giovedì 18 settembre 2014

L’amico scomparso, di Renzo Montagnoli


                                                                  Foto da web

                 L’amico scomparso
                     di Renzo Montagnoli    


            
- Ecco, vede, veniva ogni mattina a guardar sorgere il sole. Si accovacciava sulla sabbia, con le spalle rivolte a est, verso l’Alberese, e s’incantava a osservare il promontorio dell’Argentario che prendeva forma poco a poco mentre la luce si diffondeva.
- Diceva qualche cosa, parlava?
- No, stava muto e solo una volta, mentre aggiustavo le reti, l’ho sentito mormorare qualche parola, ma a voce molto bassa, tanto che non ho capito.
Fausto guardava il lontano promontorio dell’Argentario che sembrava emergere dalle acque del Tirreno, una specie di vascello fantasma diafano nella luce del tramonto.
Il vecchio pescatore gli si accostò e gli rivolse nuovamente la parola.
- Uno spettacolo che vedo da anni, ma che non finisce di stupirmi. Non c’è niente di più magico di un tramonto in questo posto.
- Veniva anche a quest’ora?
- No, mai che io mi ricordi. Gli interessava solo l’alba.
- Grazie, per quanto mi ha detto.
Risalì l’arenile nel silenzio ovattato dell’ora, interrotto solo dallo stridio di qualche gabbiano,
e dal rumore della corrente dell’Alberese che lì in mare se ne andava a morire.
Sì, come il fiume che nasce e che poi muore, anche il suo amico Alfredo, lo stimato professore di latino del liceo classico di Mantova, un giorno se n’era andato da casa, senza dire nulla alla moglie. Si erano avviate le ricerche in tutta Italia e poco a poco, sulla base delle segnalazioni, si era ricostruito il percorso che aveva intrapreso.
Una prima tappa di poche ore a Firenze, ove qualcuno si ricordava di quell’uomo non più giovane, magro e quasi scheletrico che era rimasto per più di un’ora estatico di fronte a Palazzo Pitti.
Il suo peregrinare l’aveva portato poi a Bolgheri,
dove aveva passeggiato a lungo su e giù per la stradina che portava alla chiesa di San Guido, sostando più volte a guardare i filari di cipressi.
. Sì, lo ricordo bene – aveva detto il sagrestano.
E quando gli si chiese il perché, questi rispose in modo evasivo, quasi avesse timore di svelare un mistero, ma poi, supplicato, si era deciso a parlare.
- Mi ha detto che qua c’è stato tante volte con la mente, e non con il corpo, e ogni volta gli sembrava di essere più vicino alla fine della strada. Ha biascicato anche i primi versi della poesia, ma poi si è interrotto, mentre le lacrime gli bagnavano le guance. Gli ho chiesto il perché di questa commozione e lui mi ha risposto che era il ritorno.

Si era spostato poi in un piccolo borgo vicino a Siena dove aveva soggiornato, ospite di un convento, per un paio di giorni.
Come ebbe a dire il priore, l’uomo gli era sembrato malato, ma più nell’anima che nel corpo. Eppure, nonostante la brevità del soggiorno la mattina che se n’era andato aveva notato nei suoi occhi, prima sempre malinconici, un accenno di sorriso, una sfumatura di pace.
E quando, accomiatandosi, gli aveva chiesto dove sarebbe andato quello gli aveva risposto che la domanda esatta da porre avrebbe dovuto essere dove si sarebbe fermato.
Una segnalazione successiva lo dava come in cammino lungo le terre senesi e così un contadino, a cui aveva chiesto un’indicazione, lo descrisse.
- Era pallido, si vedeva un uomo sofferente nel fisico, ma i suoi occhi avevano un qualche cosa di indescrivibile, come se vedessero oltre le immagini.

E infine venne la notizia del suo ritrovamento.
Una mattina, un pescatore che già l’aveva notato da un po’ di giorni, l’aveva trovato sulla spiaggia, vicino alle bocche dell’Alberese, prono su se stesso e quando lo aveva osservato meglio si era accorto che era morto.

Fausto trasse di tasca un foglio sgualcito e lesse ancora una volta.
“ Caro Fausto,
tu che sei il mio amico più caro, quando leggerai questa è perché io non ci sarò più.
E’ difficile spiegare perché me ne sono andato, perché un uomo non più giovane come me, sposato, con una casa, con un lavoro, abbia lasciato tutto di colpo. Qualche cosa saprai già, se avrai cercato di capire il motivo di questo mio allontanamento. Il cancro che mi ha colpito non perdona e allora perché vivere in un asettico letto d’ospedale, con cannule infilate ovunque per procrastinare inutilmente la mia vita? Perché vedere il dolore negli occhi di mia moglie, perché ogni giorno cercare di illudermi?
Se è giunto il mio momento voglio che il tutto avvenga con dignità, con rispetto per la mia persona e desidero anche che ci sia un senso nella morte.
Ecco perché sono andato via e sono venuto qua, in questa terra dove ancora c’è un rapporto fra uomo e natura.
In queste albe sul mare ho visto e imparato più di quello che ho osservato e studiato in tanti anni. Per la prima volta mi sono sentito parte del creato, un minuscolo granello di polvere nel disegno perfetto delle cose e così ho accettato la mia fine dopo un percorso che mi ha portato a conoscere me stesso e che solo in questa terra puoi effettuare, solo fra questi borghi che resistono oltre il tempo, solo in quest’atmosfera ancora indenne dall’illusorio dominio dell’uomo e dove tutto è in eterno armonico equilibrio.
Caro Fausto,
un abbraccio.”

Fausto ripiegò il foglio e lo rimise in tasca.
Si avviò all’auto, ma prima di salirvi buttò un’occhiata al lembo di spiaggia dove il vecchio pescatore metodicamente e con calma riparava le reti.
Era prono sulle stesse e, nella mano che riavvolgeva i fili, gli sembrò di vedere quella ferma di Alfredo che stilava la lettera. 



3 commenti:

  1. Racconto scritto molto bene per un tema non certo facile. Stimola riflessione e dibattito.
    Alfredo non ha permesso che sorella morte "giocasse" con le cannule dei letti asettici d'ospedale e ha respirato la vita a pieni polmoni finchè ha potuto e voluto. Credo sia degno di rispetto.
    Giovanna

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  2. Un tema difficile sviluppato con rara delicatezza in un racconto che é sì commovente, ma che stimola soprattutto alla riflessione.
    Mi é piaciuto molto.

    Agnese Addari

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  3. Concordo con Giovanna e Agnese, è questa una storia che indaga su uno dei momenti più difficili della vita, quello in cui l'uomo avverte tutta la propria impotenza davanti a qualcosa che sa che non potrà sconfiggere. Hai affrontato questo tema con garbo e discrezione, oltre che con rispetto, direi. Non era facile.
    Colpisce, nel racconto, la grande dignità del protagonista, la sua ricerca di una totale sintonia con la natura, il farne parte e trovare in questa opportunità un senso di pace, prima di intraprendere il viaggio finale.
    Mi ha colpito molto. Grazie.
    Piera

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