La sorella di Mozart
di Rita Charbonnier
In copertina: Franz Xaver
Wagenschoen,
Maria
Antonietta alla spinetta
(olio su tela, 1770), Hofburg, Vienna
Edizioni Piemme
Narrativa romanzo storico
Collana Paperback Adulti
Serie Bestseller
Pagg. 336
ISBN 978-88-566-1575-3
Prezzo € 10,50
Il talento represso
Maria Anna Walburga Ignatia Mozart
(Salisburgo, 30 Luglio 1751 – Salisburgo, 29 Ottobre 1829), meglio conosciuta
come Nannerl, è stata la sorella maggiore di Wolgang Amadeus Mozart. Come
capita sempre in questi casi, la luce del genio pone totalmente in ombra gli
altri membri della famiglia, anche se nel caso specifico lei aveva un
grandissimo talento non dissimile da quello del fratello, vocazione musicale
soffocata sul nascere in funzione esclusiva della maggior gloria di Wolfgang.
Di questa donna, al servizio delle
volontà del padre-padrone Leopold, Rita Charbonnier ci fornisce un ritratto di
grandissimo spessore, facendo riemergere dall’oblio una figura le cui qualità
musicali erano senz’altro indubbie.
Un romanzo storico per musicofili, si
potrebbe pensare, ma non è così; certo l’arte ha il suo rilievo, e non potrebbe
essere diversamente, quando si parla dei Mozart, ma quello che più conta è la
condizione di subordinazione di un essere costretto all’infelicità, impossibilitato
a esprimere le sue autentiche qualità, sia per il fatto di essere femmina, e
quindi relegata al servizio del maschio, sia perché l’autorità paterna non
aveva occhi se non per il figlio, ossessionandolo con la necessità di essere il
migliore (e indubbiamente lo fu), ma rendendolo in tal modo un essere succube
della sua arte, prigioniero delle sue pur celestiali note, insicuro, narcisista
e infine squilibrato, perché non ebbe mai una normale giovinezza.
Anche se la storia di Wolfgang fa quasi
da sfondo all’intera opera, la sua ombra aleggia sempre sulla sfortunata
sorella, prima amorevole con lui, poi arrivata a un netto punto di rottura e
infine di nuovo riappacificata dopo la di lui scomparsa.
Questa è una storia di desideri
repressi, di vite disegnate da altri, della condizione della donna in un secolo
che, per essere quello dei lumi, avrebbe dovuto parificarla all’uomo.
Eppure Nannerl è una donna che
lentamente riesce a emergere dal baratro in cui è sprofondata e ciò grazie
all’amore, un amore che non è condizionamento, ma reciproco rispetto. Ha
infatti la fortuna di conoscere un barone, vedovo con prole e che ha un’indole poetica, un’arte che si esprime
certamente in tono minore, ma che riesce a riunire due talenti, di cui il
primo, quello di Fraulein Mozart è indubbiamente superiore.
Non si tratta del primo uomo, poiché
prima c’è un ufficiale austriaco, pure lui vedovo e con una figlia, allieva di
Nannerl, che verrà sedotta e abbandonata da Wolfgang.
Di questo amore, interrotto in
prossimità delle nozze, c’è un ampio resoconto in una corrispondenza, frutto di
pura invenzione, ma che rende, con indubbia efficacia, i due protagonisti dei
veri e propri “io” narranti, contribuendo così a meglio delineare le loro
caratteristiche e snellendo la narrazione. Queste lettere, intercalate fra i
vari periodi della vita di Nannerl, ci rivelano che questa aveva trovato nel
sicuramente innamorato Maggiore Franz Armand d’Ippod, militare austriaco e come
tale inflessibile e portato al comando, una figura simile a quella del padre,
tale da infondere sicurezza, ma anche di limitare le possibilità di esprimere
compiutamente la propria personalità.
Non sarà così con il barone Johann
Baptist von Berchtold zu Sonnenburg, nel cui amore troverà finalmente
appagamento e pace, tanto da ricongiungersi a quella famiglia che con il tempo
aveva preso a detestare e, scomparso ancor giovane il fratello Wolfgang, si
dedicherà anima e corpo a curare le edizioni delle sue numerose composizioni.
La sorella di Mozart è un romanzo complesso, ma
affascinante, e, pagina dopo pagina, la figura di Nannerl entra nell’animo del
lettore, condividendone gioie e dolori, e quando maturerà una compassione nei
suoi confronti, nascerà però subito dopo la gioia per vederla finalmente
felice.
Scritto in modo egregio, in
un’atmosfera ricreata benissimo, con tutti i personaggi accuratamente
delineati, anche i minori, è un’opera che incanta e che alla fine lascia un
grande senso di serenità.
La sua lettura, quindi, non solo è
consigliata, ma vivamente raccomandata, perché siamo in presenza di un
autentico gioiello.
Rita Charbonnier,nata a Vicenza, ha
vissuto a Matera, Mantova, Genova, Trieste, per poi stabilirsi a Roma. Ha fatto
studi musicali e ha frequentato la Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del
Dramma Antico di Siracusa. È stata attrice e cantante in teatro, recitando al
fianco di celebri artisti. In seguito si è dedicata alla scrittura e, dopo aver
collaborato come giornalista con riviste di spettacolo, ha iniziato a scrivere
sceneggiature e infine romanzi, La
sorella di Mozart, La strana giornata
di Alexandre Dumas e Le due vite di
Elsa, tutti molto apprezzati dai lettori.
Intervista a Rita Charbonnier, autrice del
romanzo La sorella di Mozart, edito
da Piemme.
Questo romanzo ha il pregio non indifferente di
avvincere sin dall’inizio, mantenendo inalterata la fascinazione sino alla
fine.
La vicenda di Nannerl, la sorella di Mozart, non è
solo interessante sotto l’aspetto storico, ma anche in chiave psicologica,
rappresentando una condizione di subordine delle donne in un mondo in cui
preconcetti maschilisti dominano incontrastati, un’epoca che appare remota, ma
i cui effetti si trascinano, se pur attenuati, fino ai giorni nostri.
Che cosa ti ha più affascinato di questo personaggio
che, ad abundantiam, ma è meglio precisarlo, è realmente esistito?
Prima di
tutto, caro Renzo, grazie dell’apprezzamento.
Quel che
mi ha affascinata – e addolorata – del personaggio storico è il semplice dato
biografico: Nannerl era una bambina prodigio, come il fratello, capace di
lasciare stupefatte le platee grazie al suo virtuosismo alla tastiera, capace
di trascrivere a memoria musiche complesse dopo averle ascoltate una volta
sola, capace di comporre fin da piccola; però, assai differentemente dal
fratello, quando crebbe si ritirò nell’ombra. Diversi studiosi di Mozart hanno
tentato di fare un confronto tra le attitudini musicali dell’uno e dell’altra,
per concludere quasi sempre che lei era meno dotata. È possibile, certo. Ma
come si può giudicare, a posteriori, un talento che per ragioni evidenti –
l’essere racchiuso nel corpo di una donna del tardo ‘700 – non ha avuto la possibilità di esprimersi?
Quel che
ho voluto narrare, quindi, è la relazione tra il potenziale individuale e le
circostanze; poiché ognuno di noi è il risultato di una complessa interazione
tra le attitudini e l’ambiente. Io non credo che il bambino nato a Salisburgo
il 27 gennaio del 1756 fosse “destinato” a diventare un musicista eccelso;
credo piuttosto che quel bambino avesse doti innate straordinarie e che le
circostanze – tra le quali l’essere maschio e particolarmente amato dal padre
musicista – e la sua capacità di reagire alle medesime, abbiano fatto di lui il
genio che conosciamo.
E’ indubbio che l’ambiente influisca molto
sull’individuo e che appunto, nello specifico caso, il fatto che Leopoldo
Mozart fosse un compositore e un musicista ha giocato a favore di un’emersione
del talento di Wolfgang. Detto ciò, però, sembrerebbe che il genitore non abbia
invece a suo tempo riscontrato un analogo potenziale in Nannerl, ma qui,
secondo me, entrano in gioco due fattori, che si sono sommati: 1) al meno
dotato, cioè a Nannerl, si riserva il compito di mantenere la famiglia durante
i viaggi per concerti di Leopold e Wolfgang; 2) la femmina deve solo eseguire,
e quindi può suonare, ma non comporre; la creatività non è propria di un essere
inferiore.
Ed è in questo contesto, secondo me, che viene a
sorgere il dramma della Fraulein Mozart e che a ben guardare è anche la
tragedia del fratello: entrambi sono subordinati al padre, al punto che a lui,
e solo a lui, spetta decidere del corso della loro vita.
Sei d’accordo?
Non del
tutto sul fatto che Leopold Mozart non abbia riscontrato nella figlia un
potenziale analogo a quello del figlio. Nelle sue numerose lettere ad amici e
conoscenti, che ci sono state tramandate, lui si vanta delle prodezze musicali
di entrambi i suoi bambini; posso sbagliare, ma non mi sembra che li paragoni
mai. Paragonarli, in fondo, non avrebbe avuto molto senso. “Il mio frugoletto
già compone” è una frase sensata; “la mia frugoletta già compone” lo è meno, in
quel contesto, perché le donne non si esprimevano come compositrici, salvo casi
assolutamente eccezionali – e anche oggi lo fanno meno degli uomini.
Detto ciò,
come affermi anche tu, il padre di Wolfgang e Nannerl era senz’altro un grande
manipolatore, abilissimo nell’utilizzare i sentimenti dei suoi cari per
piegarli ai propri scopi. Tutti i membri della famiglia dovevano fare quel che
stabiliva lui, sempre, anche se questo voleva dire metterli gli uni contro gli
altri – divide et impera. In alcune lettere al figlio, per “fargli capire” che
si sta comportando come uno sconsiderato, puntualizza come il suo comportamento
stia facendo soffrire in modo orribile la sua povera sorella…
Questa
dinamica familiare ha trovato alcune profonde risonanze nella mia storia
personale, e anche da questo è nato il desiderio di scrivere il romanzo.
Eppure Leopold preferisce chiaramente il figlio;
agli inizi viaggiano insieme padre, figlio e figlia, ma poi subentra nel
genitore una chiara preferenza per Wolfgang, destinando Nannerl
all’insegnamento del pianoforte per sostenere la famiglia e le onerose spese
della trasferta in Italia.
Comunque il tuo è un romanzo anche psicologico
perché i comportamenti della giovane Mozart possono sembrare spesso insensati,
ma trovano origine nell’imposizione ricevuta: proibizione assoluta di comporre
e rappresentare l’unica fonte di reddito. Leopold non è certamente un
prussiano, ma è un uomo dell’epoca, ligio alle sue convinzioni conservatrici,
di cui non era immune nemmeno Rousseau, tanto che citi in epigrafe un suo
periodo dall’Emilio che esordisce così: Tutta
l’educazione delle donne dev’essere relativa agli uomini.
La figura paterna doveva corrispondere a certezze
incontestabili e in quest’ottica non mi pare un caso che Nannerl s’innamori del
Maggiore Franz Armand d’Ippod, un militare, tutto disciplina e obbedienza;
potrà contraccambiare, ma agli occhi della fanciulla è sempre un uomo intriso
di convinzioni non scalfibili, è un’autorità e finisce con richiamare per
l’appunto l’immagine del padre.
Che ne pensi?
Mi fa
molto piacere sentirti dire che il mio è anche un romanzo psicologico e che i
comportamenti della protagonista sono talvolta insensati, o inopportuni. La
Nannerl del romanzo è senz’altro una ragazzaccia; soprattutto, ha accessi di
collera rivolti quasi sempre contro le persone sbagliate. Per usare un’immagine
non molto settecentesca, è come una pentola a pressione, all’interno della
quale ribolle un talento enorme che non trova sfogo – quindi soffia, fischia e
a volte scoppia. È vittima delle circostanze, certo, ma anche di se stessa;
poiché alle privazioni che le vengono imposte lei reagisce con un polemico “ah,
sì? Non devo più comporre? Devo dare lezioni per finanziare i viaggi di mio
fratello? E allora vi frego tutti: non suonerò mai più”. Mentre in realtà,
naturalmente, “frega” se stessa. “Sarò la servetta musicale di Wolfgang”. Cosa
che lui non le ha mai chiesto di diventare.
Inoltre
non è certo un caso, come dici tu, che Nannerl si innamori di un uomo tutto
d’un pezzo, nonché molto più grande di lei. Armand per certi aspetti è un clone
di suo padre. Perché la dura realtà è che coloro che si ribellano alle
imposizioni subite nella famiglia d’origine non di rado finiscono per cercarle
altrove, o anche – inconsapevolmente – per farle proprie.
E non è certo un caso se il suo talento naturale,
impossibilitato a esprimersi, finisca con l’essere un tormento che corrode
dentro, un fuoco che brucia sotto la cenere e che divora il focolare.
Quell’estro artistico innato assume allora caratteristiche comportamentali
bizzarre che evidenziano una diversità solo esteriore. Del resto, quando
Nannerl tocca il fondo si risolleva grazie a un altro artista, certamente non
di valore, ma che ha un certo talento poetico che a volte lo fa apparire
ridicolo, se non patetico. Mi riferisco a colui che sposerà e che in passato
aveva rifiutato e ridicolizzato: il barone Johann Baptist von Berchtold zu Sonnenburg.
Ed ecco allora che Nannerl risorge a nuova vita, nelle pagine forse più belle
del tuo libro, nelle quali, fra l’altro, c’è l’avvio di un’amicizia fra due
ribelli, lei e Nera, la cavalla bizzosa. Da come descrivi il tentativo di
montarla e saperla condurre posso arguire che tu vada a cavallo e che forse in
passato hai trovato un sauro simile, tanto bene lo descrivi.
È così?
Ti
ringrazio per il complimento, ma temo di non essere esattamente una
cavallerizza esperta… ho fatto un po’ di equitazione, quando ero molto più
giovane, e in effetti una volta ebbi a che fare con una cavalla brutta e
capricciosa, come la Nera del romanzo. Una volta lei partì al galoppo
all’improvviso, e io non ero proprio in grado di governarla; ricordo
l’istruttore che mi correva dietro, gridando disperato di nascondere il
frustino. Non appena lo feci, lei rallentò. Tutto qui… l’idea del rapporto tra
Nannerl e la cavalla, in un momento di guarigione per il personaggio, mi è
venuta pensando alla zooterapia. E per rendere verosimile la relazione tra le
due, e il comportamento della bestia, e anche per i dettagli tecnici relativi
al cavalcare, ho tempestato di domande mia sorella – che possiede un cavallo e
quindi ne capisce molto più di me.
Dunque, da un’esperienza analoga é nata l’idea
dell’incontro fra Nera e Nannerl e questa circostanza mi fa sorgere un’altra
domanda, che è nata con la lettura delle prime pagine del libro.
Mi sono chiesto infatti perché fra non pochi
artisti di sesso femminile ti è venuto in mente di scrivere della sorella di
Mozart. Certo, di lei ti ha parlato, come anche riportato nei “Ringraziamenti”,
tua sorella Chiara, ma non penso che questa segnalazione, per quanto
propedeutica a tutto il lavoro svolto, sia stata sufficiente. A ben guardare,
nella storia dell’arte ci sono altri soggetti ugualmente interessanti, come la
pittrice Artemisia Gentileschi, la prima donna ammessa nel 1616 all’Accademia
europea del Disegno, oppure come Marietta Robusti, figlia di Jacopo, meglio
conosciuto come Tintoretto, e la cui vita presenta punti di contatto con quella
di Nannerl, come l’imposizione paterna di non dipingere. Nell’avvicinarci, poi,
ai nostri tempi mi viene in mente la fotografa Gerda Taro, la compagna di Capa,
morta al fronte della guerra spagnola all’età di ventisei anni. Ho citato
personaggi la cui storia è di indubbio interesse e di cui è possibile reperire
ampio materiale per scrivere un romanzo, anzi le storie di queste donne
potrebbero essere più avvincenti di quella della sorella di Mozart. E allora,
per quale motivo hai scritto di Nannerl?
Perché la
musica mi appartiene molto più della pittura e della fotografia. Vado alle
esposizioni e amo “perdermi” in un’immagine visiva, ma non ho mai dipinto e nel
disegno non sono mai stata brava; né mi sono mai espressa come fotografa. La
mia ammirazione per queste forme d’arte è “esterna”. Invece comprendo la musica
“dall’interno”, perché suono fin da quand’ero piccola – certo, da dilettante,
ma suono e conosco il linguaggio della musica.
Inoltre mi
sembra che nessuna delle figure che citi sia una “sorella di”. Magari una
figlia, una compagna, ma non una sorella; quindi questi personaggi storici non
si prestano altrettanto bene a incarnare la tematica di cui parlavo prima,
quella della relazione tra il potenziale e le circostanze. E poi di Artemisia
ha scritto addirittura Anna Banti… ubi maior, lasciamola a lei!
Fra tutti i personaggi del tuo libro, come giudichi
Leopold Mozart? La domanda non è capziosa, perché mi pare che la chiave di
tutto e in particolare delle travagliate esistenze di Nannerl e di Wolfgang sia
proprio il padre.
Il Leopold
del romanzo è Il Male, è La Sopraffazione, Il Controllo, La Manipolazione –
soprattutto nei confronti della figlia, che evidentemente non ama. Mio padre,
che purtroppo non c’è più, dopo aver letto il libro me ne disse di tutti i
colori su Leopold, con una veemenza che per lui era piuttosto inusuale: un
padre così era troppo cattivo, non era credibile, il suo comportamento era
repellente e tutti i lettori avrebbero odiato il mio romanzo per via di quel
genitore assurdo che mi era saltato in testa di dipingere. Io lo guardai bene
in faccia e compresi. “Papà, non sei tu” gli dissi in modo molto incisivo. “Non
sei tu”. E lui si calmò.
Questo per
dire che il personaggio è senz’altro odioso, egoista e crudele, salvo alcuni
rari momenti.
Concordo su questa figura di padre-padrone,
purtroppo non rara. Mi sembra che in questa intervista siano state
ulteriormente delineate le caratteristiche dei protagonisti, che nel romanzo
rivivono dal naturale oblio e dall’ombra inevitabile del mito di Wolfgang che
li sovrasta; essi ritornano a essere uomini, con i loro pregi, i loro difetti,
esseri che amano, che provano emozioni, dolori e che infine muoiono. Li
sentiamo vicini e non lontani personaggi ritratti dalla storia, qualcuno
riusciamo pure a detestarlo, altri, come Nannerl, a commiserarlo e infine ad
amarlo.
Hai dato nuova vita a delle ombre, hai dato
un’anima a dei nomi, ed è questo il grande pregio di questo romanzo.
Considerati i tuoi libri successivi si può dire che
ti sei specializzata nel genere storico e allora una domanda, l’ultima, mi è
naturale e anche d’obbligo: hai in cantiere qualche cosa? Puoi fornire
un’anticipazione?
Credo che, almeno per qualche tempo,
abbandonerò il genere storico – un percorso che in fondo ho già iniziato con
l’ultimo dei miei tre romanzi, “Le due vite di Elsa”, che non è un romanzo
storico in senso stretto. Al momento sto lavorando a due nuovi progetti
piuttosto diversi, parlare dei quali è forse prematuro… posso dire che in un
caso siamo nella piena contemporaneità, nell’altro in una multitemporalità. Dal
punto di vista tematico, comunque, continuerò a muovermi nell’ambito che più mi
è caro: donne che, per emergere, lottano contro ostacoli interni ed esterni.
Spero di
essere stata sufficientemente oscura… e ti ringrazio, caro Renzo, per la bella
conversazione.
Hai detto bene: è stata una bella conversazione e
ti ringrazio di ciò. Ora è abitudine salutare il proprio interlocutore ed è
quello che faccio, con il pensiero tuttavia rivolto a un grande personaggio, a
Nannerl, una di quelle donne che, come hai scritto nella risposta alla precedente
ultima domanda, per emergere lottano contro ostacoli interni ed esterni. E lei
è come se fosse stata presente a questa nostra conversazione, perché, leggendo
il tuo libro, è diventata parte di me.
Auguri per i prossimi lavori.
Recensione e intervista a cura di Renzo
Montagnoli
Con una recensione così invitante e un'intervista di notevole livello La sorella di Mozart deve essere proprio un gran bel libro.
RispondiEliminaAgnese Addari
Congratulazioni all'autrice, ma anche al recensore intervistatore. La prosa, ormai, sta giungendo all'eccellenza espressiva, se ne va sintetica e d'impatto col minimo delle parole e il massimo dei contenuti. Si dice che dietro ogni uomo di successo ci sia almeno una donna che lo sostiene, lo conforta e lo aiuta, lodevolissima cosa quando non arriva a distruggere il proprio talento e se stessa a favore del fratello o marito o quello che sia. Ormai i padri padroni sono finiti, sostituiti dai figli padroni, altra preoccupante genia moderna.
RispondiEliminaRecensione e intervista, mi piace quest'ultima chiamarla conversazione, molto molto interessanti. E' stato bello leggervi, "incontrare" una donna così difficile come la protagonista, così ricca di rabbia, mi viene da dire, sentimento che rischia di farla implodere. Poi, da quel che ho capito, ci sarà una rinascita, una profonda rivoluzione interiore che le permetterà di conseguire un equilibrio probabilmente insperato. Una storia sofferta, condivisa emotivamente dall'autrice, una vita che sembra un totale fallimento e che invece viene recuperata, ricostruita a dispetto delle macerie che contiene.
RispondiEliminaUn romanzo senz'altro bello e coinvolgente che sembra dire:leggimi.
Grazie, Renzo, e grazie all'autrice.
Piera