domenica 16 settembre 2018

A Camerino, di Sergio Menghi







A Camerino (MC)
di Sergio Menghi


Un silenzio inconsueto regna questa mattina,
rotto appena dal tintinnio della fontana,
in questo giardino nella Rocca Borgiesca
del Comune di Camerino.
Da quando, in un attimo, ci fu lo sconquasso
qui la vita è cambiata ed anche il piccione,
che solitario va alla fontana,
lo fa con timore di un evento maggiore.
Le statue intorno, naturalmente silenti,
sembrano pensare a quei tragici momenti
ma da una sprigiona una poesia eterna
che qui a Camerino ha lasciato l'impronta.
Ė quella di Ugo Betti che, anche in questi momenti,
sa ancora parlare alle genti.


Davanti alla Madonna delle Grazie, di Renzo Montagnoli







Davanti alla Madonna delle Grazie
di Renzo Montagnoli




Quando il sole va a
e cede il passo alla sera
sul sagrato della chiesa
alla luce dei lampioni
inizia l’artistica tenzone.
Son Madonnari d’ogni dove
giungon qui anche da lontano
perfino dalle Americhe e dall’Asia
per contendersi il trofeo.
Stridono i gessetti sull’asfalto
poco a poco prende vita
quello che sarà un quadro
che il sole,
ma soprattutto la pioggia,
porterà via.
Qui una Madonna con bambino
là una Sacra Famiglia
più avanti ancora
un dolente Cristo morto.
E domani avremo il vincitore
che stringerà gioioso
i gessetti d’oro
poi si va
si torna a casa
con il pensiero rivolto
alla prossima tenzone,
e con la speranza
che il cielo non pianga
che l’opera non sia
troppo alla svelta cancellata.


Ogni anno, il 15 di agosto, sul sagrato della Chiesa della Madonna delle Grazie c’è il concorso internazionale dei Madonnari, gli artisti dei gessetti



Oltre il verde, di Vincenzo D’Alessio








Oltre il verde
di Vincenzo D’Alessio




C’è qualcosa oltre il verde
che attrae i nostri pensieri
la terra e il sudore degli uomini
confusi nelle spire del tempo.


Chiazze assolate di ulivi
(dolcezza di una donna paziente)
le speranze di un grande avvenire.


Il nonno era il mito terreno
mio padre l’impegno in persona.


È morta la terra da arare e
mille fabbriche hanno stretto d’assedio
le macchie di aceri e querce.


Non amo il progresso assassino
univoco nel dare benessere.
Disegno con lampi d’ingegno
una siepe e il profumo di lievito.


Da La valigia del meridionale e altri viaggi (Fara, 2012)


Orfani bianchi, di Tiziana Monari





Orfani bianchi
di Tiziana Monari




Nell'orfanotrofio la notte allungava tentacoli sui visi scomposti dal pianto
c'era il tempo di sempre, un giorno urlante e feroce
i letti in fila per tre, l'odore di cavolo e straccio
le pentole bruciate sul fondo


e solo castagne, per colazione, per pranzo, per cena
pane e castagne al mattino, polenta e castagne alla sera
le proteine oneste dei poveri
e la domenica castagne bollite, caldarroste con un poco di miele


ed i bimbi con le occhiaie affondate nel cuore erano schegge di note stonate
le bocche avevano fame, la voce era un groppo alla gola
il cuore era monco privo di fiato e di suono


I sorveglianti attraversavano assenze, mancanze
il loro passo che risuonava nel vuoto
solo una castagna seccata in tasca e l'odore dell'orzo
faceva librare quei sogni che si inceppavano come aquiloni legati ad un albero
in un posto dove la vita sapeva di terra e di muschio
ed i giorni erano repliche di dolore e di fame.






Sulla strada di Niccioleta, di Salvatore Armando Santoro







Sulla strada di Niccioleta
di Salvatore Armando Santoro




Piovono stelle questa notte
al buio
fermo su una piazzola
sto guardando
un porcospino ondeggia
e sta scappando
ma il cielo questa notte
sto guardando.

Piovono stelle,
ce ne sono tante,
il gran carro m'ammalia
e un po' distante
l'Orsa Minore
sembra m'avvolga
dentro il suo splendore.

La testa spingo tutta dietro il collo
(Dio benedetto questa cervicale)
mi gira il mondo intorno
e sto cadendo
allo sportello dell'auto m'attacco
questo cielo stellato mi dà smacco.

Ho un po' paura:
con loro sto girando
nell'universo da ottant'anni volo.
Dove penso d'andare?
Io sto tornando solo a Boccheggiano,
taglio per Niccioleta e poi mi fermo
(lo faccio spesso) ai limiti del bosco
resto a guardare il cielo e le sue stelle.
Penso ai potenti,
commisero me stesso e i prepotenti,
domande non mi pongo,
più risposte non voglio, neppur cerco.

Aspetto in trepidante attesa
per tutti arriva l'ora della resa.


Caporetto, di Alessandro Barbero








Caporetto
di Alessandro Barbero
Editori Laterza
Saggistica storica
Pagg. 645
ISBN 9788858129807
Prezzo Euro 24,00




Una disfatta non inattesa




Credo che sia difficile trovare un evento nella ancor pur breve storia dell’Italia che abbia colpito il nostro popolo in modo così evidente, al punto di definire ogni risultato particolarmente negativo come “una Caporetto”. Del resto, in quelle giornate di fine ottobre del 1917 poco ci mancò perché le truppe tedesche e austriache arrivassero a dilagare nella pianura padana, determinando di fatto la fine del nostro stato.
Ma come è potuto accadere che un esercito come il nostro, quasi sempre in numero ben superiore all’avversario e dotato di moltissime artiglierie venisse di fatto ridicolizzato da un nemico che dopo undici battaglie sull’Isonzo si riteneva incapace di sostenerne una dodicesima? Proprio per questo motivo, nel timore di un crollo con un altro scontro diretto, l’alto comando austriaco si risolse di chiedere aiuto all’alleato tedesco e insieme elaborarono un piano che, se nelle intenzioni era volto ad alleggerire la tensione sul fronte, di fatto arrivò quasi a ottenere una nostra irreparabile sconfitta, insomma una Waterloo o una Stalingrado. Data la tematica non pochi storici hanno provato a dare una risposta, più o meno convincente, ma comunque non così attentamente elaborata come ha invece fatto il prof. Alessandro Barbero. L’impegno nell’opera è stato notevole, se si considera che il volume, edito da Laterza, consta di ben 645 pagine, ivi comprese quelle dedicate alle carte geografiche, poche in verità, ma utilissime; non mancano poi alla fine corpose parti dedicate alle indispensabili note e alla ragguardevole e ben scelta bibliografia. Il lavoro è stato ben strutturato in XIII capitoli, che vanno dall’ideazione dell’offensiva alla nostra ritirata in Friuli, affrontando tutta una specificità di aspetti che se non riescono a dare una risposta certa al 100% su chi fu colpevole del disastro, chiariscono però non poche cose. In particolare, e qui Barbero è piuttosto esplicito, ritiene che la colpa non può essere attribuita solo a Cadorna, a Badoglio o al suo comandante dell’artiglieria colonnello Cannoniere, perché la responsabilità, come esposto nel saggio storico, è condivida da tantissimi altri. Lo sfacelo del fronte, con il collasso del nostro esercito, fu il fallimento di un’organizzazione posticcia, in cui le direttive erano a dir poco nebulose, le decisioni importanti erano prese in modo intempestivo, la professionalità latitava, la paura di assumere provvedimenti, con l’assunzione quindi di responsabilità, era la norma, la stanchezza di quasi tutti i soldati era giunta a un punto tale da far preferire loro la fuga o la resa. Inoltre, il distacco fra comandanti e militari semplici era tale da lasciar chiaramente intendere che i primi costituivano una casta, mentre i secondi erano solo carne da macello, e del resto in quest’ottica si preferiva nominare ufficiali, dopo un corso affrettato, giovani inesperti, ma figli della borghesia, invece di ricorrere ai subalterni (sottufficiali) che avevano maturato una grande esperienza in anni di guerra. Cadorna, che non era uno stratega scadente, anzi era un buon comandante sotto questo aspetto, aveva poi il difetto di considerare i componenti del suo esercito come semplici strumenti in mano a lui, artigiano della guerra, strumenti da spremere senza alcun riguardo. E pensare che aveva avuto a portata di mano la possibilità di vincere la battaglia risolutiva, se avesse preceduto, di poco, l’offensiva nemica, cogliendola nella fase di attesa, quella più delicata, con tutte le truppe in prima linea. Il nostro Servizio informazioni gli aveva detto dove sarebbero avvenuti gli attacchi, le forze utilizzate, i mezzi che sarebbero stati impiegati, il giorno e l’ora, ma come già accaduto in passato il comandante supremo non si fidò del nostro spionaggio, con le conseguenze che tutti conosciamo.
Quindi, ricapitolando, l’opera di Barbero, ben strutturata organicamente, è in grado di offrire una visione a 360° dell’intero evento, e ciò viene fatto con rigore storico, ma anche con dinamismo e a volte con quelle punte di ironia che sono proprie dell’autore, così che la lettura risulta agevole e anche avvincente, tanto di avere sovente l’impressione di essere presenti, come spettatori, sul palcoscenico che ospita il tragico fatto. Tale coinvolgimento è di particolare rilievo ove si consideri che l’analisi comprende anche la situazione della grande massa di prigionieri che fecero le forze nemiche, nonché gli aspetti, meno strettamente militari, di quella che può essere considerata la più grande ritirata della storia, in cui non pochi soldati in fuga diedero sfogo agli istinti più repressi. Si accenna appena, invece, ai motivi per i quali migliaia di militari sconfitti e demoralizzati riuscirono da subito, giunti sulla linea del Piave, ad arrestare l’offensiva nemica; infatti, e giustamente, Barbero scrive che per far questo occorrerebbe un altro corposo libro.
Mi sembra superfluo aggiungere che la lettura di questo approfondito saggio storico non solo è consigliata, ma è da me vivamente raccomandata per la completezza con cui viene trattato l’argomento e per l’equilibrio dell’autore nella ricerca delle colpe, da cui emerge anche una caratteristica italica, quell’improvvisazione, non disgiunta da menefreghismo, che purtroppo ci portiamo dietro e che nei momenti più delicati emerge chiaramente, come anche avvenne nella seconda guerra mondiale.




Alessandro Barbero, nato a Torino nel 1959, è professore ordinario presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Studioso di storia medievale e di storia militare, ha pubblicato fra l’altro libri su Carlo Magno, sulle invasioni barbariche, sulla battaglia di Waterloo, fino al recente Caporetto  (2017). È autore di diversi romanzi storici, tra cui: Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo (Premio Strega 1996) e Gli occhi di Venezia(2011). 


Renzo Montagnoli


Dopo l’inverno e altre poesie, di Vincenzo D’Alessio








A Vincenzo D’Alessio


Con questa lettera aperta ho intenzione di toccare solo uno dei tanti volti della poesia di Vincenzo: non direttamente l’aspetto più ovvio di una “voce del Sud”, né quello più personale che si confronta con i lutti e le dure prove della vita che tutti quanti chiama in causa. Il volto che voglio ritrarre in questo quadro di parole ha lineamenti di donna.
Non conosco l’intera e vasta opera letteraria di Vincenzo D’Alessio ma, da quanto ho potuto leggere in una delle sue più recenti raccolte poetiche dal titolo Dopo l’inverno (Fara 2017), scorgo una traccia sotterranea e sottile che sembra indicare il sentiero verso un luogo chiamato vita. Simile a una terra passata e futura abitata da fiere amazzoni, le donne dipinte con fugaci pennellate da Vincenzo: donna che mente (p. 13), vedova che rinnova al corpo le fitte (p. 18), donne che molti chiamano puttane (p. 19), donne profumate come fiori di limoni (p. 19), ragazze che servono caffè (p. 29), la sua donna intenta a sognare (p. 41), la donna fra pietre e mammelle (p. 56), la sua dolce compagna che dorme (pp. 67, 69), bimbe inquiete assetate di mare (p. 73), bambina dalle idee serene di futuro (p. 78), sposa ancora vergine (p. 81), donne che mietono con le mani (p. 87), e poi le madri che, seppure potenti (p. 43), scrutano sconfitte i monti (p. 11), e poi quell’Amo Maria! (p. 64), quasi fosse un’antica Venere quale unica sua donna (p. 12) che sfila sul guanciale (p. 36).
È come se dopo l’inverno, così c’insegnano da sempre le cicliche stagioni e il sacro solstizio dicembrino, vi fosse una nuova maternità (p. 54), ancora una volta (nonostante tutto) un ricominciare daccapo. Dietro queste storie e volti di donne c’è forse un messaggio velato, o un appello che Vincenzo bisbiglia, sottovoce, all’orecchio di tali veneri? Come a dire: donne, figlie, madri, puttane, fiori di vita: fate una volta per tutte rinascere questo nostro sacro Sud. Fate nuove tutte le cose.


Giugno, 2018.


Serse Cardellini


Emily Bronte. La prima biografia completa, di Agnes Mary Robinson










Emily Bronte. La prima biografia completa – Agnes Mary Robinson - L’ArgoLibro - Pagg. 234 – ISBN  978-88-94907-25-4 - Euro 15,00




Figlia del vento e della brughiera




Prima biografia in assoluto dedicata a Emily Brontë, l'opera pubblicata da Agnes Mary Robinson nel lontano 1883 viene ora tradotta per la prima volta in Italia, per la Casa Editrice L'ArgoLibro di Agropoli (2018), restituendo al pubblico un ritratto intimo, appassionato e, sotto certi aspetti, inedito della grande autrice inglese scomparsa appena trentenne nel 1848 e di cui ricorre quest'anno il bicentenario della nascita.
Erano quindi trascorsi soltanto trentacinque anni dalla sua morte quando venne dato alle stampe questo lavoro che, proprio in virtù della vicinanza temporale all'epoca in cui vissero le tre celebri sorelle, risulta particolarmente prezioso poiché la Robinson (1857-1944), nome di spicco all'interno degli ambienti culturali europei, ebbe occasione di raccogliere la testimonianza di alcune persone ancora viventi che avevano conosciuto direttamente la sfortunata famiglia del reverendo Brontë. Come precisato nell'introduzione, lo scopo della biografia fu quello di tributare il giusto e doveroso omaggio al talento allora ancora misconosciuto di Emily, con la speranza di squarciare quel velo di dimenticanza e disinteresse che a fine Ottocento sembrava ormai avvolgerne la figura, facendo conoscere e finalmente apprezzare la sua opera che, finché la scrittrice era in vita, non ottenne riconoscimenti significativi di critica e di pubblico. Il successo a livello internazionale del libro della Robinson, che tra i suoi lettori poté vantare addirittura la poetessa americana Emily Dickinson, contribuì a riscattare l'autrice di “Cime Tempestose” e a consacrare romanticamente le sorelle Brontë come “figlie del vento e della brughiera”.
Tra queste pagine, ricche di una prosa a tratti piuttosto aulica, ma nel complesso appassionante e coinvolgente per il lettore, ecco dunque emergere una Emily che dall'infanzia fino alla “triste età adulta” restò sempre visceralmente legata ai familiari e alla propria terra (un angolo sperduto e solitario dello Yorkshire) dalla quale, fatta eccezione per un periodo di studio trascorso a Bruxelles, non si distaccò mai; una Emily molto riservata, dedita ai lavori domestici, amante delle lunghe passeggiate nel silenzio della natura, affezionatissima fino all'ultimo ai suoi cari animali.

“Mia sorella Emily […] non era una persona di carattere estroverso, né una nei cui recessi della mente o dei sentimenti anche coloro che le erano più cari o vicini potessero intromettersi senza permesso”, scriveva Charlotte che, poco prima della fine così continuava a descriverla: “Più forte di un uomo, più semplice di un bambino, la sua natura si ergeva solitaria. La cosa terribile era che, pur piena di pietà verso gli altri, non aveva pietà di sé stessa; lo spirito era inesorabile verso la carne, richiedeva alla mano tremante, alle braccia indebolite, agli occhi annebbiati la stessa efficienza di quando era stata in salute.”

Parlare di Emily significa però al tempo stesso dedicare imprescindibile spazio anche alla numerosa famiglia al cui interno lei era nata, in particolar modo alle sorelle Charlotte (1816-1855) e Anne (1820-1849), con le quali, nel 1846, pubblicò una raccolta di poesie sotto pseudonimo, e al fratello Patrick Branwell (1817-1848), a sua volta talento artistico notevole ma rovinato purtroppo dall’abuso di alcool e oppio, stando all'impietoso ritratto ricostruito dalla penna della biografa.
Ben due capitoli, di cui uno alquanto corposo, sono stati dedicati a quello che viene unanimemente considerato il capolavoro di Emily Brontë, nonché unico romanzo della sua produzione letteraria: “Cime Tempestose”. In esso, tutto il piccolo tormentato mondo dell'autrice che le ispirò ambientazione e personaggi; l'aver esposto la trama fin nei dettagli oggi potrebbe essere considerato un sovrappiù, un inutile appesantimento del racconto biografico, ma all'epoca ciò risultava in effetti funzionale al proposito della Robinson di diffondere il più possibile la conoscenza della vita e dell'opera di Emily Brontë.
Attenta curatrice del libro è Maddalena De Leo, docente di inglese e socia di lunga data della Brontë Society, di cui rappresenta la sezione italiana; a lei si deve un prezioso lavoro di traduzione che contribuisce alla piacevolezza della lettura. Non nuova a sfide editoriali di tal genere, la Professoressa De Leo ha pubblicato, sempre per L'ArgoLibro, “Storie di geni e di fate” di Charlotte Brontë in occasione del bicentenario della nascita e, per le Edizioni Ripostes, altri testi bronteani ancora inediti nel nostro Paese. Nel 2012 ha ideato il Premio Letterario Nazionale De Leo-Brontë, ulteriore lodevole iniziativa volta a rendere omaggio alla memoria e al genio delle tre legatissime sorelle.
Un grato plauso, dunque, a Maddalena De Leo e anche all'Editore per aver proposto un libro consigliabile sia a chi già ama poesia e prosa di Emily sia a coloro che volessero iniziare a farne la conoscenza.


Laura Vargiu


I Tarocchi Quantistici, di Lukha B. Kremo







I Tarocchi Quantistici – Lukha B. Kremo – Kipple Officina Libraria – Pagg. 160 – ISBN 9788898953899 – Euro 25,52


L’idea dei Tarocchi Quantistici è quella di connettere la sapienza antica, classica e medievale raccolta nei Tarocchi di Marsiglia, con quella prettamente scientifica e astrofisica, sviluppatasi dal Seicento in poi, in modo particolare con la scoperta novecentesca della Meccanica Quantistica.
Non è facile parlare di questo libro, in quanto unisce ai classici Tarocchi la quantistica passando per il concetto si sincronicità. Cercherò di estrapolare ciò che ho appreso io in questo periodo di personale informazione per colmare le molte lacune in materia quantistica e non solo.
Partiamo cercando di capire cosa sono i concetti basilari sui Tarocchi e la fisica Quantistica.
I Tarocchi è un insieme di simboli, immagini, colori, numeri e nomi che celano un’antichissima pratica e arte esoterica, assimilabile alla personalità di Ermete Trismegisto, il dio rivelatore della verità e mediatore tra gli uomini e gli dei. Di origine dibattuta i Tarocchi hanno il momento di forza in epoca medioevale, quando le allegorie e i simboli venivano utilizzati in molti settori.
La fisica Quantistica governa le nostre vite sotto ogni campo e capire le sue basi non è impossibile. Le sue leggi rispetto alla fisica “comune” racchiudono misteri che devono essere ancora decifrati. (Fabrizio Coppola, Il segreto dell’universo)
Spiegare la fisica quantistica non è cosa facile, quindi vi rimando al libro di Coppola, sopra citato, che spiega l’argomento con semplicità e comprensibile per chiunque.
I Tarocchi Quantistici di Lunga B. Kremo, riesce a coniugare Tarocchi e Quantistica attraverso la sincronicità di Jung, insieme al testo troviamo anche il mazzo dei Tarocchi composto da 64 carte, con illustrazioni spettacolari e di buona fattezza plastificata. L’autore con i Tarocchi Quantistici ha cercato di connettere gli archetipi dei Tarocchi classici con i corrispettivi astrofisici, passando da base decimale a base binaria.
Jung dedicò molto tempo alla ricerca di una teoria che potesse collegare i fenomeni psichici con quelli fisici, e l’incontro con la straordinaria mente speculativa di Pauli, premio Nobel per la fisica, gli permise di elaborare, insieme a quest’ultimo, la teoria della sincronicità: la prima spiegazione convincente del collegamento tra fenomeni fisici agli archetipi. Ipotizzo la sincronicità della contemporaneità di un evento psichico è un evento esterno, che si poteva intuire come la corrispondenza tra la domanda è la risposta simbolica delle carte estratte dal mazzo dei tarocchi.
Esistono certi metodi intuitivi (i cosiddetti metodi mantici) che procedono sostanzialmente dal fattore psichico, ma che presuppongono come ovvia la realtà della sincronicità. (…) In tutte le tecniche divinatorie, ossia intuitive, il metodo è basato sul principio del nesso acasule o sincronistico. ( C.G. Jung, La sincronicità)
La sincronicità junghiana rappresenta ancora oggi l’unico tentativo razionale e scientifico di spiegare logicamente la significatività degli eventi osservati in campo in ambito radiologico e, più in generale, mantico dando un senso anche a molti diversi fenomeni altrimenti inspiegabili: tutta la metafisica, la psicosomatica, la parapsicologia, il senso di antichi percorsi iniziatici e filosofici come l’alchimia, la stessa natura psichica e fisica del cosmo oltre i limitanti concetti di spazio e tempo.
Un libro dal connubio perfetto per gli appassionati della materia, ma anche per chi si vuole avvicinare a comprendere l’arte dei tarocchi Quantistici. Un libro che non si può spiegare se non a concetti, ma soprattutto perché bisogna mettere in pratica per aver delle risposte.


Katia Ciarrocchi




Il cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu, di Giuseppe Fiori







Il cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu – Giuseppe Fiori – Il Maestrale – Pagg. 512 – ISBN 9788864290249- Euro 12,00




Intelligenza politica




Leggere Giuseppe Fiori è una garanzia, certi il piacere della lettura, la completezza delle informazioni, il rigore documentaristico delle sue biografie; dopo quella dedicata a Gramsci è giunta la volta, per me, dell’altra pietra miliare della storia sarda: Emilio Lussu. E non vada oltre, con atteggiamento da snob, chi pensa si tratti di passione regionalistica; qui siamo di nuovo di fronte alla storia italiana, europea, a tratti extraeuropea, che ha caratterizzato il secolo scorso.
La vicenda umana di Emilio Lussu è racchiusa tra il 1890, anno della nascita ad Armungia, paese del Gerrei, sud Sardegna, e il 1975 anno della morte a Roma, in miseria a ottantacinque anni. Una vita intensa che abbraccia i natali presso una famiglia di alto rango, gli studi, la laurea all’alba dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, la guerra con la gloriosa Brigata Sassari, il passaggio dall’interventismo alla condanna del conflitto, il disagio del reduce, le prime esperienze politiche, la nascita del Partito Sardo d’azione, il fascismo, l’antifascismo, il confino, l’evasione da Lipari, l’antifascismo all’estero, in perpetuo esilio e in perpetua fuga, l’amore di Joyce, la guerra civile, la Resistenza indipendente durante la seconda guerra mondiale, l’attività di scrittore, la ricostruzione dello stato postfascista, l’attività da parlamentare, la svolta socialista. Un raro esempio di rettitudine, coerenza, intelligenza politica che termina il suo percorso esistenziale proprio quando l’Italia ne avrebbe avuto ancora estremo bisogno.

La biografia è dunque densa di eventi e puntellata di importanti snodi ideologici che permettono di comprendere il pensiero politico di Lussu, le esigenze che lo animano, il contesto storico che lo nutre e lo respinge. Vengono citati, fra gli altri, i romanzi Un anno sull’altipiano e Marcia su Roma e dintorni, e il racconto Il cinghiale del diavolo ad arricchire l’aspetto biografico mentre i saggi chiariscono il pensiero e la sua evoluzione, rendendo il profilo dell’uomo ancora più elevato rispetto all’azione che non certo si risparmiò. In particolare “Tirannicidio e terrorismo”, con la ricusazione di ogni forma di violenza anche contro il tiranno, benché, al di là di ogni ipocrisia, l’impresa di uccidere un dittatore sia moralmente sentita come grande. La capacità di riflettere sul terrorismo come atto politico e di non scinderlo dal mero atto fuorilegge, da evitarsi dunque, oltre alla capacità di intuire la potenza inversamente proporzionale rispetto all’obiettivo primario, il prestigio del dittatore aumentando, rendono la dissertazione una lezione dall’alto valore civile e morale. Utile anche la riflessione contenuta nello scritto “La ricostruzione dello stato”, e la lucidità di pensiero che lo caratterizza teso al rinnovamento di tutta la classe politica all’insegna dello stato democratico e repubblicano. Emerge un pensatore dal grande pragmatismo, poco compreso dai contemporanei, capace di analizzare il fenomeno italiano del comunismo e di sorridere dell’“anticomunismo epilettico”, così lo definiva, che non permetteva aperture ideologiche ai socialisti. Il socialista più comunista che si sia mai visto, guai però a chiamarlo tale, arriva ad abbandonare il Psi, già aveva lasciato il Psdaz, non accettando la scelta di Nenni di collaborare con la Dc. Coerente fino alla tomba.
Ottima lettura, per tutti e per ogni tempo.


Siti


La chiave rubata e altre storie, di Gianni Simoni







Gli inediti di  G.Simoni





Leggendo romanzi gialli siamo abituati a definirli metafici, psicologici, sanguinari, drammatici, ma leggendo quelli di Gianni Simoni non possiamo trattenerci dal definirli “simpatici”, perché simpatico è l’autore e le situazioni che ci propone.
E questo è dunque il caso anche di «La chiave  rubata e altre storie» ( TEA, pp. 229, euro 14), dove l’Autore si concede il lusso di percorrere la via al contrario – strada che si era concessa già il grande Simenon – ovvero quella,  che sottolinea in prefazione, – di porgerci un libro di racconti che, rimasti nel cassetto, ora trae fuori proprio per noi. Tutti gli autori, o quasi, iniziano dai racconti, ritenuti più facili (ah! Come si sbagliano, basterebbe pensare a Carver per citare uno fra i tanti) e passano poi alle lunghe narrazioni, qualche volta pletorici romanzi, perché se non si è Dostoevskij o Proust o Manzoni,  il lungo narrare finisce con l’annoiarci – e passano poi agli articolati romanzi.
Simoni, che lo faccia di proposito o che gli fossero rimasti nel cassetto, ormai a corto di idee, vi propone questa silloge in cui – dice «la particolarità consiste nel fatto che in alcuni racconti non ci troviamo di fronte a Petri che conosciamo, un ex giudice istruttore che spesso collabora con le forze di Polizia, ma a un Petri più giovane, nel pieno della sua attività di magistrato. Come si potrà rilevare – prosegue l’Autore – i suoi tratti sono però quelli che conosciamo dal carattere non facile, a volte un po’ burbero, volutamente, anche se dotato di ironia e di autoironia».
«Non è un eroe, ma un semplice galantuomo sempre rispettoso della varia umanità con cui viene a contatto anche se non sopporta, pur cercando di non darlo troppo a vedere, coloro che in cuor suo ritiene appartengano alla categoria degli sciocchi o dei furbi. E queste caratteristiche lo seguiranno negli anni, nel rispetto delle regole non potendo però rinunciare a una sorta di pietas che sente verso la vittima, ma in qualche misura anche verso il suo carnefice».
Fregandosene altamente di quanto affermano alcuni critici per cui la buona letteratura non dovrebbe mai essere autobiografica, Simoni  seque la strada contraria a Simenon – che in Maigret vedeva il suo alter ego rovesciato, il nostro ex magistrato va giù diritto, non facendo pedissequa cronaca di casi da lui conosciuti, ma creando una sapiente miscela di vero ed inventato, o meglio di fatti che potrebbero essergli veramente accaduti
E noi divoriamo sei storie inedite, sedendoci fra i personaggi, intimoriti e diverti allo stesso tempo, affascinati dalla vis comica di questo autore che per alcuni versi ci ricorda anche un po’ il Camilleri del Commissario Montalbano. Nord e Sud della nostra difficile Italia, senza dimenticare una spruzzatina belga di quel gigante di Simenon, formano un cocktail gradevolissimo che si beve tutto d’un sorso, conservando un po’ di sete, perché Gianni Simoni, che a suo tempo, si rivelò a noi  con «Il caffè di Sindona», in collaborazione con Giuliano Turone (Garzanti), da  anni per TEA ci ha abituati ai casi dell’ex giudice Petri e del commissario Miceli e delle indagini del commissario Lucchesi, due serie premiate entrambe da un progressivo consenso di pubblico e critica, sempre in aumento.




Grazia Giordani






MondoBlog del 16 settembre 2018


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