Caporetto
di
Alessandro Barbero
Editori
Laterza
Saggistica
storica
Pagg.
645
ISBN 9788858129807
Prezzo
Euro 24,00
Una
disfatta non inattesa
Credo
che sia difficile trovare un evento nella ancor pur breve storia
dell’Italia che abbia colpito il nostro popolo in modo così
evidente, al punto di definire ogni risultato particolarmente
negativo come “una
Caporetto”.
Del resto, in quelle giornate di fine ottobre del 1917 poco ci mancò
perché le truppe tedesche e austriache arrivassero a dilagare nella
pianura padana, determinando di fatto la fine del nostro stato.
Ma
come è potuto accadere che un esercito come il nostro, quasi sempre
in numero ben superiore all’avversario e dotato di moltissime
artiglierie venisse di fatto ridicolizzato da un nemico che dopo
undici battaglie sull’Isonzo si riteneva incapace di sostenerne una
dodicesima? Proprio per questo motivo, nel timore di un crollo con un
altro scontro diretto, l’alto comando austriaco si risolse di
chiedere aiuto all’alleato tedesco e insieme elaborarono un piano
che, se nelle intenzioni era volto ad alleggerire la tensione sul
fronte, di fatto arrivò quasi a ottenere una nostra irreparabile
sconfitta, insomma una Waterloo o una Stalingrado. Data la tematica
non pochi storici hanno provato a dare una risposta, più o meno
convincente, ma comunque non così attentamente elaborata come ha
invece fatto il prof. Alessandro Barbero. L’impegno nell’opera è
stato notevole, se si considera che il volume, edito da Laterza,
consta di ben 645 pagine, ivi comprese quelle dedicate alle carte
geografiche, poche in verità, ma utilissime; non mancano poi alla
fine corpose parti dedicate alle indispensabili note e alla
ragguardevole e ben scelta bibliografia. Il lavoro è stato ben
strutturato in XIII capitoli, che vanno dall’ideazione
dell’offensiva alla nostra ritirata in Friuli, affrontando tutta
una specificità di aspetti che se non riescono a dare una risposta
certa al 100% su chi fu colpevole del disastro, chiariscono però non
poche cose. In particolare, e qui Barbero è piuttosto esplicito,
ritiene che la colpa non può essere attribuita solo a Cadorna, a
Badoglio o al suo comandante dell’artiglieria colonnello
Cannoniere, perché la responsabilità, come esposto nel saggio
storico, è condivida da tantissimi altri. Lo sfacelo del fronte, con
il collasso del nostro esercito, fu il fallimento di
un’organizzazione posticcia, in cui le direttive erano a dir poco
nebulose, le decisioni importanti erano prese in modo intempestivo,
la professionalità latitava, la paura di assumere provvedimenti, con
l’assunzione quindi di responsabilità, era la norma, la stanchezza
di quasi tutti i soldati era giunta a un punto tale da far preferire
loro la fuga o la resa. Inoltre, il distacco fra comandanti e
militari semplici era tale da lasciar chiaramente intendere che i
primi costituivano una casta, mentre i secondi erano solo carne da
macello, e del resto in quest’ottica si preferiva nominare
ufficiali, dopo un corso affrettato, giovani inesperti, ma figli
della borghesia, invece di ricorrere ai subalterni (sottufficiali)
che avevano maturato una grande esperienza in anni di guerra.
Cadorna, che non era uno stratega scadente, anzi era un buon
comandante sotto questo aspetto, aveva poi il difetto di considerare
i componenti del suo esercito come semplici strumenti in mano a lui,
artigiano della guerra, strumenti da spremere senza alcun riguardo. E
pensare che aveva avuto a portata di mano la possibilità di vincere
la battaglia risolutiva, se avesse preceduto, di poco, l’offensiva
nemica, cogliendola nella fase di attesa, quella più delicata, con
tutte le truppe in prima linea. Il nostro Servizio informazioni gli
aveva detto dove sarebbero avvenuti gli attacchi, le forze
utilizzate, i mezzi che sarebbero stati impiegati, il giorno e l’ora,
ma come già accaduto in passato il comandante supremo non si fidò
del nostro spionaggio, con le conseguenze che tutti conosciamo.
Quindi,
ricapitolando, l’opera di Barbero, ben strutturata organicamente, è
in grado di offrire una visione a 360° dell’intero evento, e ciò
viene fatto con rigore storico, ma anche con dinamismo e a volte con
quelle punte di ironia che sono proprie dell’autore, così che la
lettura risulta agevole e anche avvincente, tanto di avere sovente
l’impressione di essere presenti, come spettatori, sul palcoscenico
che ospita il tragico fatto. Tale coinvolgimento è di particolare
rilievo ove si consideri che l’analisi comprende anche la
situazione della grande massa di prigionieri che fecero le forze
nemiche, nonché gli aspetti, meno strettamente militari, di quella
che può essere considerata la più grande ritirata della storia, in
cui non pochi soldati in fuga diedero sfogo agli istinti più
repressi. Si accenna appena, invece, ai motivi per i quali migliaia
di militari sconfitti e demoralizzati riuscirono da subito, giunti
sulla linea del Piave, ad arrestare l’offensiva nemica; infatti, e
giustamente, Barbero scrive che per far questo occorrerebbe un altro
corposo libro.
Mi
sembra superfluo aggiungere che la lettura di questo approfondito
saggio storico non solo è consigliata, ma è da me vivamente
raccomandata per la completezza con cui viene trattato l’argomento
e per l’equilibrio dell’autore nella ricerca delle colpe, da cui
emerge anche una caratteristica italica, quell’improvvisazione, non
disgiunta da menefreghismo, che purtroppo ci portiamo dietro e che
nei momenti più delicati emerge chiaramente, come anche avvenne
nella seconda guerra mondiale.
Alessandro
Barbero,
nato a Torino nel 1959, è professore ordinario presso l’Università
del Piemonte Orientale a Vercelli. Studioso di storia medievale e di
storia militare, ha pubblicato fra l’altro libri su Carlo Magno,
sulle invasioni barbariche, sulla battaglia di Waterloo, fino al
recente Caporetto (2017).
È autore di diversi romanzi storici, tra cui: Bella
vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo (Premio
Strega 1996) e Gli
occhi di Venezia(2011).
Renzo
Montagnoli
Una recensione accurata ma anche amara ad un saggio storico senz'altro valido e molto approfondito. Una pagina dolorosa la disfatta di Caporetto, di cui si parla tante volte e ogni volta provoca sconcerto.
RispondiEliminaUn'analisi, Renzo, molto interessante.
Piera