giovedì 18 settembre 2014

Grande guerra, piccoli generali, di Lorenzo Del Boca



Grande guerra, piccoli generali
di Lorenzo Del Boca
Edizioni Utet
Saggistica storica
Pagg. 223
ISBN 9788802077086
Prezzo € 14,00



Nel primo centenario



Quest’anno si commemora il primo centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, più conosciuta anche come Grande Guerra, grande per il numero delle nazioni partecipanti e grande anche per il numero delle perdite (all’incirca ben 24 milioni). Il tutto cominciò il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico al regno di Serbia; a ruota, per il gioco delle alleanze, presero le armi la Francia, il Regno Unito, la Russia, la Germania e l’impero ottomano e negli anni successivi l’Italia, la Bulgaria, la Romania e gli Stati Uniti (solo per citare i più noti). All’epoca eravamo vincolati alla Triplice Alleanza, costituita appunto da noi, dalla Germania e dall’Austria, ma, con il nostro consueto voltagabbana, dopo segrete trattative, passammo di campo e fu così che il 24 maggio 1915 dichiarammo guerra alla sola Austria. Come al solito il nostro esercito non era pronto, né per i mezzi, spesso obsoleti e addirittura mancanti, né, soprattutto, per l’impreparazione dei comandanti, gente che ragionava ancora come se si trovasse non nel XX secolo, ma in epoca romana. La mobilitazione avvenne con estrema lentezza, non c’era e non ci fu mai un piano strategico, i tentennamenti erano all’ordine del giorno e fu così che perdemmo un’occasione d’oro nel primo mese di belligeranza, perché una decisa nostra puntata verso Dobbiaco non avrebbe potuto essere fermata, stante il velo di truppe austriache presenti, mentre il grosso dell’esercito imperiale era impegnato contro la Russia.
Il libro di Lorenzo Del Boca ripercorre il tragitto di un conflitto orribile, impietoso, in cui i nostri soldati, pur distinguendosi per alto senso del dovere e facendosi in pratica massacrare, si presero costantemente le colpe delle sconfitte, colpe che invece erano dei Comandi Superiori e in primis del Comandante in capo Luigi Cadorna, capace di dissanguare un paese nelle tante battaglie dell’Isonzo adottando la medesima tattica dell’attacco frontale. Lui, inoltre, insieme a Badoglio e a qualcun altro, è l’unico responsabile della disfatta di Caporetto, che volle tuttavia imputare alla vigliaccheria dei soldati.
Ci sono pagine e pagine che parlano della vita in trincea, dell’assenza della benché minima visione strategica e tattica,  delle punizioni, spesso immotivate, dei poveri fantaccini, delle fucilazioni gratuite, delle decimazioni, tanto che verrebbe da pensare che il nemico non era quello che ci fronteggiava, bensì chi decideva scelleratamente nelle retrovie. A Cadorna, poi rimosso dall’incarico su pressioni degli alleati e sostituito dal generale Diaz, intitolarono vie e piazze, e ancora ce n’è qualcuna che porta il suo nome; dico solo che a lasciare intestato qualche cosa a questo sciagurato è criminale, perché era meritevole di un solo trattamento: degradazione pubblica e fucilazione alla schiena.
Insomma, la nostra tradizione che dall’Unità d’Italia ci vede sconfitti in una guerra sembrava confermata anche nella Prima Guerra Mondiale senza una battaglia vinta, a meno che non si voglia considerare una vittoria la nostra eroica resistenza sul Piave, mirabile esempio di sacrificio di quegli stessi soldati che Cadorna aveva tacciato di vigliaccheria. Poi venne Vittorio Veneto, ma più che una battaglia fu l’inseguimento delle truppe nemiche, che stremate e consunte, si ritiravano sulle originarie posizioni.
Si dice che la storia insegna e forse è vero, ma si vede che l’Italia è una cattiva scolara, perché altrimenti non vi sarebbe stata la nostra sciagurata partecipazione alla seconda guerra mondiale.
Non siamo un popolo di guerrieri (per fortuna), ma sappiamo fare il nostro dovere; quello che ci manca sono dei capi capaci e onesti, senza i quali continueremo a essere, nel contesto mondiale degli stati, o gli ultimi dei primi, o i primi degli ultimi, insomma di una mediocrità che non riusciamo a toglierci di dosso.
Da leggere. 


Lorenzo Del Boca è giornalista professionista. Ha sviluppato la sua carriera presso leditrice La Stampa, iniziando a scrivere sulle pagine provinciali di Novara per diventarne poi capocronista, inviato speciale ed editorialista. Nel 1996 è stato eletto presidente della Federazione Nazionale della Stampa e, dal 2001, è il presidente dellOrdine Nazionale dei Giornalisti. Polemista, al di fuori delle convenzioni, talvolta controcorrente, è autore di libri e di saggi che presentano laltra storia del Risorgimento e dell’Età Contemporanea.



Recensione di Renzo Montagnoli

2 commenti:

  1. Mi é piaciuta questa frase: non siamo un popolo di guerrieri. E speriamo di restare così. Libro che dovrebbe essere indubbiamente interessanta.

    Agnese Addari

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  2. Una triste pagina di storia, un numero impressionante di morti...
    Io non ho mai conosciuto un mio zio, fratello di mio padre, che è partito a causa di quella dannata guerra e non è più ritornato. Rimane soltanto una fotografia che evidenzia il suo aspetto di giovanissimo soldato.
    Quante cose ci hanno raccontato di quegli anni sui libri scolastici, e soprattutto quante ne hanno tenute nascoste.
    A distanza di cent'anni, tutte quelle morti inutili, quelle vite sprecate, fanno ancora male.

    Ho letto con grande coinvolgimento la presentazione di questo libro, come sempre.
    Piera

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