Nei
paesi del Sud
di
Vincenzo D’Alessio
Chi
nasce al Sud di questa stretta penisola, tuffata nel cobalto Mare
Mediterraneo, non sempre riesce a sfuggire alla fatale attrazione
delle sirene che da quasi duemilacinquecento anni infestano le sue
acque.
Le
conoscono i vecchi pescatori che di questo mare hanno ascoltato il
canto della calma e la violenza delle tempeste e, credetemi, non c’è
proprio da scherzare quando ripetono: “ ‘o mare fa paura quanno
fa ‘o mare”.
Chi
nasce e cresce accanto al mare è più fortunato di chi nasce sulla
dorsale degli Appennini meridionali dove il terremoto stermina quando
vuole vite e sogni, ma difficilmente può godere la bellezza delle
verdi faggete sparse sui versanti dove non giunge il vento del Sud,
la freschezza delle acque sorgive nascoste agli occhi degli uomini,
il volo dei falchi in pieno cielo.
Per
pura fortuna sul finire degli anni Novanta del secolo appena
trascorso fece la sua comparsa, nei cieli che sovrastano il Parco
Regionale dei Monti Picentini, un raro esemplare dell’Aquila del
Bonelli in volo dall’area di Roccadaspide(SA) verso l’entroterra
dell’Irpinia.
Pochissime
persone si accorsero della sua presenza nei cieli di quest’area e
qualcuno già pensava che sarebbe stato un magnifico trofeo se
abbattuta.
Nelle
modeste comunità, ai piedi della sontuosa catena preappenninica, la
gioia si sparse incontenibile: furono organizzate visite scolastiche,
avvistamenti da parte dei componenti della LIPU sede campana; molti
si interrogavano dove potesse essere il nido del formidabile
volatile.
Accanto
a tanta gioia maturava anche l’opposto senso di odio verso il bel
volatile il quale a diverse ore del giorno solcava imperturbato i
cieli del Parco, poi scompariva nella fitta vegetazione d’alta
quota.
I
bambini erano i più felici. Le maestre diedero compiti a scuola per
l’evento. Si stamparono manifesti e brochure per far conoscere
meglio il grande volatile.
Intanto
i nemici dell’Aquila cercavano in ogni modo di raggiungere il nido
per danneggiarlo e allontanare il volatile dai luoghi.
Passarono
gli anni, cinque o forse sette, e l’attesa dei nemici ebbe i suoi
frutti: l’Aquila fu vista precipitare nel folto della foresta dei
faggi proprio sulla dorsale più vicina al luogo dove aveva
realizzato il nido.
La
notizia della sua scomparsa si sparse ovunque: i bambini, divenuti
adolescenti, piangevano; le maestre a scuola iniziarono a custodire
le foto dell’Aquila e tutti i lavoretti realizzati dagli scolari;
la buona gente delle valli si rammaricava perché non riusciva a
comprendere come fosse accaduto questa cosa terribile.
Iniziarono
a nascere dicerie, bugie sparse dai nemici del fantastico animale,
molte malelingue si vantavano di avere in qualche modo contribuito
alla morte del volatile.
Nacque
anche qualche leggenda che tramandava l’avventura dell’Aquila dal
mare verso l’entroterra.
Non
passò molto tempo da questo doloroso evento che fecero la comparsa
nel cielo una schiera indefinita di corvi neri i quali calavano solo
per depredare le colture sparse nelle valli o cibarsi sui cumuli dei
rifiuti lasciati a cielo aperto.
I
bambini ne avevano paura, nonostante i rappresentanti della LIPU
difendessero i volatili, le maestre raccontavano le storie legate ai
corvi e al loro volo verso le nubi quando si avvicinavano i
temporali. Quasi nessuno era più felice.
Oggi
tanta buona gente scruta il cielo nella speranza di scorgere ancora
una volta il leggiadro volo dell’Aquila, la sua levità
nell’affrontare le correnti, la sua vista acuta nello scorgere le
occasioni a distanza, la capacità di essere da barriera per le molte
specie che la temono e prolificano nel sottobosco delle valli del
Sud.
Credo
di essere rimasto tra i pochi che hanno visto volare l’Aquila e se
ne ricordano ancora con gioia.
Bel racconto, sprizza amore e rispetto per la natura e conseguentemente esemplare affinchè tale rispetto si rispecchi nel mondo degli umani. E tutti potrebbero vivere più felici. Ottimo!
RispondiEliminaGiovanna