I giorni e le strade
di
Carla De Angelis
Prefazione
di Stefano Martello
Fara Editore
Poesia
Collana
Sia cosa che
Pagg.
70
ISBN 978 88 97441 41 0
Prezzo € 11,50
Il valore della
parola
L’uomo
cominciò a essere cosciente con l’uso della parola, prendeva in mano un sasso e
così sapeva a che corrispondeva quella “cosa” magari trovata per terra. E come
la realtà all’intorno assumeva i nomi delle sue componenti, i nostri
progenitori iniziarono a parlarne. La parola rappresentava quindi la realtà
tangibile e solo più avanti nel tempo, con l’avvento della poesia, la parola
cominciò ad andare oltre la concretezza che era sotto gli occhi di tutti. Essa,
opportunamente congegnata, cominciò a identificare anche ciò che non si vede,
ma si percepisce, si avverte, come nel caso delle emozioni. E la scelta della
stessa per identificare uno stato d’animo divenne oggetto di ricerca, finendo
con l’impreziosire i versi delle poesie.
Un touch e scompare un volto,
ove quel touch è certo un tocco, ma non lo è solo per somiglianza di vocaboli,
poiché è fortemente d’impatto sotto l’aspetto fonetico; Il poeta sa farsi pastore del destino, ove quel pastore richiama
greggi condotte da un uomo, colui che accudisce alle pecore, e nel caso
specifico il poeta diventa l’essere che non accetta supinamente il corso delle
cose, ma vuole essere libero di scegliere la vita che desidera, divenendo così
un pastore, magari illudendosi, del destino che gli è riservato.
Questa
ricerca della parola più appropriata è una delle caratteristiche di I
giorni e le strade, l’ultima raccolta poetica di Carla De Angelis.
In
effetti il ricorso a termini mirati impreziosisce l’opera, costituendone
comunque solo un aspetto sartoriale, per quanto di pregio, mentre invece la
presenza pressoché costante della metafora rafforza queste poesie non legate da
un tema comune, bensì frutto di occasionali emozioni prontamente salvate, con
uno stile senz’altro scarno e non aulico e che solo in questo sembra ripercorrere
le vie dell’ermetismo.
No,
Carla De Angelis cerca di ritagliarsi un angolo poetico tutto suo, in cui, pur
sotto l’influsso di correnti e dello spirito di poeti, per lo più moderni e
ormai defunti, scava, come lo scultore nel marmo, un suo personale modo di
esporre con cui portare avanti quel messaggio che, consciamente o
inconsciamente, di volta in volta frulla all’improvviso nella sua mente,
imponendole la necessità di immediatamente fissarlo su un foglio.
Ed
è così che si trovano in questa raccolta liriche messe lì, senza un ordine
logico, un flusso di emozioni che è il più disparato (Non ho radici / sosto dove sto bene / rubo all’istante il suo
significato /…; Potavo lacrime agli
alberi / imparavo a usare il verbo /
delle radici / il pensiero germogliava /…; Il sorriso si arresta sull’orlo della gioia /….).
Per
quanto non unite da un unico tema, tuttavia c’è un comune fil rouge, che le
caratterizza e che sta evidentemente a cuore all’autore, e questo filo
conduttore è la vita, in tutti i suoi aspetti, nelle gioie e nei dolori, una
serie di riflessi che, incisi nell’animo, si affacciano allo scoperto quasi con
pudore.
Se
non c’è un retrogusto di gioia, non ce n’è però uno di malinconia, anzi si
evince un certo pragmatismo, che non vuol dire materialità, né accettazione
supina, bensì presa di coscienza dei nostri estremi limiti, entro i quali
possiamo, nonostante il poco tempo, effettuare una continua ricerca in noi
stessi, onde approdare a una conoscenza, e non alla conoscenza, perche di
questa ce ne sono tante quanti sono gli uomini. Eppure, benché ci sia chi cerca
in questo modo in Italia come all’estero, queste individualità avvicinano
anziché allontanare, e concorrono a formare tasselli del grande mosaico del
sapere, un’opera che è sempre in progresso e che mai sarà terminata.
Leggete
questa raccolta di poesie e cercherete di scoprire gli angoli più reconditi del
vostro animo, soffermandovi, di tanto in tanto, sulla valenza delle parole,
perché queste non sono solo alcune lettere artatamente combinate, sono invece
l’essenza di un concetto.
Carla De Angelis è nata a Roma nell’ottobre del 1944. Nel 1962 ha pubblicato i
primi versi nella rivista internazionale «Pensiero ed Arte» e collaborato
all’antologia dedicata a Dante Alighieri nel VII centenario nella nascita. Ha
partecipato ad attività artistiche nel sociale, allestito mostre di ceramica in
varie librerie di Roma, al Museo del Folklore e alla mostra dei Cento presepi
che si svolge a Roma, in Piazza del Popolo, Sala del Bramante. Nel 1995 il
Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le ha conferito l’onorificenza
di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana”. Poesie e racconti sono
presenti in diverse antologie edite da Perrone, Estroverso, David
& Matthaus, Limina Mentis, Delta 3, Pagine, Aletti che l’ha
inserita nel 2009 nell’Antologia dei poeti italiani contemporanei.
Con Fara ha pubblicato: Salutami
il mare (poesie), il libro dialogato con Stefano
Martello Diversità
apparenti (i due libri sono
risultati vincitori e finalisti in vari premi), sillogi nelle antologie Il
silenzio della poesia (2007), Poeti profeti (2008)
e Chi
scrive ha fede? (2013). Sempre con Fara ha curato con Stefano Martello Il
resto (parziale) della storia e nel 2010 pubblica la
raccolta
poetica A dieci minuti da Urano (anche questi due libri sono risultati vincitori in vari premi). Nel 2011 esce Mi vestirei di mare per i tipi di Progetto Cultura. Nel giugno 2012 ha curato con Brigitte Cordes Corviale cerca Poeti (edizioni youcanprint). Collabora con la Biblioteca “Renato Nicolini” ex Corviale (Roma).
poetica A dieci minuti da Urano (anche questi due libri sono risultati vincitori in vari premi). Nel 2011 esce Mi vestirei di mare per i tipi di Progetto Cultura. Nel giugno 2012 ha curato con Brigitte Cordes Corviale cerca Poeti (edizioni youcanprint). Collabora con la Biblioteca “Renato Nicolini” ex Corviale (Roma).
Intervista di Renzo Montagnoli a Carla De Angelis, autrice
della raccolta poetica I giorni e le
strade, edito da Fara
La poesia ha
pochi appassionati, tant’è che molti scrivono in versi, ma pochi sono quelli
che li leggono. È un ben triste destino per una forma artistica che è stata la
prima, soprattutto quando ancora non esisteva la stampa e l’opera veniva
trasmessa oralmente e proprio per questa particolarità doveva avere
caratteristiche sue peculiari che ne rendessero possibile la diffusione. Con
l’avvento del libro stampato poco a poco ha preso piede la narrativa e oggi è
senz’altro preponderante. Ci si chiede allora quale possa essere l’avvenire
della poesia e quanto e cosa si debba fare per salvarla.
Lei, che è una
poetessa, probabilmente si è già posta una simile domanda e forse ha trovato
anche delle risposte. Se è così, mi piacerebbe conoscere la sua opinione in
merito.
La natura umana non può prescindere dalla
poesia che a mio parere, avrà sempre un posto vitale; per i pochi che leggono?
forse non è proprio così, nella Biblioteca, per esempio, “Renato Nicolini” ex Corviale dove ogni
secondo mercoledì del mese si svolge l’evento “Poesia a Corviale” molte persone
di qualsiasi età partecipano con
entusiasmo. E’ vero, aspettano di leggere la loro poesia, comunque sono
presenze importanti e interessate ad ascoltare. Oggi si scrive molto, c’è un
grande bisogno di apparire e anche se si tratta di una vetrina in continuo
movimento, va bene lo stesso perché è
importante scrivere il tempo farà la sua distinzione e salverà ciò che vale.
La
poesia ha bisogno di tempo per essere compresa e la velocità della rete non permette di soffermarsi il tempo
necessario per abbracciarla. Il verso libero, va bene, ma non deve mancare la
musicalità.
Non so dove va la poesia, questi tempi sono
troppo volgari, tempi di sconti e offerte anche per imparare a scrivere, spero
si torni al bello, alla poesia che pur trattando temi attuali non sia oscura,
perché la bellezza e la limpidezza non sono solo formali hanno sostanza
intrinseca che migliora chi scrive e chi legge.
Concordo.
Una poesia, anche se a verso libero, è necessario che abbia una sua struttura
armonica, perché altrimenti diventa prosa, magari una prosa poetica, ma pur
sempre prosa. Personalmente dico sempre che si può nascere poeti, intendendo in
tal modo una dote naturale, ma che scrittori di poesie si diventa, in quanto un
talento, se non è coltivato, con esercizi e studi approfonditi, rimane sempre
tale, ovvero una potenzialità inespressa.
Avevo
già notato il suo modo di scrivere poesie in A dieci minuti da Urano, che infatti è stato oggetto di mia
recensione più che positiva. Ed è proprio per questo che mi ha incuriosito I giorni e le strade, una raccolta non
tematica, frutto probabilmente di poesie scritte in epoche diverse, e tuttavia
caratterizzate da una ritmicità, da un’armonia che è possibile cogliere
soprattutto leggendole a voce. Sarebbe peraltro ingiusto limitare la valenza
solo alla struttura, perché a parte i pensieri di volta in volta esposti
presentano sovente delle invenzioni poetiche di quella che si potrebbe definire
la capacità di esprimersi in modo inusuale, ma assai piacevole e indubbiamente
razionale (Una vita senza l’oltraggio di una storia / è
strada senza impronte /…).
E’
senz’altro vero che la poesia è piacere, ma anche fatica e tenacia. Mi dica,
per cortesia, come nascono le sue poesie, si soffermi un attimo e magari si
chieda la ragione del suo procedere che non di rado è invece inconscia.
Insomma, può sembrare una curiosità, ma non c’è di meglio di sapere da chi le
crea come si formino questi gioiellini, come si sviluppa l’idea, come si arrivi
a produrre, in veste definitiva, questi versi.
So che può far sorridere , la verità è pur stando bene insieme agli altri, dialogo molto
con me stessa, così accade che un avvenimento, una parola o anche una gita in
autobus mi colpisca , e alcuni versi mi girino in testa fino a quando non li ho
(a parere mio) perfezionati per scriverli. Poi
per completare la “poesia” il tempo è più lungo; la chiusa invece arriva
quasi senza cercarla. Di questo mi
stupisco sempre. Leggo ciò che scrivo a voce alta, non è raro che un testo di
molti versi si riduca alla metà. E’ un lavoro di ricerca della parola che mi fa
star bene, al quale mi piacerebbe dedicare molto più tempo, per questo chiamo i miei lavori timidamente
“poesia”.
Dopo aver scritto una poesia, la mattina seguente al risveglio
ho la stessa sensazione che avevo da bambina quando ricevevo un regalo.
Non so se sia un caso, ma
capita così anche a me. Non ricerco mai una poesia, direi anzi che meno si
pensa a scrivere qualche cosa, più facilmente viene l’idea, magari anche solo
osservando il particolare di un’opera d’arte, o dopo lo svago di una gita.
Nella mente frullano pochi versi, anzi in genere solo uno ed è da questo che,
messo nero su bianco, seguono gli altri, come se fossero già stampati nella
mente. E’ ovvio che quella che appare sul foglio non è la versione definitiva,
ma una sorta di brutta copia, su cui di tanto in tanto ritornare per delle
modifiche, per dei tagli o delle piccole aggiunte.
Mi scuso per la curiosità,
ma mi è sembrato logico conoscere il metodo, se così si può chiamare, con il
quale un’altra persona crea e confeziona le sue opere.
E così, se poeti si nasce,
scrittori di poesie si diventa, e a ciò contribuisce in modo determinante la
lettura e lo studio di poesie di altri autori. Al riguardo ognuno di noi ha i
suoi preferiti, spesso per i motivi più vari. Io per esempio stimo molto
Giovanni Pascoli, un uomo che alla sua epoca è riuscito a dare un’impronta
nuova alla poesia, prima influenzata in modo considerevole da Leopardi; inoltre
mi ci ritrovo in non poche tematiche, senza dimenticare la capacità di
esprimersi in modo coinvolgente (tanto per fare un esempio, L’aquilone, pur richiamando il tema
ricorrente della morte, finisce con l’essere il canto disperato del peso
insopportabile della vita, esposto così bene che viene quasi spontaneo dire, a
proposito del compagno di collegio morto, era meglio morire da piccoli). Sono sicuro che lei abbia letto tanto e in
proposito mi viene un’altra curiosità: qual è l’autore preferito e che più ha
contribuito alla sua formazione artistica e per quali motivi?
La poesia è anarchia: E’ libertà individuale./ Le sue leggi
non sono quelle (False e gesuitiche)
degli uomini volgari. Un poeta/che va d’accordo con il can-can degli
uomini/comuni non è un poeta, è un impostore. (Luigi Bartolini). Ho conosciuto
il poeta, pittore e scultore Luigi Bartolini quando avevo già la passione per
la lettura e la scrittura, grazie a lui continuai a scrivere e iniziai a
pubblicare. Ho sempre presente questi suoi versi come una guida.
Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli erano i miei preferiti.
Della poesia che lei ha citato, mi ripetevo ininterrottamente i primi tre versi
e l’ultimo; poi la lettura del Fanciullino mi
tranquillizzò e l’amore per la poesia
continuò e continua a farmi compagnia.
Quasi per caso in una libreria sulla via Appia a Roma conobbi i testi di Lalla
Romano e i classici latini (ho un diploma di ragioneria). Continuando a
leggere, mi chiedevo il perché della poesia così approfondii questa mia
curiosità e mi stupirono le ricerche degli psicologi e le considerazioni
di Friedrich Nietzsche sui poeti.
Giacomo Leopardi ha contribuito alla mia formazione e mi sono
trovata spesso a essere bastian contrario, perché affermavo e ne
sono tutt’ora convinta che il suo non sia
pessimismo, ma realtà pura. Non
ho un autore preferito, oltre a quelli citati amo Salvatore Quasimodo, Walt
Whitman, David Maria Turoldo e altri, molti contemporanei.
Ha ragione lei, c’è un autore preferito, torno sempre a
rileggere Giacomo Leopardi. Molte cose che ha scritto si adattano anche a
questi tempi!.
Non conosco Bartolini,
mentre gli altri sono oggetto di miei studi ricorrenti (di Whitman ho tradotto
anche qualche poesia). Mi sembra di comprendere che ami anche i classici latini
e al riguardo devo dire che mi sono dimenticato di mettere fra i miei preferiti
anche un mio concittadino: Virgilio. Se è più noto per l’Eneide, il Virgilio
che amo di più è quello giovanile, con un’opera non commissionata come le Bucoliche, che per me è il suo
capolavoro. E poi ha anche poesie singole, splendidamente tradotte da Salvatore
Quasimodo. Sì, Leopardi non è un pessimista, ma un realista, visto come sono
sempre andate e sempre andranno le cose a questo mondo.
Ma veniamo alla sua
raccolta, non tematica e per questo forse più interessante, in quanto
svincolata da quei lacci e laccioli che un autore inconsciamente si pone quando
vuole appunto svolgere un tema. Di Leopardi c’è qualcosa, non il suo cosiddetto
pessimismo, ma una presa di coscienza che la induce a guardare la vita per quel
che è, bella nella misura in cui gli altri non ce la rovinano. Direi così che
il suo più che un pessimismo è un pragmatismo, cioè il vedere le cose come
effettivamente sono e comunque cercare di vivere, perché l’esistenza è
un’occasione purtroppo irripetibile. C’è vita e vita, o meglio ci sono tante
vite quanti sono gli esseri animati e concorrono a formare la quotidianità, e
poi c’è la nostra vita, la mia, la sua. Può sembrare filosofia spiccia, ma
credo che anche lei cerchi di considerare l’esistenza come un cerchio chiuso in
cui si raccolgono la sua presenza e quella dei suoi familiari più stretti,
anche se indubbiamente ciò che accade al di fuori di questa immaginaria
circonferenza condiziona il nostro modo procedere e ciò accade in maggior
misura per il poeta, la cui accentuata sensibilità gli impedisce di fatto un
distacco dai fatti e dagli eventi che, pur non toccandolo direttamente,
generano in lui una naturale e comprensibile reazione. Non siamo di legno e per
quanto cerchiamo di procedere sordi nel mondo ristretto che ci siamo dati,
stragi e disastri che accadono anche in zone così lontane dalla nostra non ci
possono lasciare indifferenti. E questo è un dramma da cui spesso finisce per
scaturire una poesia, che diventa, oltre che messaggio, sfogo liberatorio, pur
restando latente un vago senso di colpa, una malinconia interiore che ravviso
in più di una sua poesia, come per esempio in Le stagioni passano, oppure come in Il poeta sa.
E’ d’accordo?
Amo la vita e la gente per quello che mi offre e per quello
che riesco a dare. Sono d’accordo con lei i mali del mondo non possono restare
fuori la porta e quando mi sento oppressa da notizie come mancanza di cibo,
omicidi stragi sento il bisogno di scrivere; riconosco che questo aiuta solo me
e solo nel momento in cui scrivo, perché poi l’impossibilità di fare qualcosa
di concreto mi immalinconisce.
La mia raccolta non è tematica raccoglie le emozioni del
giorno. Ho cercato la musicalità nel verso; mi
piacerebbe riuscire a scrivere poesie
in rima, credo che sia come il tocco
finale che il ceramista ricerca per dare armonia al suo lavoro.
Continuo a leggere e a
studiare i poeti latini: Virgilio, Catullo e Tito Lucrezio Caro, ma anche contemporanei.
Scrivere poesie in rima non
è certo facile, ma credo che per ottenere musicalità non sia strettamente
necessario ricorrere alla metrica classica. In fin dei conti la poesia
armoniosa è frutto di un equilibrio strutturale per pervenire al quale non è
indispensabile che sia, per esempio, sotto forma di sonetto. A tal riguardo,
per quanto generalmente non legga subito le prefazioni nel timore di esserne
influenzato, questa volta ho fatto uno strappo alla regola, anche perché
l’autore, Stefano Martello, è critico costruttivo e senza eccessi. Dico subito
che concordo con quanto ha scritto in ordine al ricorso alla parola. Infatti,
parafrasando una pubblicità, si potrebbe dire che basta la parola, quando la
stessa riassume con la massima incisività e forza un concetto; non solo questo,
però, poiché il termine appropriato può contribuire a creare quell’armonia che
deve essere propria della poesia. Tanto per fare un esempio, la poesia di
pagina 75 ( Questa borsa è troppo pesante
da portare / occorre una scelta / la
capovolgo sul tavolo / conserverò ciò che è importante /…) è sì
indubbiamente una metafora di quel momento della vita in cui siamo chiamati a
scelte irrevocabili, ma senza il ricorso a una terminologia idonea e ricercata
non solo rischierebbe di essere incomprensibile, ma potrebbe scivolare in un
discorso prosastico. E una felice scelta è quel portare – verbo all’infinito – che, oltre a evidenziare come
l’esistenza sia un fardello, offre dinamicità e continuità al verso.
A questo punto una domanda
mi è d’obbligo: la ricerca della parola
avviene in automatico, cioè la stessa già nasce con la poesia, o è frutto di
ponderazione successiva, e quindi degli inevitabili ritocchi?
Il mio desiderio di
scrivere in rima è una sfida alla ricerca della parola che deve comunque
restare legata al significato che intendo dare. Forse è una ricerca legata a
una sfida con me stessa, chissà!
Affido volentieri i miei
lavori all’occhio critico di Stefano Martello perché non si perde in frasi di
circostanza, note critiche, ma va dritto al centro della parola.
Credo di essere fortunata
perché le parole quelle, per me, essenziali nascono con la poesia;
successivamente rileggo il testo e faccio dei ritocchi fin quando le
sento scorrere una accanto all’altra
come in abbraccio di note.
Accade che cambio di posto
ai versi e aggiungo o tolgo (questo spesso) tutto quello che è
ridondante o non serve.
E’ strano come i versi
nascano nei momenti più impensati.
Tempo fa, molto tempo fa, avevo la certezza che una parola o una frase venuta in mente, avrei potuto richiamarla in qualsiasi
momento, e invece no, così ho imparato a scrivere in tutte le circostanze:
mentre preparo il pranzo o la cena, al bar ecc. Mi piace scrivere con la
penna su carta; solo in macchina sono costretta a fissare sul cell.
Amo la lettura e la scrittura,
credo sia quanto di più bello e gratificante la vita mi abbia regalato. La
famiglia è comunque sempre al primo posto.
|
A leggere che quando
le viene in mente qualcosa la scrive subito, dove capita, onde non
dimenticare l’idea creativa, mi sono ricordato che Ungaretti faceva così e
iniziò questo metodo proprio durante la prima guerra mondiale, nel fondo di
una trincea, fra un combattimento e l’altro. Sembrerebbe così che questi
versi, a volte anche non riletti e non corretti, nella loro spontaneità ed
essenzialità abbiano dato vita a quella grande corrente letteraria che
risponde al nome di ermetismo. E in effetti, per quanto risulti comprensibile
di primo acchito, la sua poesia ha caratteristiche proprie dell’ermetismo, da
cui tuttavia si discosta per una innata, o forse voluta, necessità di essere
chiara prima per se stessa e poi per gli altri.
Ho rilevato una
comunanza di approccio alla scrittura con Stefano Martello, che mi sembra un
suo grande estimatore. In effetti, in un’epoca come la nostra, in cui si
tende a precorrere il tempo, l’essenzialità e l’incisività sono basilari, né
potrebbe aver senso scrivere come D’Annunzio, con tanti svolazzi e voli
pindarici. Direi che il poeta contemporaneo è più che un sognatore un
pragmatico e tale risulta pure lei, per quanto ogni tanto ci sia il verso
frutto di un’invenzione poetica, sfondo tonificante di un discorso più
approfondito, quasi una necessità per
indurre il lettore a sostare un po’. Vede, versi come questi, riferiti
all’acqua, “ …/che scenda a curare le /
ferite come il canto/ del fiume per il mare /…,”costituiscono quello
sfondo, di cui ho prima ho scritto, che senza nulla togliere all’idea
tematica la rendono assai più gradevole da assimilare. Insomma, non abbiamo
degli spot pubblicitari, né dei proclami, ma poesia che va dritta allo scopo
senza dimenticarsi che per essere tale deve avere una struttura armonica a
cui non poco contribuisce una sensibilità espressiva non fine a se stessa, ed
è proprio questo che la rende interessante e gratificante.
Lei cosa ne pensa?
Come ho già detto nel tempo ho capito di non poter
richiamare quella frase quando volevo, perché l’emozione dura lo spazio di un
istante; sentivo come inganno lo
sforzo di ricordare e scrivere.
Cerco di rendere comprensibile le mie poesie a me e
agli altri perché lo ritengo un fatto etico. Cambio di posto alle parole o
addirittura a tutto il verso, in modo
che risulti più fluido e acquisti limpidezza e armonia. Quasi mai sostituisco
le parole, non posso fare a meno della
fantasia, mi affeziono alle parole che mi rappresentano e su quelle
costruisco il resto.
La verità è che ho sempre la testa piena di sogni,
poi la realtà personale e del mondo prende il sopravvento e se da un lato ho
imparato a vivere con quello che ho, il mondo della fantasia non mi abbandona mai, scrivo su due binari che ogni tanto faccio
incrociare.
Considerato che pure
io mi diletto a scrivere poesie, con il massimo impegno e con risultati che
tuttavia non sono in linea con le mie aspettative, spesso mi chiedo se questo
stilare versi non sia una facile via per analizzarmi, per scoprire quanto c’è
ancora in me che non conosco. In buona sostanza, finisco con il chiedermi
perché scrivo poesie e la risposta, o meglio le risposte, che variano di
volta in volta, hanno più il sapore di un alibi che di un’effettiva realtà.
Capita anche a lei questo e se sì, quale è la risposta più plausibile e
logica alla domanda?
Per me scrivere è un impulso al quale non so
resistere. Ogni volta la motivazione è diversa, non è sempre tutto amore è
anche rabbia, risentimento, pentimento e divertimento. Scrivo perché mi fa
stare bene, mi piace la pagina bianca che si riempie delle mie parole, è la
stessa sensazione che provavo quando modellavo la creta, non sapevo quello
che avrei fatto. Con la scrittura è la stessa cosa non sempre mi fermo quando
i sentimenti si fanno più intimi, più forti, vengono fuori senza volerlo, poi
mi chiedo: perché condivido sentimenti che sono miei? allora mi assale il
timore che chi legge possa capire di me più di quanto io desideri. E’ un
rischio che infine corro volentieri,
forse perché la lettura degli altri mi offre
un’altra possibilità per capirmi.
Però insisto la motivazione più vera è che sto bene
quando scrivo.
|
Forse è vero che
gli umani si pongono tanti, troppi problemi
e che certe domande possono e forse devono essere superflue; la vita
forse sarebbe migliore se ci lasciassimo un po’ andare a quell’atavico istinto
che nell’evoluzione della specie è stato invece soffocato.
“Dum loquimur
fugerit invidia aetas: carpe diem, quam minimum credula postero” scriveva già
Orazio e quel concetto di vivere il presente è rimasto valido e sempre sarà
così, ma è anche vero che il poeta è artefice e vittima della sua arte, tanto
che finisce con il condizionargli l’esistenza. Al riguardo la sua naturale e
accentuata sensibilità lo espone più degli altri alle circostanze del tempo, lo
fa di volta in volta sentire parte integrante dell’umanità, oppure in un limbo
da cui guardare il mondo e anche se stesso con occhio critico, gli impone di
cercare di dare un senso alle cose e così è forse inconsciamente un po’
filosofo.
Quel “carpe
diem” lo attrae e lo respinge al tempo stesso, perché chi scrive poesie è un
essere senza tempo, in cui presente, passato e futuro si confondono, per lui la
parola non è parte di un discorso, ma è il flusso della vita stessa, in un
rapporto spesso d’amore, a volte anche d’odio.
Nel suo fondo
c’è sempre un velo di malinconia che mitiga l’emozione che lo coglie quando
rilegge quel foglio prima bianco e ora ricamato con le parole che in versi sono
quasi esplose dal suo intimo all’improvviso ed è solo questo il suo “carpe
diem”, quel saper cogliere sensazioni che di volta in volta scopre in sé, quasi
un latente istinto a cui è indispensabile dare sfogo.
Di tutte le
motivazioni del perché scrivo poesie questa è la più ricorrente, ma non credo
che sia personale; in fondo forse è comune, magari aggiunta ad altre. Del resto
non mi piacerebbe che il senso della vita fosse limitato a un semplice “carpe
diem” e questo senza voler considerare gli altri dall’alto in basso. Se
l’esistenza ha un senso, e lo ha, è probabilmente diverso per ognuno di noi.
Personalmente sono dell’idea che questo nostro breve cammino dall’alba al
tramonto debba essere compiuto assieme in armonia, cercando di conoscere gli
altri attraverso una sempre più approfondita conoscenza di noi stessi e in
questo la poesia è di grande aiuto.
Per lei, quale è
il senso della vita?
Il senso della vita è la vita; il suo significato si rivela strada facendo;
da bambina forse era vitale l’attenzione della mamma, le coccole, il mondo
era circoscritto, via via che il tempo è
passato ho preso coscienza della
limitazione dell’ esistenza attraverso la morte, questo è stato il momento
della comprensione e valutazione del senso della vita. E’ diventato importante scrivere, riempire quel tratto tra
la vita e la non vita; riempirlo di
parole e di gente, occuparmi di sapere di conoscere non solo quello che accade
intorno. Leggere, fare domande, la curiosità è essenziale alla vita. Mi sento parte di quello che accade, a volte
come attore a volte come spettatore, per questo mi piace prendere parte e
organizzare eventi, ascoltare gli altri.
Dalla lettura dei poeti latini ho imparato che la poesia dà un senso di
continuità al tempo che passa; a volte mi sembra che la mia vita sia troppo
breve a volte troppo lunga, ho un’attenzione estrema alle parole e a tutto ciò
che mi circonda. Mi piace dire la verità, ma non ferire, c’è sempre un modo per
dire senza offendere, la lettura di “La persona e il sacro” di Simone Weil ha
accentuato la mia riflessione.
Il senso della vita è conoscersi e realizzare quanto
più possibile la ragione per cui siamo al mondo, essere in armonia con tutti
gli altri essere viventi, nonostante i condizionamenti esterni.
Rilevo con
piacere che in ordine al senso della vita siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Il mio timore, tuttavia, è che siamo non in molti a porci questa domanda e a
darci una risposta che tenga conto non solo della nostra esistenza, ma anche di
quella degli altri. Credo che se tutti procedessero analogamente il mondo
risulterebbe senz’altro migliore e invece ogni giorno che passa mi spiace
rilevare come imperi il trionfo dell’edonismo, la ricerca a ogni costo del
successo e del potere, e questo ovviamente a discapito degli altri. Mi è
rimasta in mente una poesia della silloge, Il
sonno ( Mi assale spesso senza annuncio
/ avanza a ritroso / veste abiti antichi collane e pietre preziose / danza
intorno a suoni e magiche armonie / nutre abilmente il sogno / mi sottrae al
risveglio / Vuole la vita?). Vede mi sembra che il sonno, pura esigenza
fisiologica, sia addirittura desiderato come una condizione alternativa e forse
migliore del periodo in cui invece si è svegli. Nel sonno più che mai siamo noi
stessi, sottratti alle mille influenze della quotidianità, e i sogni, che
sempre l’accompagnano, sono un’inconscia riflessione sul nostro “io”. Ma il
sonno vuole la vita o il sonno è la vita stessa? E qui mi viene un’opera di
Pedro Calderon de la Barca, La vita è
sogno, in cui la vita è intesa come un percorso verso l’autentica
conoscenza, in pratica una riscoperta in tragedia della teoria della
conoscenza, esposta da Platone in Repubblica. Come si vede, porsi
effettivamente il problema del senso dell’esistenza è cosa antica e forse e del
tutto naturale nell’uomo qualora esso voglia rifuggere dalla sua originaria
animalità. Mi scuso per la divagazione e ancora riallacciandomi alla poesia
sopra riportata le chiedo un’interpretazione autentica, in pratica il
significato del verso di chiusura, quel Vuole la vita?, poiché credo che
possa riassumere un suo pensiero fondamentale e generale.
Vuole la vita? Ho terminato con questo
verso e ho tenuto per me la risposta, il lettore fornirà la sua personale. Da
parte mia ritengo che nel sonno il sogno ci appartenga come vita reale e ci
restituisca qualcosa di noi, quel qualcosa che i condizionamenti esterni ci
tolgono. E’ difficile sottrarsi alla smania di avere, alle malattie ai dolori
nostri e degli altri, all’altalenare di notizia buone e notizie e cattive che subito prendono il
sopravvento.
Amo comunque la vita, l’amore, il piacere e le soddisfazioni che
ognuno di noi trae da quello che fa.
Vivere
è pagare un biglietto, non so per cosa e perché, sono in una ricerca
continua. Vivo il sogno nel sonno come una guida appagante, così quando la sveglia suona mi girerei volentieri
dall’altra parte per continuare a sognare.
“Vivere
è pagare un biglietto”. In un certo senso sì e mi pare sia stato
Leonardo Sciascia a scrivere che la morte si sconta vivendo, una frase
indubbiamente di effetto, ma anche notevolmente pessimista, al pari di Giovanni
Pascoli che, in L’aquilone, lascia
chiaramente capire che la morte in giovane età del suo compagno di collegio non
è stata in fondo una sfortuna, poiché così non ha dovuto affrontare i dolori di
tutta una vita. Benché in più di un individuo sia riscontrabile la fatica di
vivere, sta di fatto che tutti, in prossimità della morte, cercando di restare
attaccati a quella condizione di cui tanto ci si lamenta, intessuta spesso di
delusioni, di insoddisfazioni e anche di dolori, ma capace, a volte, di essere
gratificante di gioie, sia pure momentanee e fugaci. Poi è ovvio che ognuno è
libero di interpretare come crede quel Vuole la vita?, perché non è così
infrequente che lo stesso poeta si meravigli di ciò che ha scritto, frutto di
un vero e proprio momento di estasi in cui quell’Io latente è riuscito a emergere.
Ci stiamo
avviando alla fine di questa intervista e devo dire che mi spiace, ma d’altra
parte le esigenze di Internet, la necessità di avere approcci rapidi e di
leggere senza affaticarsi impone di pervenire a una chiusura. Non voglio però
che sia brusca, anzi mi piacerebbe che fosse solo una pausa, sia pur non breve,
e del resto, come la poesia è in continua evoluzione, così è anche parlarne di
essa. Se mi consente, l’ultima domanda, che in fondo si riallaccia alla
precedente, concerne una poesia della raccolta: Valico il muro ogni notte / il respiro armonizza con il corpo / che non
trattiene nulla / cementa mattoni per / il futuro (o per domani?).
Sembrerebbero i versi di un muratore e in effetti ognuno di noi è un muratore
che costruisce la propria esistenza, ma non mi è del tutto chiaro cosa sia quel
muro, che potrei interpretare come la linea di demarcazione fra realtà e sogno,
oppure quella naturale difesa che ci precostituiamo quando siamo e operiamo nel
mondo, difesa che con il sonno della notte viene a cadere.
Spererei che
fosse in grado di darmi una risposta chiara, che quel muro che io e lei abbiamo
cercato d’infrangere in questa discussione non rimanesse invece un ostacolo
insuperabile.
E allora mi
dica, me ne parli senza remore e laccioli.
La notte, il buio come protezione, così la
divisione tra il giorno e la notte è netta; la notte il respiro obbedisce ai
bisogni del corpo, segue il ritmo più giusto e si adagia, giusta ricompensa per
il giorno trascorso. Il muro che valico è la divisione fra due realtà; al
risveglio i mattoni servono a rendere meno profondi gli avvallamenti sulla strada e a riparare quello
che si può.
“Vivere è pagare un biglietto”, lo pago
volentieri, perché la conoscenza del mondo, la libertà che sento quando vado in
bicicletta o mi lascio nuotare dall’acqua, (è in una poesia) l’amore, sono
sensazioni irrinunciabili, per questo scrivevo che i primi tre versi de
“L’aquilone” li ripetevo fra me molto spesso, anche l’ultimo, ma questo lo
trovavo ingiusto nei confronti del bambino e mi metteva molto ansia.
C’è
il dolore che si insinua sempre anche quando mi sento felice, è come un battito
stonato che mi rabbuia e deglutisco per scacciarlo. So che fa parte del gioco, posso sempre
richiamare anche una gioia provata , anche se solo nel ricordo.
Spero di aver chiarito il mio pensiero, mi
mancheranno la sua bella scrittura e i suoi pensieri, mi hanno aiutato e
continueranno ad essermi d’aiuto nella comprensione di me, di quello che scrivo
che spesso non so nemmeno dove porta.
La ringrazio.
Ringrazio pure
io, per l’interessante e piacevole scambio di opinioni.
La saluto con un
arrivederci e con l’augurio di successo di questa sua ultima fatica.
Recensione
e intervista a cura di Renzo Montagnoli
Come al solito una recensione completa e assai bella e pure é cos^ l'intervista.
RispondiEliminaAgnese Addari
Una delle recensioni e delle interviste più belle, tra quelle che ricordo. Un dialogo costruttivo e profondo tra due persone che quotidianamente si chiedono il perché di questa vita, si pongono in ascolto davanti ai suoi misteri, che guardano in profondità, oltre l'apparenza delle cose, che "non sono pessimiste ma realiste", proprio come lo era il Leopardi, sono d'accordo, anche se di motivi per essere pessimista ne aveva tanti. Un'autrice, Renzo, che non conosco e che mi ha colpito molto proprio per il suo modo di essere, di porsi, davanti all'esistenza, ma anche rispetto a quel mondo meraviglioso che è la poesia. Mi è piaciuto molto capire come in lei prenda forma un testo poetico, come nasca, insomma, mi piace questo "lavoro" sulla parola, questo levare, scarnificare, mantenendo contemporaneamente una naturalezza che sembra nata in quell'istante, già così pulita, così perfetta.
RispondiEliminaVeramente una lettura gratificante.
Grazie.
Piera
Davvero una piacevole disquisizione sull'arte della poesia nella quale ho trovato molti punti di condivisione, uno su tutti, quando la poetessa dice "sto bene quando scrivo".
RispondiEliminaCredo che in queste parole sia racchiusa tutta la bellezza intrinseca all'arte di scrivere e ancor meglio di poetare. Far emergere dal buio del mistero della vita quella luce creativa che ne ricerca il senso con l'aiuto della parola dal potere gratificante e appagante, come ciò che ogni artista prova per le sue "creature".
Pertanto complimenti ancora per questa bella intervista e buona continuazione poetica a Carla e anche a Renzo!
Giovanna