giovedì 25 ottobre 2012

Il ladro di fiori, di Renzo Montagnoli

                                                                      Foto da web
                                                             

Il ladro di fiori

di Renzo Montagnoli

 

                              

- Che gli venga un accidente! Giuro che se lo prendo gli faccio rimpiangere d’esser nato.

- Anche questa volta? – fu il commento unanime degli altri dell’osteria.

- Anche questa volta! Eh sì che sono rimasto di guardia fino a dopo la mezzanotte, ma questa mattina presto quando sono ritornato sul cimitero del bel mazzo di dieci gladioli ne erano rimasti cinque, tale e quale lo scorso anno, e l’altro ancora.

Il Guercio guardò Soldino che, dopo la sfuriata iniziale pareva ora più calmo, anche se visibilmente sconsolato, e gli disse – Ti giuro che il 7 agosto del prossimo anno saremo lì a darti una mano, organizzeremo dei turni di guardia e lo prenderemo questo lurido ladro di fiori.

La vicenda di Soldino, al secolo Carlo Gentilini, ma così chiamato da prima della guerra per la tirchieria che lo connotava, aveva dell’incredibile.

Il 26 aprile del 1945, mentre tutti festeggiavano la fine del conflitto con canti e balli, un aereo americano aveva sorvolato il paese e, invece di lanciare zollette di cioccolato, come facevano quel giorno altri piloti, aveva scodellato una bomba da un quintale che aveva sfracellato la casa del Gentilini, in quel momento al lavoro nei campi, seppellendo le poche suppellettili e, soprattutto, l’Adalgisa, consorte di Soldino.

E’ possibile immaginare il dolore di quest’uomo che, in un attimo, si era ritrovato senza casa e senza moglie, completamente solo, poiché dalla loro unione non erano nati figli.

Per l’Adalgisa, con cui aveva vissuto per quasi quarantanni, nutriva un affetto profondo, frutto di un legame sincero che si era cementato con il tempo.

Si era così ritrovato a quasi settantanni allo sbando sulla strada, con poco denaro per vivere e, soprattutto, senza il conforto della persona amata.

Il Guercio, segretario della locale sezione del Partito Comunista, gli aveva trovato un modestissimo alloggio e ogni tanto gli faceva arrivare qualche piccolo aiuto economico, per integrare l’insufficiente pensione con cui doveva fare i conti per mangiare, poco, il mezzogiorno e la sera.

Nonostante le ristrettezze e privandosi di tutto il superfluo riusciva ogni anno a mettere da parte la somma necessaria per acquistare dieci bei gladioli da portare il 7 agosto sulla tomba della moglie, ricorrendo in quella data l’anniversario delle nozze.

Era quindi più che comprensibile l’animosità che lo coglieva accorgendosi che il giorno dopo il mazzo risultava puntualmente dimezzato; si era arrovellato, pensando a uno sgarbo nei suoi confronti, visto che era l’unico furto che avveniva sul cimitero, ma aveva trovato presto il motivo della preferenza del ladro, guardando le altre tombe, disadorne o al più ornate da modesti fiori di campo. Aveva anche pensato di adeguarsi allo stile comune, ma proprio non gli andava giù di dover rendere omaggio alla defunta con dei papaveri o delle margherite selvatiche, quando lei in vita aveva amato tanto i gladioli.

Anche quel 7 agosto del 1947 la cosa finì lì; in paese ne parlarono tutto il giorno, qualcuno fece trapelare dei sospetti, senza nessun fondamento, ma poi il giorno appresso la vicenda risultò completamente dimenticata.

Tuttavia, a parte Soldino, c’era chi aveva la memoria lunga e infatti il Guercio il 7 agosto del 1948, così come aveva promesso, organizzò le ronde, ognuna composta da due uomini. Era una giornata calda, con un’afa opprimente, quando il vedovo portò i fiori sul cimitero, li aggiustò nel vaso quasi con tenerezza, mormorò a bassa voce alcune parole, quasi si fosse messo a conversare con la defunta, poi recitata una preghiera, ritornò a casa, come gli aveva detto di fare il Guercio. La sua, più che una raccomandazione, fu un ordine – Te ne torni a casa subito e fai le solite cose; non azzardarti a tornare là; vai a letto e domani mattina, quando ti svegli, vai all’osteria, dove ci troverai con il ladro ad aspettarti.

E così fece; dopo una lunga notte insonne, un incubo dietro l’altro, arrivò finalmente l’alba. Attese un po’, nel timore che all’osteria non avrebbe trovato nessuno, poi, quando suonò la campana della prima messa, decise di andare. Si sentiva strano, avvertiva un’ansia corrosiva che lo spingeva a coprir di botte il furfante e, quando gli venne il desiderio di ammazzarlo, si rifugiò in chiesa. Restò poco, in un angolo, a contemplare il crocefisso con quel povero Cristo in legno rosicchiato dai tarli che faceva più pena di lui, vestito sempre allo stesso modo, con la camicia vecchia di dieci anni, come i pantaloni, tutti rattoppati, per non parlare delle scarpe, con i buchi delle suole rattoppati con il cartone che si scioglieva alla prima pioggia.

- Gesù, fa che non commetta un atto più odioso di quello che ha commesso lui. In questo mondo di miserie la sua forse è più grande della mia. Lo denuncerò, questo sì, ma non voglio mettergli le mani addosso.

Si segnò, uscì dalla chiesa e si affrettò verso l’osteria. Appena entrato, vide un crocchio di gente al centro della sala e udì subito la voce forte del Guercio – Oh, Soldino, è da un po’ che ti aspettiamo; proprio questa notte ti è venuto così sonno? L’abbiamo preso, colto, si suol dire, con le mani nel sacco, anzi nei fiori. Già gli abbiamo fatto capire l’errore che ha fatto; se vuoi favorire?

Il crocchio si aprì e poté vedere un uomo legato a una sedia, con il volto tumefatto, gli occhi pesti e un labbro spaccato. Soldino restò come paralizzato: quell’uomo davanti a lui, che non conosceva,  era il ritratto della sofferenza in persona.

Si rivolse al Guercio – Ti prego, non toccatelo più; portate qualche benda, un po’ acqua, cerchiamo di rimediare un po’ al danno.

- Se vuoi tu così, provvediamo subito, anche se a malincuore.

Soldino si accostò al prigioniero, gli sciolse i nodi, passo una mano fra i suoi capelli bianchi e gli mormorò – Perché l’hai fatto? Perché mi rubi sempre la metà dei gladioli?  E chi sei e dove abiti?

L’uomo, con voce tremante, lo guardò in viso e prese a parlare – Mi chiamo Franco Rigattieri e abito a Pieve, a nemmeno cinque chilometri da questo paese. Ho sessantacinque anni e vivo, se si può dire vita, della mia modestissima pensione, insieme con mia figlia di quarantanni, nata prematura e non a posto con la testa. Mia moglie è morta il 7 agosto 1945, di stenti, di mancanza di medicinali, una vittima della guerra, anche se deceduta pochi mesi dopo che era finita. Lei deperiva ogni giorno e non riuscivo a capire il perché; certo da mangiare non ce n’era quasi, ma mai più potevo sospettare che quando rientravo dai lavori saltuari che facevo in campagna e lei mi diceva di aver già mangiato, non era per niente vero; quel poco che c’era di commestibile lo lasciava per me e per mia figlia. Quando me ne sono accorto era troppo tardi e in pochi giorni mi ha lasciato. Aveva deciso di fare finita così quella vita senza avvenire, con la figlia cresciuta solo per affetto materno, ma senza speranze, se non la certezza che la miseria genera solo miseria. L’amavo tanto e non avevo nemmeno i soldi per un po’ di fiori; così quel giorno ho cercato di procurarmi quei gladioli che tanto le piacevano in un altro modo. Nel cimitero del mio paese non c’erano, ma ho saputo che da voi li avrei trovati; ho avuto vergogna, mi sono quasi scusato con la morta, e ne ho preso la metà, in modo da rendere meno grave l’offesa.

Il Guercio lo squadrò – Ma risparmiare come Soldino, no eh?

- Risparmiare è una parola che ignoro, quando se mangi, poco, a mezzogiorno non ti resta nulla per la sera. Ho pensato perfino di chiedere la carità, ma a chi, se tutti, anche se meno di me, sono poveri?

- E chi mi dice che tu racconti la verità? Adesso verifichiamo.

Il Guercio chiamò uno dei suoi compagni, parlottò brevemente con lui e questi uscì subito.

Soldino, intanto, gli faceva degli impacchi con un po’ d’acqua e piano piano le tumefazioni presero a ridursi.

Il tempo passava e, quando la pendola dell’osteria segno le undici, arrivò il tirapiedi del Guercio.

Entrò, abbassò gli occhi e disse – E’ tutto vero; ho chiesto in paese, sono andato a casa sua, due camere ricavate in una stalla; c’era la figlia che mi ha guardato in modo strano e si è messa a ridere come una pazza. Ho guardato nella credenza, dappertutto, e di mangiabile ho trovato solo un pezzo di formaggio ammuffito e un filone di pane comune.

Il Guercio si mise le mani nei capelli, tirò un calcio a una sedia, cominciò a bestemmiare, contro la guerra, contro il fascismo, contro il governo e contro i preti, poi fece una cosa che in vita sua non aveva mai fatto: chiese perdono e pretese che lo chiedessero anche gli altri.

Si rivolse poi a Soldino – Chi l’avrebbe mai detto? Che facciamo ora?

Rigattieri disse solo – Se mi accompagnate a casa, magari con un carretto, mi fareste un grande piacere, perché ho le gambe che mi fanno male.

- Certo, provvediamo subito. – disse il Guercio, poi parlottò con i suoi uomini.

Trovarono il carretto, ci caricarono il Rigattieri e un sacco con un po’ di pane, del formaggio, un salame e delle albicocche, e lo riportarono a casa.

Da allora, il Guercio inserì nella lista dei suoi assistiti quel poveraccio e ogni tanto, quando gli era possibile, gli faceva avere qualche cosa, in particolare ogni 7 agosto, quando Soldino toglieva cinque gladioli dai dieci che grazie alla sua parsimonia riusciva ad acquistare.   

 

 

Da Storie di paese

    

        

 

 

4 commenti:

  1. Quando, nei tuoi racconti, c'è il Guercio, vado sempre in brodo di giuggiole; so che racconterai di un'umanità semplice e misera, ma coesa nel riconoscere i valori sociali. E anche questa volta mi è piaciuto proprio tanto.

    franca

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  2. Quanta umamità in questo bel racconto, con la solidarietà - una volta c'era veramente - della povera gente.

    Agnese Addari

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  3. È un racconto bellissimo, che ci fa riflettere. Sembra impossibile, ma questo tipo di povertà è esistita e, talora, esiste ancora davvero. Certe volte, guardando la sarabanda politica e del governo e degli altri governi e del pianeta terra, penso a quanto poco di materiale occorra all'essere umano per vivere bene: un po' d'acqua, di cibo e di calore quando fa freddo ed un lavoro onesto per guadagnarselo.

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  4. Ecco, sono qui a riflettere su questo racconto che è un pezzo di realtà, di vita. Ci sono anche oggi tanti Soldino, tanti Rigattieri, la vita della povera gente non è dissimile da quella di ieri, però allora si veniva fuori dalla guerra, con tutta la devastazione che ha lasciato, oggi credo che le cose dovrebbero e potrebbero essere diverse se valori come giustizia e solidarietà venissero coltivati e non considerati come parole di cui vergognarsi.
    Bello leggerti.

    Piera

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