Andar per colli
di Renzo Montagnoli
Quando
s’apre la bella stagione e la primavera irradia di luce cristallina tutta la
natura sorge spontaneo il desiderio di fare una gita fuori porta. Per i
mantovani una meta quasi obbligata, anche per la vicinanza, è costituita dalle
colline moreniche del Garda, una serie di rilievi, per lo più modesti, frutto
del lavoro di erosione del ghiacciaio che milioni di anni fa occupava quello
che attualmente è senza ombra di dubbio uno dei più bei laghi del mondo. L’importante
è non avere una meta precisa e procedere sorretti dal piacere di riscoprire il
risveglio della natura, di ammirare il nuovo verde che ricopre i declivi, di
respirare l’aria fresca, ma pura che scende dal non lontano Monte Baldo. E
quindi questo andar per colli diventa il varo di una nuova stagione, l’avvio di
un percorso di altre gite sia primaverili che estive. Si può andare in auto, ma
anche in bicicletta, benché le distanze e le pendenze, pur non essendo
proibitive, richiedano un preventivo allenamento che l’inverno ha di fatto reso
impossibile.
Raggiunto Goito,
l’ultimo paese in pianura, attraversato dalle acque veloci del Mincio e
impreziosito da Villa Giraffa, una delle residenze gonzaghesche, si
procede verso Volta Mantovana. Il borgo é incastonato in cima a una collina, a
cui si giunge con una comoda strada che tuttavia è caratterizzata da un paio di
tornanti. Da lassù la vista sulla fertile pianura mantovana che si va
risvegliano dal torpore dell’inverno è di sicuro effetto, ma c’è altro da vedere
in questo luogo: il palazzo Gonxaga-Guerrieri, fatto erigere alla metà del
XV secolo dal Marchese Ludovico III Gonzaga e l’antico castello, risalente
all’XIsecolo, voluto assai probabilmente dalla famosa Matilde di Canossa.
Si
procede verso Nord e si arriva a Ca’ Piccard, dove all’incrocio si gira a
destra per scendere a Borghetto sul Mincio, il più bel borgo
d’Italia, risalendo poi a Valeggio sul Mincio, dove, avendo tempo a
disposizione, si può visitare lo splendido Parco Sigurtà. Lasciato alle
spalle il Castello Scaligero del XIII secolo, ci si dirige verso Custoza,
a cui si arriva attraversando dei vigneti, da cui si ricava il pregiato vino
bianco di Custoza. Li è quasi d’obbligo fare una visita all’ossario eretto
nel 1879 e che raccoglie le spoglie dei soldati piemontesi e austriaci caduti
durante due grandi battaglie: quella del 25 luglio 1848 in
cui Radetzky sconfisse l’esercito di Carlo Alberto e quella del 24
giugno 1866 che si concluse ancora con la sconfitta degli italiani guidati dal
Generale La Marmora, mentre gli avversari erano condotti dall’arciduca
Alberto d’Austria. Fra tutte quelle povere ossa non si può fare a meno di
pensare quanto la guerra sia terribile, oltre che inutile.
Poi
si torna indietro, fino a Valeggio, per portarsi, con una strada che
costeggia il Mincio, a Monzambano, caratterizzato dal bel Castello fatto
erigere nell’XI secolo da Matilde di Canossa. Da lì, si piega verso ovest
e lungo belle stradine, in continui saliscendi, si entra nel cuore delle
colline moreniche. Mete irrinunciabili sono Castellaro Lagusello, uno dei
più bei borghi italiani, ma anche altre testimonianze delle nostre guerre di
indipendenza, fra le quali San Martino della Battaglia (da visitare la sua
celebre torre inaugurata nel 1893 ed eretta in memoria vi Vittorio Emanuele
II e di tutti quelli che hanno combattuto nelle guerre che hanno
portato all’unità d’Italia), Cavriana, dal bel castello
dell’XI secolo e Solferino, su cui ritengo sia necessario soffermarsi un
po’. Ivi sorge una rocca alta 22 metri, eretta nel 1022 e obiettivo
della più importante battaglia della II Guerra d’Indipendenza. Il 24 giugno
1959, infatti, sulle colline di Solferino i franco-piemontesi si scontrarono
con gli austriaci, in tutto 230.000 uomini; il combattimento si concluse con la
vittoria dei primi, ma con perdite enormi, superiori a quelle della ben più
nota battaglia di Waterloo. Al termine di 14 ore di scontro rimasero
a terra, cadaveri, ben 29.000 soldati. Se questa battaglia significò di fatto
la fine della II Guerra d’indipendenza, con l’annessione al Piemonte della
Lombardia, ad eccezione di Mantova, fu anche l’occasione per un altro evento
straordinario: la nascita della Croce Rossa. Infatti, era presente lo svizzero
Henry Dunant, che lì accorse richiamato dalle voci della carneficina;
nell’organizzare un minimo di soccorsi alle migliaia di feriti gli venne l’idea
di fondare questa meritoria istituzione, tesa a soccorrere tutti,
indipendentemente dalla divisa. A Dunant nel 1901 fu conferito il
Nobel per la pace.
Siamo
al termine di questo viaggio storico-geografico, un itinerario fra i
più belli nell’Italia settentrionale, su queste colline un tempo
insanguinate e su cui ora si sviluppano vigneti che danno vini di elevata
qualità, fra i migliori al mondo, bianchi, rossi e rosati, fermi e mossi, in
una varietà notevole, pur a fronte di produzioni di modeste quantità.
Qui,
dove si avviò l’unità d’Italia e tanti giovani conclusero sanguinosamente la
loro esistenza, si compie di fatto un vero pellegrinaggio, un ritorno al passato
che testimonia le origini del nostro presente. Vorrei
ricordare questi caduti e queste colline con una mia poesia, che credo possa
concludere nel migliore dei modi questo articolo.
Colline risorgimentali
Qui, colline ridenti dai ricchi vigneti,
campi ordinati di bionde messi,
l’aria del lago a mitigare l’arsura
estiva,
a lenire il freddo nebbioso
dell’inverno.
In altri tempi clamori d’arme,
cozzi di cavalli nell’impeto dello
scontro,
sudore misto a sangue profuso a
volontà,
in nome di un’Italia che
ora queta riposa.
San Martino, Solferino, Custoza,
nomi che s’imparano a scuola,
ricordi di risorgimentali battaglie,
francesi, austriaci e piemontesi
a scannarsi per l’altrui gloria.
Il rosso dei campi è ora solo quello dei
papaveri,
gli unici suoni sono quelli dei
trattori,
o le voci di teneri innamorati
che camminano pensando solo al
futuro,
senza memoria di un passato lontano,
di un tempo finito.
Maestose steli sui colli ricordano
morti senza nome,
ossa senza nazionalità,
poveri teschi dalle occhiaie vuote,
un monito per chi ancora non sa
vedere
l’inutilità e la bestialità di una guerra.
E nelle notti d’estate la brezza del
Garda
sembra portare voci sommesse di un
coro,
un sussurro,
un anelito di vita,
il rimpianto di chi qui ha lasciato
per sempre la speranza nel futuro.
Le
foto di questo articolo, tutte reperite su Internet,
sono
relative alle località visitate e per la precisione,
nell’ordine
dall’alto in basso, Goito, Volta Mantovana,
Custoza, Monzambano,
San Martino della Battaglia,
Cavriana e
Solferino.
COMPLIMENTI TANTI RENZO, SIA PER LA DESCRIZIONE DEI LUOGHI CHE PER LA POESIA RICCA DI VERITA' E DI SENTIMENTO!!!!!!
RispondiEliminaGiovanna
Quante meraviglie nasconde e ugualmente mostra questa nostra tormentata nazione! Il bel racconto di un viaggio che spazia nella storia, nel paesaggio, nella cultura. Luoghi conosciuti, perché studiati a scuola e amaramente ricordati, alcuni perché visitati, altri solo immaginati. Viaggi reali o semplicemente raccontati da altri, belli sempre, comunque.
RispondiEliminaBorghetto sul Mincio ritorna, ricordo un altro bell'articolo nel quale ne parlavi, e che mi è rimasto molto impresso.
Quanto dolore ripensando alle nostre guerre (quanta amarezza nella tua poesia), e nel vedere oggi tanta gente dalla memoria corta impegnata in una sistematica demolizione di questo nostro Paese nonostante tutto bellissimo.
Grazie.
Piera
Conosco questi posti, belli veramente.
RispondiEliminaLa poesia é di struggente bellezza, nel rievocare il nostro risorgimento e i tanti morti, dall'una e dall'altra parte, caduti per la gloria e iol potere dei loro governanti.
Agnese Addari