La maestrina
di Careste
di
Stefano Giannini
Oggi sento il bisogno di
raccontare della mia iniziazione alla vita, al lavoro e all’amore. Benché siano
trascorsi un sacco d’anni, quei giorni ”particolari” escono ancora nitidi dallo
scrigno segreto dei miei ricordi ove si sono conservati pressoché
intatti.
Si trattava della mia
prima occupazione da dipendente, dopo aver abbandonato il collegio. Il lavoro
consisteva nel rimboschimento degli incolti e brulli pendii di parte delle
nostre colline, un lavoro duro e faticoso, remunerato con 500 lire
il giorno e una minestra calda, preparata sul posto da
alcune operaie.
Situazioni impensabili
per questi tempi di vacche grasse.
Tutte le mattine alle
sette e mezzo, noi operai agricoli dovevamo trovarci nel cantiere oltre il
monte di Rullato. Chi con la falce tagliava l’erba, altri con la zappa, la
vanga ed il badile scavavano delle buche nel terreno, profonde ottanta
centimetri circa, a distanza regolare l’una dall’altra. Un altro gruppo poi
v’interrava le piantine di sempreverdi. Qualcun’altro apriva dei sentieri per
meglio muoverci su quelle ripide scarpate.
I primi giorni, dato che
ero il più giovane, appena sedicenne, mi fecero fare il “bocia”, cioè portare
l’acqua da bere in giro a tutti gli operai sparsi sul cantiere.
Vi erano anche quattro o
cinque donne. Esse avevano il compito di procurare la legna per il fuoco e
cuocere da mangiare : spaghetti, maccheroni, fagioli e fare il sugo per
tutti.
Ricordo che il caporale
era un uomo alto con baffi spioventi, il capo cantiere era una Guardia
Forestale, perché tutti quei lavori dipendevano direttamente dal Ministero
dell’Agricoltura e Foreste, facevano parte del primo “Piano Fanfani” per la
montagna.
Fu per me una grande
esperienza, molto importante, che contribuì molto alla formazione del mio
carattere e alla conoscenza degli altri. In qui giorni provai delle grandi
emozioni e nuove sensazioni.
Considerati oggi, dopo
le vicissitudini di una vita travagliata e ormai vissuta, quelli non furono
solo giorni pieni di sacrifici e tanta fatica, avevano anche un loro “sapore”
di vita. Senza capire il perché, ero felice e contento del mio lavoro. Era
importante poter guadagnare quei pochi soldi. Addirittura ero orgoglioso di
farlo. Mi sentivo un uomo come tutti gli altri. Ero conscio di fare qualcosa
d’utile e importante per la mia famiglia e per la nazione.
Lavoravamo cantando
serenate e stornelli con doppi sensi rivolti alle donne, le quali, ci
rispondevano con altri altrettanto piccanti.
Dopo il terzo giorno, il
capo squadra mi mandò a pulire il sentiero che, attraversando il cantiere, dopo
cento tornanti, portava in cima al monte dove l’anno prima gli operai avevano
costruito una graziosa celletta in onore della Madonna.
A fine di settimana, il
sabato mattino, ritornavamo a casa distante quattro ore di cammino. Ricordo che
per strada cantavamo a squarciagola la canzone in voga, molto nota perché aveva
vinto il Festival di San Remo di quell’anno :”Vola Colomba”. Mi piaceva
tanto la strofa che fa : noi lasciavamo il cantiere lieti del
nostro lavoro, e il campanon dindon ci faceva il coro...ecc.
A metà della settimana
seguente, finimmo il pane. I miei paesani chiesero al capo squadra il permesso
di lasciarmi tornare al nostro borgo per prendere un po’ di pagnotte e degli abiti
per cambiarci.
Il mattino seguente, con
il mio zaino in spalla, m’incamminai cantando, solo, soletto, per la mulattiera
che conduceva verso casa .
Dalle parti
di Careste vi fu l’incontro, forse, più bello della mia vita. Stavo
uscendo dal sentiero che attraversava un boschetto, quando improvvisamente la
vidi apparire in lontananza, veniva verso me a passo lesto. In un primo momento
pensai fosse un angelo. Era giovane, mora, con il capelli sciolti che le
scivolavano sulle spalle. La figura snella, indossava una camicetta bianca
fiorita ed una gonna lunga, rossa. Calzava stivali di gomma. Il terreno era
fangoso, avendo piovuto il giorno prima .
Poichè allora ero
timido come un passero, il cuore iniziò ad accelerare i battiti, prima ancora
d’incontrarla. Due minuti dopo eravamo a faccia, faccia. Non sapevo dove
guardare e cosa dirle. Lei, a testa bassa, con un fil di voce disse :”Buon
giorno”. Con voce tremante, risposi :”Buon giorno signorina…”.
Avrà avuto, all’incirca,
diciotto/diciannove anni. Ci eravamo appena incrociati, e stava per
allontanarsi; col cuore in tumulto, facendo una forzatura alla mia timidezza,
pensai : ”Coraggio, adesso o mai più ”. Pronto,
inventai una bugia :”Scusi signorina, nonsonopratico…, vado bene per Sorbano ?”.
Lei si rigirò e rispose :”Si..., avanti ancora un po’...è dietro quel
colle”. Con più coraggio le chiesi dove andava, rispose che, si
recavaaCareste a parlare con il Parroco, Don Antonio Tonetti, per
accordarsi sulla scuola. Chiesi :” Perché, che lavoro fa ?”
Con una voce dolce, soave, armoniosa, ed un lieve sorriso sulle labbra, mi
disse d’essere la nuova maestra, veniva da Bagno di Romagna, le era stata
assegnata la scuola elementare di Careste.
Notai che anche lei era
timida ed emozionata. Per un attimo ci guardammo negli occhi...Affascinato, mi
sembrava di sognare... Ero al settimo cielo ! Avrei voluto
dirle tante cose... Un groviglio di pensieri si affastellavano tutti insieme
nella mente, ma le labbra restavano saldamente serrate.
Cumuli di fantasticherie
mi riempivano la testa in un guazzabuglio indescrivibile. Furono momenti,
sconvolgenti, così carichi di emozione e di tensione, certamente unici e
irripetibili.
Mi trovavo nel periodo
forse più critico della vita, l’adolescenza, con l’improvvisa scoperta dell’altro
sesso così desiderabile ma complesso.
Le ragazze erano viste
come esseri sublimi ed irraggiungibili. Nei loro confronti, c’erano desideri
inespressi ma tutti repressi. Sentivo una fortissima attrazione verso di loro e
contemporaneamente l’incapacità di avvicinarle, di iniziare l’approccio.
L’emozione e la timidezza bloccavano ogni tentativo sul nascere. In tal modo,
accumulando insuccesso ad insuccesso, si formava nel mio io una massa di
energia forzatamente imbrigliata e compressa, difficilmente contenibile a
lungo.
Quel giorno, per la
prima volta, come una bomba, stava per scoppiare, come la rottura di una diga,
l’acqua stava tumultuosamente straripando.
L’incontro ed il breve
dialogo durarono solo pochi minuti, ma furono così intensi,che per molti mesi
ripensai alla scena e mi rammaricai tanto per le cose che avrei potuto dirle.
Non le chiesi neppure il nome e tantomeno l’appuntamento per un altro incontro.
Quanti accidenti mi sono mandato in seguito per quelle domande rimaste mute !
In compenso, riuscii a
vederle bene il viso... : era di un’ovale perfetto, luminoso, guance rosa,
occhi grigi e profondi, molto espressivi. L’insieme un
incanto ! Restai letteralmente abbagliato !
Al collo, legato sopra
la camicetta, portava un foulard rosso che le donava tanto.
Ricordo le sue ultime
parole :”Ora devo andare, si fa tardi... il Parroco mi
aspetta,...arrivederci !” Balbettai un :”arrivederci... io
vado a Sorbano, ritorno questa sera... forse ci rincontreremo...”
Rispose : ”forse !” E subito si allontanò. Restai
attonito e confuso.
Ancora stordito la segui
con gli occhi finché scomparve in mezzo al boschetto.
Mi sembra di vedere
ancora quella sottana rossa che accarezza frusciando i cespugli di ginestre in
fiore formando un cromatico gioco d’intensi colori.
Non la rividi mai
più! Ripercorsi la stessa strada, andando e tornando da Rullato, per
almeno altre quattro o cinque volte, sperando sempre di incontrarla, ma invano.
Quell’unico, fortuito
incontro, fu come una meteora che, veloce, solcò il cielo della mia anima
limpida e innocente, lasciandovi impressa una traccia indelebile
Un racconto, che è anche memoria, letto con molto piacere. Che solco profondo tra quel periodo lontano e l'oggi, tra i comportamenti di allora e quelli odierni. Molto interessanti anche gli argomenti trattati, il lavoro minorile, per esempio, che allora era qualcosa di assolutamente normale, a tal punto da esserne fieri, un modo per sentirsi adulti, e poi, i primi approcci con l'altro sesso, così timidi e maldestri, così diversi, in molti casi, perlomeno, da quelli attuali.
RispondiEliminaGrazie.
Piera
grazie Piera del commento col quale hai colto appieno l'atmosfera del racconto. Stefano Giannini
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