Carla
De Angelis: “ Mi
fido del mare ”
– Poesie - ( FaraEditore, 2017)
Mi
incontro oggi con la raccolta di poesie di Carla De Angelis: “ Mi
fido del mare”,
edita presso FaraEditore di Rimini a giugno di quest’anno.
L’Autrice
ama il mare e l’ha cantato in diverse raccolte precedenti.
L’amore
per l’immensità del mare è paragonabile all’amore per
l’immensità del Bene Supremo di fronte all’opposta immensità
del male che attanaglia costantemente l’esistenza degli esseri
umani.
Le
due forze in campo il lettore le potrà verificare nei versi di
questa raccolta attraverso le metafore: giorno/ notte; sole/luna;
bianco/nero; dualismo di scelte, di ambienti, di profumi.
La
Nostra scrive in versi l’amore verso l’umanità. Scrive versi per
incontrare altre voci nel confronto. Pubblica per rappresentare una
barriera al dilagare del materialismo: offrirsi senza superbia
nell’opera creativa che la poesia ha assunto dalla sua comparsa in
mezzo agli uomini (prima apparteneva agli Dei):
“(…)
Apparecchiamo ogni giorno dolci carezze / per il tuo sacrificio in
ogni dove / purché ci sia un solo uomo ad ascoltare / uniamoci a
tavola nello stesso colore / la strada è questa, stessi passi nel
cuore / ” (pag.73).
Oggetti
ed emozioni. Ricordi e luoghi. Ritmi e odori. La poesia di Carla
nasce di notte, lo scrive di suo pugno nell’introduzione, quando i
silenzi sono più forti e la serenità ha il respiro dell’infinito.
Tenace
e perseverante, questa poeta, ci pone di fronte ad una tematica che
coglie in modo esaustivo la lezione del Novecento che abbiamo vissuto
e che Luciano Anceschi ha raccolto in queste parole: “ (…) Così
il metodo della analogia e quello delle equivalenze oggettive sono
forse le tecniche simboliche più insistenti che percorrono tanto in
senso sincronico che in senso diacronico la sintassi poetica del
novecento secondo particolari e disformi disposizioni e risultati.”
(“Le istituzioni della poesia, 1968).
Le
figure retoriche nei corpi poetici di questa raccolta si rifanno a
questa lezione:
“(…)
Il tempo è prezioso e finito / è meglio nuotarci dentro / come
fosse mare / (pag.37) – (…) “ Mangiavamo il tempo, era tenero e
buono, ma / la strada era sbagliata.” (pag.75) – “ Amo così
tanto il mare / che vedrei azzurra anche la morte / se mi cogliesse
mentre nuoto / verso l’altra sponda ” (pag.99).
Assonanze,
metafore, analogie, personificazioni, anafore, l’enjambement e
altre figure retoriche accompagnano il racconto poetico dell’A. e
il suo amore per il mare/ infinito.
Una
riflessione merita la prima composizione poetica, a pag.13:
l’invidia: il peggiore veleno che muove il male nel mondo, è
personificata nell’astro notturno, la luna, capace di portare via
la felicità di una nascita: “ La luna invidiosa della tua bellezza
/ quella notte si posò accanto al tuo lettino / rubò qualcosa di te
/ basterà la vita per ritrovarlo? / ”
Come
nelle nostre favole meridionali più diffuse “ le janare ” di
notte raggiungevano le culle dei neonati e i più belli li
storpiavano per invidia.
Così
i versi di Carla annunciano il maleficio che ha portato via la
bellezza della sua creatura. L’astro ha assunto la valenza di una “
luna nera” apportatrice di calamità e sofferenze.
Nella
raccolta il richiamo a questo dramma è presente molte volte come ad
esautorare il dolore che è nella mente e sostenere la luce del Bene
per porre fine all’interrogativo enunciato nei versi.
Una
raccolta dettata dalla maturità dell’A., divenuta sagace, padrona
della parola, dei suoi effetti positivi sul lettore e sulla benefica
intensità del suono dei versi.
Nuovi
percorsi raggiunti dall’incontro con altre esperienze poetiche e
contaminazioni contemporanee: “ Eppure amo questa vita che fa di me
una / persona / impreparata inquieta ” (pag.105).
A
questo punto, caro lettore, sono certo che accetterai l’inserimento
di una leggenda cristiana ispirata dalla lettura di questa raccolta.
Tra
le molte di queste attribuite a Sant’Agostino d’Ippona, vescovo
di Cartagine, si racconta che mentre passeggiava in riva al mare,
preso dalla sua metidazione filosofica sulla Santissima Trinità,
incontrò un fanciullo che portava acqua dal mare verso un buca che
aveva scavato sulla spiaggia con una conchiglia.
Il
santo chiese al fanciullo cosa stesse facendo: “metto il mare in
questa buca ”, rispose semplicemente il fanciullo. Agostino lo
riprese: “ è una fatica inutile, il mare non potrà mai entrare
nella buca”. Al che il fanciullo disse: “Agostino, come potrà
l’immensità di Dio entrare nella tua testa?, e scomparve.”
Accetta
la mia limitatezza e confrontati anche tu con la vastità di questa
fiducia verso un mare, caro a chi scrive, che sommuove i versi di
Carla De Angelis.
Vincenzo
D’Alessio
Ringrazio Alessandro Ramberti - Renzo Montagnoli - un grazie speciale a Vincenzo D'Alessio
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