Un uomo che forse si chiamava Schulz
di
Ugo Riccarelli
Arnoldo
Mondadori Editore
Narrativa
Romanzo
Pagg.
146
ISBN
9788804622611
Prezzo
€ 9,50
Bruno Schulz, un piccolo
grande uomo
Da
Pag. 128 “ Eravamo, invece, pesci alla
mattanza e percorrevamo con diligenza i corridoi sempre più stretti della
nostra tonnara. La nostra vita fu capovolta e catapultata in un’altra
dimensione e lo spazio in cui muovevamo i nostri passi sempre più incerti si
ridusse di giorno in giorno, asservito al trionfo dei regolamenti, consumato
insieme alle nostre personalità. Non fummo più persone, ma classi, tipologie e
numeri diligentemente trascritti sulle carte e i diagrammi, appesi nelle sale
della vecchia casa comunale.
Noi, i reietti, fummo passati al
setaccio come sabbia grezza da costruzione, vagliati e cerniti per lasciare in
un mucchio gli unici mattoni che sarebbero serviti a costruire le gabbie per
noi stessi.”
Bruno
Schulz, nato a Drohobycz il 12 luglio 1892 ed ivi morto il 19 novembre 1942, fu
un pittore e scrittore polacco, di famiglia ebrea. A quanto si sa era un uomo
che eccelleva nel dipingere, ma era anche uno straordinario narratore, come
testimoniato dal suo libro Le botteghe
color cannella, una originale autobiografia trasformata in una fantasiosa
leggenda dell’infanzia.
E
proprio l’elemento fantastico colpì Italo Calvino, che non poco contribuì a far
conoscere questo autore allorché presentando la traduzione italiana nel 1970
ebbe a dire: “Da oggi la letteratura europea del Novecento conta tra
i suoi maestri un nome in più". Di certo Ugo Riccarelli fu fra
coloro che lessero questo libro e anche lui ne fu colpito profondamente, al
punto da scriverne un’autobiografia romanzata, appunto Un uomo che forse si chiamava
Schulz. Se L’amore graffia il
mondo, pur piacendomi, mi aveva indotto a ritenere che il romanziere
torinese fosse uno scrittore del dolore, tanto ne sono pervase appunto le altre
due sue opere che ho letto (Il dolore
perfetto e appunto L’amore graffia il
mondo), questo libro, che narra la vita di un essere umano dalla nascita
alla sua tragica scomparsa, è invece solo pervaso e a tratti, soprattutto nelle
ultime pagine, da un senso di malinconia. Bruno Schulz, inginocchiato nel
ghetto ai piedi del capitano Gunther della Gestapo, che sta per premere il
grilletto della pistola puntata sulla sua testa, rivive in quei pochi attimi
quella che è stata la sua esistenza, fin dalla nascita descritta in modo del
tutto originale e che crea subito con il lettore un rapporto di viva e
interessata partecipazione. La sua vita non è stata monotona, anzi svariate
vicende, anche drammatiche, hanno coinvolto la sua famiglia, ma lui si
rinchiude in Drohobycz, questa piccola cittadina galiziana, prima parte
dell’impero austro-ungarico, poi della Polonia e ora dell’Ucraina. Essa è per
lui un ghetto volontario, un ambiente sicuro come la sua grande casa in cui
poter dar sfogo alla sua immensa fantasia, dai primi tratti di gesso incerti
dell’infanzia ai più considerevoli dipinti della maturità, e poi, consapevole
della forza delle parole, arriva quel libro (Le botteghe color cannella) in cui c’è tutta la sua vita e
indirettamente la storia di un secolo, il XX, di profondi sconvolgimenti, che
tuttavia non turbano l’atmosfera tranquilla e rassicurante della cittadina fino
all’invasione nazista, a quei prussiani dispotici, esaltati e criminali di cui
aveva paventato anni prima la venuta il rabbino della comunità. La mano di
Riccarelli è leggera, lascia parlare il suo personaggio, non ne forza
l’espressività, ma è come se l’autore stesso fosse lo spettatore di un film che
si proietta davanti ai suoi occhi. Non manca, però, come dicevo una malinconia
di fondo, un senso di incertezza che né le mura di Drohobycz, né le fantasie di
Bruno possono cancellare. E infatti, fra i tanti animali dei suoi sogni, poco a
poco, unica superstite resta una renna ferita, come profonda è la ferita
nell’animo di Schulz che vede il suo mondo disgregarsi progressivamente, fino a
implodere con l’arrivo dei tedeschi.
Tanti libri hanno descritto l’Olocausto, ma,
credetemi, come l’ha descritto Riccarelli negli ultimi capitoli di questo
romanzo non c’è stato nessuno. Lì la sua narrazione, pur essendo distaccata, ci
presenta una realtà tangibile, un’atmosfera opprimente e devastante e ciò senza
che si parli di un campo di sterminio. Poco a poco le paure, le privazioni, la
perdita di speranza rendono questi ebrei, e fra essi Bruno Schulz, degli esseri
privi di volontà, degli uomini rassegnati e pronti ad andare, senza la minima
opposizione, al macello, all’ultimo e definitivo sacrificio. Caduta l’illusione
dell’arrivo del Messia che con la sua spada fiammeggiante distrugga l’orda
nazista e salvi il suo popolo, non resta più nulla se non la morte.
Ecco, Riccarelli mi ha stupito nell’aver descritto
cosi bene una condizione che a noi, comodamente seduti nelle nostre case, al
caldo, ben saziati e sicuri risulterebbe altrimenti non del tutto
comprensibile.
Ma non è l’unico merito del libro, perché i pregi sono
moltissimi, fra cui i protagonisti descritti in modo meraviglioso; al riguardo
basti pensare allo zingaro saggio e gobbo Emram, che tutte le primavere arriva
con il suo orso ballerino e con gli altri del suo clan nella cittadina,
portando una luce di allegria e di poesia, e che per Schulz sarà un grande
amico; indimenticabili poi sono Hoffmann, il marito della sorella di Bruno,
finito tragicamente, oppresso da debiti familiari che lui non aveva contratto;
se il padre di Bruno, nella sua estrema originalità, può sembrare una
drammatica macchietta, esemplare è la descrizione di Danuta, la domestica di
famiglia, degna di farne parte e che sarà l’unica a salvarsi, perché deciderà
di andare per tempo in America, liberandosi dalla inconscia costrizione di
quella città, un tempo sicura nella statica tranquillità dell’impero asburgico,
ma che gli eventi del nuovo secolo hanno privato della sua intima forza,
rendendola un normale agglomerato di case, in balia dei venti di guerra.
Quando ho ultimato la lettura di questo libro ho avuto
la netta sensazione di trovarmi di fronte a un capolavoro e per quanto sia a
conoscenza del fatto che il giudizio di altri sia piuttosto controverso, a una
seconda rilettura la mia convinzione si è rafforzata. Contenuti, stile, misura
nella narrazione, capacità di ricreare ambienti e atmosfere, piacevolezza sono
tutti elementi che inducono a definire Un uomo che forse si chiamava Schulz
il più bel romanzo scritto da Riccarelli, nonché un libro senza tempo, uno di
quei testi, stupendi, che manterrà inalterato anche per gli anni a venire il
suo valore.
Leggetelo, perché di opere così ne appaiono poche
nell’immensa produzione letteraria di un secolo.
Ugo Riccarelli (Ciriè, Torino, 1954 - Roma 2013), di famiglia
toscana, ha pubblicato Le scarpe appese al cuore (Feltrinelli 1995, nuova edizione Oscar
Mondadori 2003), Un uomo che
forse si chiamava Schulz (Piemme
1998, premio Selezione Campiello, nuova edizione Oscar Mondadori 2012), Stramonio (Piemme 2000, nuova edizione Einaudi
2009), i racconti di Pensieri
crudeli (Giulio Perrone 2006), Diletto (Voland 2009) e Garrincha (Giulio Perrone 2013), il saggio Ricucire la vita (Piemme 2011) e, per Mondadori, L'angelo di Coppi (2001), Il dolore perfetto (2004, premio Strega), Un mare di nulla (2006), Comallamore (2009), La repubblica di un solo giorno (2011) e L'amore graffia il mondo (2012, premio Selezione Campiello).
Recensione di Renzo Montagnoli
che bella recensione!
RispondiEliminaStupenda recensione al pari del romanzo. Mi sono emozionata e ho rivissuto le belle pagine di questo libro.
RispondiEliminaAgnese Addari
Schulz... uno dei miei maestri: l'edizione Einaudi delle ''Botteghe'' e' magnifica, con tanto di quadri dell'autore - riprodotti a colori.
RispondiEliminaAcquistatelo! Capolavoro assoluto.
Salutoni
Sozi
Il ricordo di un uomo speciale, il tributo ad un pittore/scrittore che merita di essere conosciuto, l'omaggio di uno scrittore di oggi a un essere umano che ha pagato di persona per la crudeltà e la "bestialità", direi, di un popolo che della superiorità di razza ha fatto lo scopo della propria vita farneticante.
RispondiEliminaLa tua recensione, Renzo, approfondita come sempre, evidenzia l'umanità e il valore di B.Schulz, e nello stesso tempo quelli di Ugo Riccarelli.
Non si può scrivere un libro bello e appassionato se non "inoltrandosi" nella vita e nella personalità dell'uomo di cui hai deciso di raccontare la storia, solo in questo modo lo puoi veramente capire.
La tua bella recensione spinge alla lettura del libro che, non fatico a crederlo, è senz'altro un capolavoro.
Grazie.
Piera