martedì 10 settembre 2013

Una giornata molto particolare, di Renzo Montagnoli


                                                                     Foto da web



Una giornata molto particolare

di Renzo Montagnoli

 

 

Un’estate così sarebbe stata da ricordare negli anni a venire.

Giorni e giorni di un sole che bruciava, notti torride imperversano da almeno un mese e i loro effetti cominciavano ad avvertirsi chiaramente. A parte la gente che si trascinava al lavoro sotto la canicola, i decessi per disidratazione  o per colpi di sole, erano sempre più frequenti i casi di qualcuno che usciva di testa. Non passava giorno senza che sul giornale si leggesse di un integerrimo cittadino trovato a girare nudo per la città, declamando La Gerusalemme liberata, oppure di una suora impazzita che spergiurava di avere avuto un colloquio a tre con Dio e il Maligno. E questi erano i casi più inoffensivi, perché non era raro che qualcuno, sceso in strada con un coltello in mano con cui stava affettando il salame, si mettesse a menar fendenti a destra e a manca, per non parlare dell’episodio del marito tradito che, per vendetta nei confronti dei maschi, si era messo a fare collezione di testicoli altrui.

Anche nei luoghi in cui si decidevano le sorti del paese non era meglio, anzi le cose erano peggiorate, tanto da far pensare che dei matti erano impazziti, con il presidente del consiglio che, fra il proclama di essere il migliore di tutti i tempi e la promessa che, grazie a lui, sarebbero state guarite tutte le malattie di questo mondo, con tono serio dichiarava che il 105% della popolazione approvava il suo operato.

In questo contesto non era difficile prevedere che quell’estate prima o poi sarebbe scoppiata in qualche cosa di imprevedibile ed eclatante, ma se su questo assunto c’era un concorde giudizio, sul quando e sul come nessuno si sentiva di azzardare previsioni.

I giorni passavano, il caldo aumentava, le colonnine di mercurio scoppiavano.

Il 31 luglio, giornata più torrida della precedente già dall’alba, il notaio Girolamo Sbrogliacarte uscì dalla sua abitazione per recarsi allo studio, distante non più di cinquecento metri. Era anziano, ormai ottuagenario, ma, come sua abitudine, usava il mezzo primitivo, cioè i suoi piedi, per fare una passeggiatina, come soleva dire, anche se 34 gradi già alle 7 del mattino la rendevano ben più faticosa di un’escursione.

Il moto fa bene – aveva detto alla moglie che gli comandava di non andare in ufficio o comunque di ricorrere a un taxi.

Sarà un po’ faticoso, ma si muovono i muscoli, i nervi si tendono, le vene varicose ne hanno un beneficio – aggiunse.

In verità quei 500 metri, o qualcosina di più, gli consentivano di passare dal bar a bersi un caffè fatto come Dio comanda, a fumarsi quella rilassante sigaretta assolutamente proibita da sua moglie e da Linuccia, una cariatide da 120 Kg., sua assistente nello studio e che di fatto se n’era impossessata, a comprare il giornale da quel simpaticone dell’edicolante e a parlare con lui dei titoli di testa, a conversare con tante altre persone che iniziavano, anche loro, ad animare la giornata della piccola cittadina.

Il problema suo era che gli mancava un po’ di libertà; in casa, la moglie gli aveva sempre comandato, trattandolo anche con disprezzo e non era certo meglio l’atmosfera dell’ufficio, con quella Linuccia che non solo mancava di rispetto appena possibile, ma  che addirittura, con il passare degli anni, era diventata quasi una seconda moglie, del tutto simile alla sua.

Come fu fuori di casa trovò, come sempre, l’avvocato Armentano che, stranamente, andava di fretta. Dico stranamente perché era conosciuto per la congenita letargia delle pratiche trattate, cause che si trascinavano da decenni, in cui gli attori e i convenuti mutavano inevitabilmente per successione.

- Buongiorno, avvocato.

- Buongiorno a lei notaio.

- Come ha trascorso la notte?

- Non bene, ma mi deve scusare, perché vado di fretta e sono costretto a non fermarmi.

- Di fretta, avvocato? Come mai?

- E’ una di quelle cause avviate dai nonni e ora con mandanti i nipoti, e sembra che si possa concludere alla svelta.

- Ebbene?

- Ebbene, ci devo mettere tutto il mio ingegno, senza farmi aiutare da quegli scansafatiche dei giovani di studio. Sa, come si dice, chi fa da sé fa per tre.

Boom!

In un attimo il notaio di trovò di fronte tre avvocati Armentano, uguali come gocce d’acqua, che si allontanavano velocemente salutandolo in coro.

Sbrogliacarte rimase a bocca aperta, poi si passò una mano sulla fronte, che scottava.

- Questo caldo fa venire anche le visioni – sbottò, poi prosegui, ma fatti nemmeno pochi metri s’imbatté nella delizia di ogni giorno, la dottoressa Anna Dejure, magistrato del locale tribunale. Alta, ben tornita, due seni da urlo, questa sì che faceva impazzire.

- Buona giornata, signor giudice.

- Buona giornata a lei.

- Fa jogging anche con questo caldo?

- Sì, la forma prima di tutto, e poi quest’ora di corsa mi rilassa e mi aiuta a giudicare meglio.

- Ha ragione.

- Le posso chiedere un favore?

- Dica.

- Può inventarsi un appuntamento con me per oggi nel pomeriggio?

Benché avanti con gli anni, Sbrogliacarte inizio a sbavare, con gli occhi fissi sul ballonzolamento dei seni (il giudice continuava a saltellare su due piedi) e sospirò:- A che proposito?

- Nessuno, ma devo liberarmi del Dottor Pisano, il presidente del tribunale che, con la scusa di una sistemazione delle udienze e a conoscenza del fatto che non ci sarà mio marito, vuole avermi con sé nel pomeriggio per farmi delle proposte che anche lei penso possa immaginare.

- Non c’è problema, ma che devo fare?  – ansimò.

- Questa mattina gli fa una telefonata, dice che ha provato a cercarmi, ma non mi ha trovato, poi lo prega di avvisarmi che l’importante appuntamento nel suo studio di domani è anticipato a oggi nel pomeriggio.

- Va bene, ma lei poi verrà al mio studio?

- Certo che no, ho altri impegni.

Sbrogliacarte fece un sorrisetto di circostanza, poi, di malavoglia, assicurò che avrebbe provveduto in merito. 

- Grazie, notaio, lei è sempre gentile. Non sa il piacere che mi ha fatto, perché sa, come si dice, è meglio un morto in casa che un Pisano all’uscio.

Boom!

Squillò il telefonino del giudice, lei accostò l’orecchio e impallidì, poi il suo volto assunse un’espressione d’angoscia.

- Che è successo?

- Devo correre a casa, è morto mio marito!

Rimase basito e la guardò correre verso casa il più velocemente possibile.

Come imbambolato riprese il cammino e quasi nemmeno s’accorse del parroco che lo sorpassò. Notò solo le chiappe che dondolavano, belle tornite, d’un bianco latteo rispetto al resto del corpo, nudo come mamma l’aveva fatto.

Era il momento del giornale, quello più atteso, con l’edicolante, Matteo Stampa, già sessantottino, poi della gioventù comunista, approdato con rammarico al Partito Democratico.

- Buongiorno, notaio. Ha sentito la notizia?

- Quale notizia.

- Il nostro segretario ha detto che quello che sta al governo, quello che comanda tutti deve andarsene. Lei che dice?

- Dico che finalmente l’opposizione fa l’opposizione.

- Parole sante, soprattutto perché dette da un borghese come lei. Mi piace il nostro segretario, uomo deciso, che dice pane al pane e vino al vino. Era ora che ci fosse una dichiarazione del genere e ora, a quello, gliela faremo vedere noi!

- Vedremo.

- Vedremo? Il nostro ha fatto il passo, dicendo quello che vado predicando da tempo: bisogna prendere il toro per le corna!

L’edicola, un chiosco in ghisa, ebbe come dei sussulti, come se fosse sbattuta di qua e di là.

Sbrogliacarte alzò gli occhi dalla prima pagina del suo quotidiano, già immaginando quello che avrebbe visto e così fu.

Matteo Stampa si affannava, con uno sforzo sovrumano, a resistere a un magnifico toro Miura che teneva per le corna. La bestia, ma che dico, il mostro, sbuffava, scalciava, con gli occhi iniettati di sangue.

Il notaio si allontanò il più velocemente possibile, percependo con la coda dell’occhio che l’edicola, divelta dalle sue fondamenta, veniva sbattuta in aria.

Un caffè, ecco quello che ci voleva, un caffè forte e quindi si precipitò al bar.

- Un caffè, Marianna.

- Che fretta, Notaio, non ha caldo?

- Sì, sì ho caldo, ma bramavo il tuo caffè.

- Un attimo e lo faccio. A proposito, ha saputo di quel che è successo alla signora Lidia?

- Lidia?

- Sì, quella mezz’età ancora fascinosa e con la faccia da troia.

- Ho capito, ma cos’è accaduto?

- Lei, che lo ha sempre tradito con il primo paio di pantaloni che incontrava, lo ha trovato a letto con la Rosa.

- Chi ha trovato a letto?

- Ma Ernesto, il marito!

Sbrogliacarte prese la notizia con beneficio di ampio e accurato inventario, perché Marianna, la lingua lunga del quartiere, ne raccontava di vere due e di false dieci.

- Ernesto con la Rosa? Lui ha una quarantina d’anni e lei ne ha ottanta!

- Beh, che c’è, al cuor non si comanda.

- Certo che deve avere un bello stomaco.

- Eh, caro notaio, la Rosa non sarà un fiore, ma è una esperta e certi uomini desiderano cose inconfessabili.

- Spero almeno che l’abbia fatto a luce spenta, ma mi sembra talmente impossibile, che stento a credere.

- Notaio, la qui presente Marianna non racconta balle. Che mi prenda un fulmine, se ho mentito.

- Noooooooooooo!

Boom.

Una volta ripresosi dall’abbagliamento di quella luce accecante, cercò invano Marianna, ma oltre il banco non trovò che un mucchietto di carne carbonizzata.

Niente caffè, una giornata jellata.

Riprese il cammino e per fortuna fino a quasi nei pressi dello studio non incontrò nessuno, a parte uno scalmanato che gettava mobili dal balcone, un altro che da dietro a una finestra sparava sui passanti dell’altro marciapiede e un’automobilista che si sforzava di parcheggiare dentro un cassonetto delle immondizie.

- Caro Girolamo!

La voce si materializzò con il possessore.

Sbrogliacarte guardò l’uomo che gli si trovava davanti, ma per quanti sforzi facesse non gli ricordava nessuno.

- Terza elementare, secondo banco da sinistra.

- Non ricordo.

- Non ricordi? Ma se ti rubavo sempre le merendine.

Ci fu una prima schiarita nelle nubi mentali del notaio.

- Figlio di un cane, allora eri tu il ladro.

- Ragazzate, bambinate, e poi è passato tanto tempo.

- Sì, ora mi viene in mente, ma non ricordo il nome.

- Antonio, Antonio Gazza.

- Ma certo, Antonio, l’Arsenio Lupin delle merendine.

- Ti piace sempre scherzare, noto.

- La butto in ridere, ma tu non puoi sapere quanto mi sono mancate le merendine. Beh, come stai e come ti va?

- Sto bene e mi va liscia come l’olio, ho fatto carriera.

- Non rubi più le merendine, allora; mi chiedo il perché sottrarre a un altro bambino la sua colazione, visto che tu avevi la tua.

- Sai, Girolamo, come si dice l’occasione rende l’uomo ladro.

- Nooooooooo!

Non accadde nulla, però.

- No? Prendi i nostri politici, che non si accontentano delle occasioni che si presentano ma che le creano.

- Vero.

- Girolamo, ora devo andare, ma ti assicuro che ci ritroveremo. Ciao.

- Ciao.

Strano, ma non era successo nulla, proprio nulla. Guardò l’amico ritrovato allontanarsi, poi riprese la strada verso lo studio.

Erano accadute cose strane, che lo avevano turbato, ma ora si sentiva calmo e leggero. Leggero? Un po’ troppo leggero e la sua mano corse frenetica alla tasca interna della giacca dove teneva il portafoglio, senza tuttavia trovarlo.

Antonio, hai fatto veramente carriera, dalle merendine ai portafogli – disse fra sé.

Un ordine imperioso lo fece trasalire.

- Presto, che è tardi – il bombolone da 120 Kg. stava sulla porta dello studio, lo sguardo torvo, agitando una mano come se tenesse il frustino.

- C’è da fare, al lavoro, pelandrone.

Sbrogliacarte pensò alla sua vita, fra l’incudine (il bombolone) e il martello (sua moglie): ordini su ordini, nessuna libertà, prospettive zero.

Gli venne l’idea, ben sapendo quello che faceva e con sollievo urlò: - No! Basta, vecchia balena!

Lei lo guardò stupita, mentre lui la fissava ripetendo mentalmente Fa che lo dica, fa che lo dica…

Il bombolone sbottò in una risata, esclamando: - Ma che ti prende? Non ti ho mai visto così, cacasotto; sei sempre stato a testa china e ti ribelli ora che sei decrepito?  Io lo so che cosa ti è capitato, anzi ne sono sicura, ti è venuto l’alzheimer. Certo, l’alzheimer, e magari già ti pisci addosso.

Lui non rispondeva, in ansia attendeva quella frase, si limitò solo a riderle in faccia.

- Ridi, che hai da ridere? Sei proprio diventato scemo  e se non è così che mi venga un accidente!

Fu un attimo e il bombolone rovinò a terra, con un gran sconquasso, sollevando un polverone.

Sbrogliacarte tirò un sospiro di sollievo, perché dopo una vita da sottomesso quello era il suo giorno fortunato e doveva approfittarne. Non restava che lei, quell’arpia di sua moglie, ma adesso l’avrebbe sistemata. Si avviò veloce verso casa, con il sudore che colava a rivoli, e poi a ruscelli, e poi a veri e propri fiumi che lo inzuppavano tutto.

Quella frase, quella pronunciata dal bombolone doveva uscire anche dalle labbra della sua acida metà.  Gliela avrebbe tirata fuori, rinfacciandole tutta una vita di tormenti, di ordini, di piatti lavati, di pulizie effettuate in casa, ah sì non avrebbe potuto non reagire a quello che le avrebbe detto.

Giunse infine davanti alla porta, suonò.

Nulla, nessun rumore, nemmeno la sua voce sguaiata, suonò di nuovo, stesso risultato. Allora prese la chiave, l’infilò tremando nella toppa ed aprì. Il corridoio era buio, come tutta la casa, con ancora le serrande abbassate. Cominciò a preoccuparsi, andò in ogni camera e fu nel bagno che la trovò, riversa sul pavimento, gli occhi sbarrati, ormai esanime da ore.

Si mise a ridere, alzò le braccia al cielo e s’inginocchiò a ringraziare il Dio dei reietti.

Restò così, ancora incredulo, poi si rialzò e ritornò in bagno.

Sì, non c’era ombra di dubbio, l’arpia era proprio morta.

Gli occhi sbarrati fissavano il vuoto e anche lui provò a seguirne il percorso: il lavandino, le mattonelle verdastre, la doccia. Non avrebbe più gridato, né lo avrebbe obbligato a pulire i pavimenti, insomma era finalmente libero.

Si spogliò lentamente, poi si accoccolò nella doccia, a godere della frescura dell’acqua che scivolava sulla sua pelle.

- Libero! - gridò.

- Libero! – ripeté più volte.

Uscì dal piatto e vide riflessa nello specchio l’immagine di un vecchio cadente, con la pelle raggrinzita, le spalle piegate, il pene floscio.

- Libero, ma di far che? – si domandò.

Una vita prossima futura in completa solitudine, in attesa dell’ultimo passo e cominciò a rimpiangere le sgridate del bombolone, gli ordini secchi e perentori della moglie.

La vendetta ha sempre un amaro sapore ed era quello che sentiva nella sua bocca, mentre dallo stomaco saliva come una serpe il rimorso.

Si accorse che se ripensava alla sua vita questa era stata solo un susseguirsi di sconfitte, dalla professione ereditata dal padre e che aveva svolto di malavoglia, a quel matrimonio combinato che lo aveva reso schiavo della moglie.

E ora che aveva finalmente ottenuto una vittoria, si accorgeva che in pratica era una sconfitta, che i vinti, anzi le vinte, nel lasciarlo solo lo avevano messo di fronte alla realtà di un fallimento totale e insanabile.

Non c’era più tempo per ricominciare, tutti i giochi sul tavolo della roulette erano fatti e la pallina del destino, che girava vorticosa, si sarebbe fermata su un numero che non sarebbe mai stato il suo, su decisioni che non aveva mai preso e che non aveva mai voluto prendere, a meno che… 

Gli si abbozzò sul volto un ghigno ironico, prese fiato e poi gridò con tutte le sue forze - Che mi venga un accidente! All’improvviso balenò negli occhi un sorriso di sollievo, questione di attimi, di impercettibili istanti, mentre intorno a lui si spegneva ogni luce.

   

 

 

 

 

 

5 commenti:

  1. Un racconto surreale, anche divertente, ma con una morale molto amara.

    Agnese Addari

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  2. accidenti!!!
    che racconto! mi è piaciuto davvero tantissimo.
    ciao

    cri

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  3. Ah, ma questa è alta letteratutra! Letto in un soffio e apprezzato molto.

    Ben trovato Renzo

    franca

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  4. Un racconto che può far muovere al riso, ma che invita anche a meditare sul senso della vita. Scritto bene, assai piacevole da leggere, è una pagina di buona letteratura.

    Giacomo Varta

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  5. Questo tuo racconto, questa storia più reale di quanto non sembri, lascia nel lettore un senso di tristezza. Fa male vedere i fallimenti del protagonista, l'incapacità di costruire qualcosa di buono, di appagante. Certo, è un racconto, con passaggi non proprio verosimili, eppure esprime la realtà di tanti di noi.
    Mi è piaciuto molto.

    Piera

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