantova il 19 settembre 1953 ed ivi residente, Gabriele Oselini  si è laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Parma. Negli anni ’70 ha conosciuto Daniele Ponchiroli, viadanese, caporedattore della casa editrice Einaudi, dal quale ha avuto stimoli importanti e utili alla propria formazione culturale e umana e col quale ha intessuto un rapporto di profonda amicizia. È insegnante di Italiano e Storia presso l’Istituto Tecnico Scientifico “Ettore Sanfelice” di Viadana. Sposato con due figlie, impegnato in politica, ha ricoperto per anni l’incarico di Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione e Politiche giovanili del suo Comune. È appassionato di letteratura e di poesia, con particolare attenzione per quella
latinoamericana del Novecento. Ha partecipato a diversi concorsi locali e nazionali: è stato segnalato alla III edizione del concorso “Pubblica con noi” di 
Fara Editore, con cui ha pubblicato nel 2005 una selezione di poesie all’interno di Abtologia Pubblica  e, successivamente, le sillogi Specchio (2006),Finito (2008) e Piove (2011). Ha collaborato con Fuoco fuochino (la casa editrice più povera del mondo) diretta da Afro Somenzari.

Recensione di Renzo Montagnoli



MondoBlog del 21 maggio 2014

MondoBlog

Le segnalazioni odierne: